La Nuova Evangelizzazione e l'Ospitalità alle soglie del Terzo Millennio
Evoluzione della vita religiosa nell'Ordine dal Concilio Vaticano II ai giorni nostri e prospettive future
Ordine Ospedaliero
di San Giovanni di Dio
Fatebenefratelli
LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
E L’OSPITALITÀ ALLE SOGLIE
DEL TERZO MILLENNIO
Evoluzione della vita religiosa
nell’Ordine Ospedaliero di S.
Giovanni di Dio
dal Concilio Vaticano II ai
giorni nostri
e prospettive future
Edizioni Fatebenefratelli
A tutti i Confratelli
dell’Ordine
Stimati in Cristo,
i giorni 29 e 30 agosto u.s. si
è svolto il secondo incontro della Commissione Preparatoria del Capitolo
Generale 1994. Detto incontro è servito principalmente ad analizzare il
documento-base che sarà presentato al Capitolo per valutare lo sforzo di rinnovamento
compiuto dall’Ordine dopo il Concilio e per orientare il nostro futuro.
Come
previsto dal calendario di lavoro della Commissione, ho la soddisfazione di
poterVi inviare sin d’adesso il documento affinché lo studiate e vagliate
attentamente, Il documento, che considero un prezioso elemento per la nostra
crescita spirituale, dovrà essere conosciuto da tutti i Confratelli come anche
dal gruppo di collaboratori che si crede opportuno. Ciascuna Provincia, o
gruppo di Province attraverso il Segretariato Interprovinciale, scelga il
metodo più opportuno per realizzare il suo studio. Al Capitolo il documento
servirà come strumento di lavoro per valutare la tappa post-conciliare
dell’Ordine ed illuminare la programmazione del suo futuro.
Non chiediamo di elaborare commenti particolareggiati, come se si
trattasse della revisione degli Statuti Generali; tuttavia siamo disposti ad
accogliere tutti i suggerimenti che riterrete opportuno avanzare, per
integrarli nel documento e facilitare il lavoro dei Confratelli Capitolari
durante il Capitolo. Vi preghiamo di elaborare i Vostri contributi capitolo per
capitolo e di inviarceli attraverso le Province oppure i Segretariati
Interprovinciali. Tra i cinque capitoli del documento, vorremmo che dedicaste
un’attenzione speciale ai capitoli III e V.
Nell’elaborazione
dei Vostri contributi, nella quale seguirete il metodo indicato dalla Vostra
Provincia, Vi suggeriamo di procedere secondo il triplice schema: aggiungere,
eliminare, sostituire. I contributi vanno inviati a Fra Pedro Saavedra,
Presidente della Commissione Preparatoria del Capitolo, presso la Curia
Generalizia, entro la fine di aprile 1994. Più che perderVi in precisazioni e
puntualizzazioni, Vi preghiamo di concentrarVi sugli aspetti utili per il
nostro futuro.
Faccio
voti affinché questo percorso serva da preparazione degna al grande evento di
fede che tutto l’Ordine vivrà con il Capitolo nel mese di ottobre 1994 a
Bogotà.
Che San
Giovanni di Dio, San Riccardo e i nostri Beati ci illuminino e che tutto ciò
che andiamo facendo contribuisca al bene dell’infermo e del bisognoso! Sempre
uniti nel carisma, Vi saluta fraternamente
Fra Brian O’Donnell
Priore Generale
Roma, 7 settembre 1993
PRESENTAZIONE
Nella
riunione dei Superiori Maggiori dell’Ordine, celebratasi a Roma dal 19 al 22
ottobre 1992, si parlò, tra le altre cose, anche del Capitolo Generale 1994,
per il quale, dopo un approfondito studio, si suggerì come tema: “LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE E L’OSPITALITA
ALLE SOGLIE DEL TERZO MILLENNIO” con il sottotitolo: Evoluzione della vita religiosa nell’Ordine Ospedaliero di S. Giovanni
di Dio dal Concilio Vaticano II ai giorni nostri e prospettive future.
La
Commissione Preparatoria del Capitolo Generale nominata dal Consiglio Generale
ritenne opportuno incaricare una sottocommissione dell’elaborazione di un
documento su questo tema che fu ultimato in una riunione svoltasi a Fusagasuga
(Colombia) dal 3 al 9 agosto 1993. Dopo essere stato analizzato dalla
Commissione Preparatoria, il documento viene presentato ora alle comunità e ai
collaboratori per un ulteriore approfondimento.
Il documento consiste di cinque
capitoli:
1.
nel primo capitolo
vengono illustrate quelle parti della dottrina del Concilio che hanno avuto
una particolare incidenza sulla nostra vita;
2.
il secondo capitolo
propone sulla stessa linea una presentazione del magistero post-conciliare;
3.
nel terzo capitolo
viene ricapitolata la risposta che l’Ordine ha dato all’esigenza di rinnovamento
lanciata dal Concilio;
4.
nel quarto capitolo
viene presentato l’invito con cui la Chiesa sta chiamando a raccolta attualmente
se stessa per una nuova evangelizzazione;
5.
nel quinto capitolo
si tenta di mettere a fuoco il volto che l’Ordine desidera dare al suo futuro
rispondendo alla nuova evangelizzazione con la nuova ospitalità.
Tanto nella valutazione di ciò che l’Ordine ha
realizzato, quanto nell’orientamento del nostro futuro, abbiamo tentato di
essere realisti e coscienti della nostra storia, quale la abbiamo vissuta e
quale siamo chiamati a viverla nell’avvenire.
1. IL CONCILIO VATICANO II
E LE LINEE FONDAMENTALI PER LA
CHIESA E PER LA VITA RELIGIOSA
1.1. Il
Concilio Vaticano II come fenomeno sociologico e teologico nella Chiesa
Molto è stato scritto sul tema. Noi ci baseremo nella seguente
presentazione sulle idee espresse dallo stesso Giovanni XXIII nella
Costituzione Apostolica, con la quale il 25 dicembre 1961 convocò il Concilio.
Parte dalla grave crisi in cui si trova l’umanità che porterà con sé grandi
cambiamenti. Vede uno squilibrio tra il progresso tecnico e scientifico da una
parte e il progresso spirituale dall’altra. Giovanni XXIII non ha per questo una
visione pessimista del nostro tempo, ma scorge in mezzo ad esso non pochi
indizi che lo fanno sperare in tempi migliori sia per la Chiesa che per
l’umanità.
Presenta il Concilio come un momento in cui la Chiesa desidera fortificare
la sua fede e dare maggiore efficacia alla sua sana vitalità. Sarà il momento
per chiarire certi principi dottrinali e dare esempi di carità. Il Concilio
offrirà una possibilità per tutti gli uomini di buona volontà di avviare
pensieri e propositi di pace.
E’ cosciente che la Chiesa, pur non avendo finalità direttamente
terrestri, non può tuttavia disinteressarsi nel suo cammino dei problemi
relativi alle cose temporali né delle difficoltà che da queste sorgono.
Pensiamo
che il Concilio sia stata una grande esperienza di fede per la Chiesa e che i
suoi contenuti abbiano illuminato la fede dei suoi membri. Guidato da questa
luce, anche il nostro Ordine ha iniziato un cammino di rinnovamento che ci
prepariamo a valutare in questo Capitolo Generale per aprirci al futuro,
fedeli alla nostra identità quali possessori del carisma dell’ospitalità, per
il bene della Chiesa e della nostra società, nel servizio agli infermi e ai
bisognosi.
1.2. Lumen Gentium. Il nuovo
concetto di Chiesa: apertura al laicato
La
Costituzione Dogmatica sulla Chiesa “Lumen
Gentium”, considerata il documento fondamentale del Concilio Vaticano II,
sviluppa e completa la dottrina che sulla Chiesa aveva incominciato a formulare
il Concilio Vaticano I, interrotto bruscamente nel 1869.
Pur mantenendo una continuità dottrinale con quanto si era andato
elaborando nel secolo anteriore, si distingue per un tono molto più pastorale
ed ecumenico, avvia l’elaborazione di una teologia del laicato e apre alla
Chiesa nuovi orizzonti di fronte al mondo moderno. Fu promulgata da Paolo VI il
21 novembre 1964.
La Chiesa viene presentata come mistero, come sacramento, come comunità.
Partendo dalle diverse immagini bibliche, interviene un cambio fondamentale
nella presentazione della sua funzione quale strumento di salvezza voluto da
Gesù per l’umanità.
Nel
definirsi, la Chiesa dà l’assoluta precedenza alla figura del popolo di Dio,
come nuovo popolo destinato all’alleanza con Dio che, in virtù del battesimo,
partecipa del sacerdozio comune di Cristo, arricchito da diversi carismi, con
una funzione universale e missionaria.
All’interno di questo popolo si dedica una considerazione speciale ai
fedeli laici che contribuiscono al bene della Chiesa in base al loro carattere
secolare che li è proprio e peculiare, e che sono destinati per vocazione a
cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio.
Sono chiamati da Dio a contribuire, dall’interno a modo di fermento, alla
santificazione del mondo esercitando la propria professione guidati dallo
spirito evangelico.
Pensiamo che la nuova ecclesiologia abbia influito positivamente sulla
forma di orientare la nostra vita e di sentirci Chiesa e che, mettendo in
risalto il valore della presenza dei laici nelle strutture umane, ci abbia
aiutato a inserire con profitto questa realtà nelle nostre strutture.
1.3. Forma di stare nel mondo:
Gaudium et Spes
La Costituzione Pastorale “Gaudium et
Spes” venne approvata dal Concilio Vaticano II il 7 dicembre 1965, dopo
essere stata studiata approfonditamente e rielaborata nelle tre sessioni
conciliari.
Nonostante l’ampiezza del suo contenuto, poggia su un’impostazione unitaria
che la qualifica. La Chiesa si definisce come posta al servizio dell’uomo ed
afferma che non c’è nulla di genuinamente umano che non trovi eco nel suo
cuore. Si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la
sua storia. Per questo si rivolge a tutti gli uomini, animata dal desiderio di
esporre a tutti come intende la sua presenza ed azione nel mondo contemporaneo.
Ha dinnanzi a se l’intera
famiglia umana nel contesto universale di tutte quelle realtà entro le quali
essa vive. Desidera instaurare un dialogo con essa su tutti i suoi problemi
alla luce del Vangelo e offrirle la forza salvifica che ha ricevuto dal suo
Fondatore. E la persona umana che si tratta di salvare, è l’umana società che
si tratta di rinnovare.
Senza voler entrare in
un’analisi più approfondita dei vari problemi, due sono le cose che vanno evidenziate
per l’incidenza che hanno avuto posteriormente sulla nostra vita. La prima è
che la Costituzione introduce una visione umanizzante dell’essere della
Chiesa, del suo stare al servizio dell’uomo, affrontando temi fondamentali
della sua identità: dignità, coscienza, libertà, rispetto, uguaglianza ecc. La
seconda è che esamina una serie di tematiche intimamente collegate con la
nostra missione: gli interrogativi profondi dell’uomo, la morte, il progresso,
la cultura, lo sviluppo economico ecc.
Non c’è dubbio che molti dei progetti
che abbiamo avviato nel processo del nostro rinnovamento e gran parte dei
nostri sforzi volti a rispondere alle esigenze attuali del nostro apostolato
siano stati ispirati da questa filosofia.
1.4. Principi sulla vita religiosa
emanati dai documenti conciliari: Lumen Gentium 43-47
e Perfectae Caritatis
La Lumen Gentium presenta la vita religiosa come uno stato
particolare distinto da quello dei chierici e da quello dei laici, stato che,
per sua natura, promuove lo sviluppo della persona umana, la purificazione del
cuore, la libertà spirituale e il fervore della carità. I consigli evangelici
vengono indicati come l’essenza della consacrazione.
Esorta a lavorare secondo le
forze e la forma della propria vocazione, sia con la preghiera, sia con
l’operato apostolico, per il consolidamento e l’estensione del Regno.
La vita religiosa è un segno che
attira i membri della Chiesa a compiere con slancio i doveri della vocazione
cristiana. Liberi dalle preoccupazioni terrene, capaci di testimoniare la vita
nuova ed eterna conquistata dalla redenzione di Cristo, i religiosi abbino
cura e sollecitudine, affinché la Chiesa, attraverso le loro vite, presenti
Cristo al mondo.
Dichiara che lo stato, che è
costituito dalla professione dei consigli evangelici, pur non concernendo la
struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia fermamente alla sua
vita e alla sua santità.
La Chiesa eleva la professione
religiosa alla dignità di uno stato canonico e la presenta come stato
consacrato a Dio con la sua azione liturgica.
La Perfectae Caritatis muove
dalle dichiarazioni fatte dal Concilio sui religiosi nella Lumen Gentium, ma nella prospettiva di conferire maggiore efficacia
alla loro presenza nella Chiesa proponendo i principi per un adeguato rinnovamento:
“Il
rinnovamento della vita religiosa che si adegua alle esigenze dei tempi
comporta nello stesso tempo il continuo ritorno alle fonti di ogni vita
cristiana e allo spirito primitivo degli istituti, e l’adattamento
degli istituti alle mutate condizioni dei tempi” (PC 2).
Il Vangelo viene presentato come
suprema norma di vita. Si esorta a conservare lo spirito autentico dei
Fondatori ed i loro intenti, come pure le sane tradizioni; a che tutti gli
istituti partecipino alla vita della Chiesa e promuovano tra i loro membri
un’appropriata conoscenza dell’uomo e della realtà attuale della nostra
società mettendo in moto un rinnovamento spirituale.
I criteri proposti per il rinnovamento sono:
—
adattamento del modo
di vivere, di pregare e di agire alle odierne condizioni fisiche e psichiche
dei religiosi, alle necessità dell’apostolato, alle esigenze della cultura e
alle circostanze sociali ed economiche;
—
riconsiderazione
della forma di governo degli istituti;
—
revisione delle
costituzioni, dei direttori, dei consuetudinari, dei manuali di preghiera e di
cerimonie e di altri codici di stile all’insegna del motto: no alla
moltiplicazione di leggi.
Afferma che un efficace
rinnovamento può aver luogo solo con la collaborazione di tutti i membri dell’istituto
e che va ancorato nella ricchezza della propria vita spirituale.
Agli istituti di vita apostolica
dice che la loro azione appartiene alla natura stessa della vita religiosa;
perciò tutta la vita dei loro membri sia compenetrata di spirito apostolico e
tutta l’azione apostolica sia animata da spirito religioso.
Rivolgendosi direttamente alla
vita religiosa laicale, conferma i membri appartenenti a questo stato nella
loro vocazione e li esorta ad adattare la loro vita alle esigenze attuali.
Dà criteri in relazione ai
consigli evangelici, alla vita comune, all’abito religioso, alla formazione, al
mantenimento, adattamento e abbandono delle opere, alla promozione delle
vocazioni ecc.
Riteniamo che la Perfectae Caritatis sia stato il decreto
che ha creato il maggior movimento in direzione del rinnovamento, non solo
all’interno della nostra istituzione, ma nella vita religiosa in generale. Così
lo voleva il Concilio e così è stato. Ora si tratta di valutare la profondità
di questo rinnovamento e di assumere sulla sua linea un modello di vita, quale
lo attende da noi Fatebenefratelli la Chiesa.
1.5. La riforma liturgica: Sacrosanctum
Concilium
È la prima Costituzione che il
Concilio approva dopo un processo di elaborazione molto partecipato, che denota
l’importanza che si attribuiva al tema e all’esigenza di rinnovamento. Entrò in
vigore nel mese di febbraio 1964, quando ancora non era iniziata la terza
tappa del Concilio.
Mise in moto nella Chiesa come
pure nell’Ordine un grande movimento di rinnovamento tutto teso ad assumere i
principi emanati dalla Costituzione. Il senso in sé della liturgia, il
sacramento dell’eucaristia con l’importanza che si è attribuita alla liturgia
della parola; l’ufficio divino; l’anno liturgico ecc. sono tutti temi che
furono esaminati dal testo conciliare e che noi fedeli abbiamo tentato di
incarnare nelle nostre espressioni liturgiche.
Analizzando la nostra realtà
attuale ci dobbiamo chiedere, fino a che punto ci siamo fermati in esteriorità
e fino .a che punto la riforma liturgica ci abbia aiutato veramente ad
approfondire il significato del mistero di Cristo. Forse dopo i cambiamenti del
Concilio pecchiamo attualmente di un certo abbandono dei temi liturgici e
faremo bene perciò a richiamarci alla mente i loro fondamenta per dare loro
nella nostra vita spirituale il significato che meritano.
2. IL
MAGISTERO DELLA CHIESA
POST-CONCILIARE
SULLA VITA
RELIGIOSA
E LA SUA MISSIONE
2.1
Ecclesiae Sanctae: norme per l’attuazione del Decreto Perfectae Caritatis
Nell’introduzione di questo documento, promulgato
di agosto 1966, Paolo VI dice che il Concilio Vaticano II esige che si
stabiliscano norme e direttive per rispondere alle necessità create dallo
stesso Concilio.
Pubblicandole
promuove un periodo di sperimentazione che servirà anche per la revisione e la
modifica del nuovo Diritto Canonico.
La
pubblicazione abbraccia l’ambito di quattro Decreti conciliari, tra cui la Perfectae Caritatis.
Accogliendo
queste esigenze, l’Ordine avvia un processo di revisione ed adattamento delle
proprie Costituzioni elaborando nello stesso tempo gli Statuti Generali e
promuovendo la vitalità spirituale ed apostolica tra i Confratelli, i
collaboratori, gli amici e gli infermi.
Nel
portare avanti questo compito tiene in considerazione sia i criteri che si
propongono per un adeguato rinnovamento, sia gli aspetti indicati come bisognosi
di adattamento e rinnovamento.
2.2. Evangelica Testificatio:
Esortazione Apostolica di Paolo VI circa il rinnovamento della vita religiosa
secondo l’insegnamento del Concilio
Pubblicato
il 29 giugno 1971, questo documento ha portato nella nostra vita una ventata di
aria fresca.
È il primo documento di
contenuti sulla vita religiosa che esce dopo il Concilio Vaticano II. E’ un
documento pensato e lavorato che introduce concetti nuovi in riferimento
all’interpretazione della vita religiosa nel mondo moderno.
Presenta la vita religiosa come
testimonianza evangelica che manifesta agli uomini il primato dell’amore di Dio
e dei valori del Regno. Rafforza il significato della sua presenza nella
Chiesa, arrivando ad affermare addirittura che, senza questo segno concreto,
la carità che anima l’intera Chiesa, rischierebbe di raffreddarsi, il
paradossale e meraviglioso messaggio salvifico del Vangelo di perdere la sua
forza di penetrazione, il sale della fede di diluirsi in un mondo in fase di
secolarizzazione.
Invita a superare certi elementi
esteriori, a snellire appesantimenti e irrigidimenti e a compiere tutti gli
adattamenti necessari. Afferma Paolo VI che segue con attenzione tutti gli
sforzi di rinnovamento in atto, voluti dal Concilio.
Affronta molti temi peculiari
della nostra vita, con grande chiarezza, con contenuti nuovi, tracciando linee
che più tardi verranno raccolte come principi nelle Costituzioni degli
istituti e nello stesso Diritto Canonico.
Per noi è stata fonte per il
rinnovamento spirituale delle nostre vite ed ispirazione per il testo delle nostre
Costituzioni attuali.
2.3. Evangelii
Nuntiandi: Esortazione Apostolica di Paolo VI sull’evangelizzazione del mondo
contemporaneo
Scritto un anno dopo l’Assemblea Generale del
Sinodo dei Vescovi del 1974, a dieci anni dalla chiusura del Concilio, affronta
il tema dell’evangelizzazione nel mondo moderno in maniera molto felice.
E uno dei documenti migliori del
magistero di Paolo VI. Prova ne è che ha mantenuto intatta la sua attualità
fino ai giorni nostri.
Prende in considerazione quattro
questioni fondamentali: Che cosa significa evangelizzare? Qual è il contenuto
dell’evangelizzazione? Quali sono i suoi destinatari? Come evangelizzare oggi?
Apre nuove frontiere mettendo il
Vangelo in relazione con lo sviluppo, la liberazione, le strutture, la politica
ecc. Sottolinea il grande valore della testimonianza e del contatto personale
per l’evangelizzazione. Tutto ciò ha contribuito a che nella Chiesa si sia
passato dal concetto “essere missionario”
al concetto “evangelizzare”.
Nel presentare gli agenti
dell’evangelizzazione, dice che noi religiosi abbiamo nella vita consacrata un
mezzo privilegiato per una evangelizzazione efficace. Testimoni della santità
nella dimensione del radicalismo delle beatitudini. Descrive la nostra vita
come una predicazione eloquente, capace di impressionare anche i non cristiani
di buona volontà, sensibili a certi valori.
Mette in risalto la dedizione di
tanti religiosi all’annuncio di Cristo giudicando il loro apostolato ricco di
originalità, immaginazione e generosità.
2.4. Mutuae
Relationes: note direttive per le relazioni tra i vescovi e i religiosi nella
Chiesa
È un documento emanato congiuntamente dalla Sacra
Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari e da quella dei Vescovi.
La data di pubblicazione è il 14 maggio 1978.
E diviso in due parti: una dottrinale che, nel caso
dei religiosi, tocca il tema dell’identità e del carisma proprio degli istituti
che deve essere custodito, approfondito e sviluppato in sintonia con il Corpo
di Cristo, in crescita perenne, tenendo presente i doni personali che ciascun
religioso riceve dallo Spirito.
La seconda parte ha un’impostazione più pratica e
si riferisce al campo formativo, all’aspetto operativo e al coordinamento in
funzione della realizzazione di un buon apostolato.
Diversi di questi aspetti sono confluiti tanto nel
nostro diritto proprio quanto nel nostro stile di vita in ordine a rispondere
alle esigenze della nostra vocazione, avendo un impatto particolarmente forte
nel campo della formazione permanente, della pastorale della salute e
dell’apostolato nella Chiesa locale, diocesana e nazionale.
2.5. Il nuovo Codice di Diritto Canonico: 1983
Promulgato il 25 gennaio 1983 da Giovanni Paolo
II, la nuova versione del Codice opera una profonda riforma su quello
risalente al 1917.
Alla riforma del Diritto Canonico si stava lavorando
da anni raccogliendo i concetti fondamentali del Concilio Vaticano II e del
Magistero successivo fino al momento della sua promulgazione.
La sua pubblicazione è avvenuta, quando le nostre
Costituzioni già erano state elaborate definitivamente. Il fatto di aver
potuto visionare e studiare tutto il materiale esistente prima della sua
pubblicazione ufficiale, ci ha permesso tuttavia di ispirarci ad esso in tutto
il nostro lavoro e di integrare nel nostro diritto proprio tutto ciò che
riguardava da vicino la nostra vocazione.
2.6
Salvifici Doloris
È una Lettera Apostolica scritta da
Giovanni Paolo II l’11 febbraio 1984 sul senso cristiano della sofferenza
umana.
La offre al mondo dopo essere passato
come Pontefice attraverso l’esperienza dell’attentato e, come conseguenza, del
dolore, della sofferenze e della possibilità di perdere la vita.
E’ divisa in due parti: nella prima
viene proposta un’antropologia della sofferenza, nella seconda una teologia
della sofferenza.
Come approccio del magistero
all‘infermità e al dolore, non apporta nessuna innovazione speciale; tuttavia è
la prima volta che la Chiesa presenta una riflessione sistematica sul tema. E’
densa di contenuti, particolareggiata e contiene una serie di elementi che
aiutano a comprendere il senso cristiano della sofferenza e a viverlo
integrando il dolore nella vita delle persone sulla base di una visione
olistica della realtà.
2.7. Redemptionis Donum
È un’Esortazione
Apostolica di Giovanni Paolo II ai religiosi e alle religiose pubblicata il 25
marzo 1984 a circa un anno dalla promulgazione del Diritto Canonico.
È un documento che presenta una visione teologica
della vita religiosa prendendo in considerazione sì tutti i temi fondamentali,
ma che — questo il nostro parere — senza scendere in aspetti pratici, si limita
a ricapitolare la dottrina che il magistero recente della Chiesa è andato
formulando al rispetto a partire dal Concilio Vaticano II.
2.8. Dolentium Hominum
È una Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio,
scritta da Giovanni Paolo II l’ 11 febbraio 1985, con la quale viene istituita
la Pontificia Commissione per la Pastorale degli Agenti Sanitari, il cui
compito sarà coordinare tutte le istituzioni cattoliche, sia religiose che
laiche, dedite alla pastorale degli infermi.
Mantenendo la stessa finalità, la Commissione più
tardi viene elevata al rango di Pontificio Consiglio. Il documento fonda
l’azione pastorale a favore degli infermi su un concetto integrale dell’uomo,
che non può essere assistito soltanto nelle sue necessità somatiche, ma anche
sotto l’aspetto spirituale.
Per noi questo atto non è stato solamente
un’espressione di conferma del significato della nostra missione, ma anche uno
stimolo per realizzare ciò a cui siamo stati chiamati da Cristo, in collaborazione
con altri gruppi con una missione simile e in sintonia con i principi emanati
dal magistero.
2.9. Lineamenta per il Sinodo sulla vita
religiosa
È la IX Assemblea ordinaria che ci si prepara a
celebrare. Il tema è stato stabilito da Giovanni Paolo II il 30 dicembre 1991.
Avrà luogo nell’autunno del 94, praticamente in concomitanza con il nostro
Capitolo Generale.
Consultando vari organismi e seguendo le
indicazioni dello stesso Giovanni Paolo II, il Consiglio della Segreteria Generale
del Sinodo ha preparato il testo delle Lineamenta unitamente ad un
questionario, il cui scopo è di promuovere tra i pastori della Chiesa gli
interessati una riflessione approfondita in vista del prossimo dibattito
sinodale.
Si presenta come un cammino
sinodale, che è stato iniziato e che continua accompagnato dalla riflessione,
la meditazione e la preghiera di tutta la Chiesa, affinché i consacrati possano
giungere ad una presa di coscienza più profonda e ad un impegno più autentico
nella missione della Chiesa per la salvezza del mondo.
Invita la vita religiosa “a rendersi sempre più generosa nella nuova
evangelizzazione del mondo attuale, con le sue situazioni variegiate e
diversificate di persone, categorie e culture” (3).
Parla della vita religiosa laicale presentandola
come “una forma rilevante di
consacrazione nella sua espressione carismatica, con una grande diversità di
servizi apostolici e sociali in favore dell’umanità. I religiosi laici, mossi
dal proprio carisma, si aprono a tutti nell’amore universale di Cristo per
lenire i dolori dei deboli e degli ammalati, per venire incontro ai poveri ed
emarginati, per contribuire a stabilire la vera pace e giustizia in questo
mondo, in una comunione fraterna universale che viene evocata dallo stesso
nome con cui vengono designati, cioè, FRATELLI” (21).
In numerose prese di posizione che nel frattempo
sono state pubblicate in relazione al testo delle “Lineamenta”, abbiamo potuto leggere che lo stesso offre una
visione della vita consacrata limitata rigidamente alle coordinate del
magistero ufficiale, il ché rappresenta in se innegabili vantaggi, ma che allo
stesso tempo implica un impoverimento considerevole, perché così si ignora
praticamente la grande ricchezza di esperienza accumulata da tanti consacrati
nelle più diverse parti del mondo. La vita consacrata è di per se stessa vita e
pertanto movimento.
2.10. Altri documenti apparsi nella Chiesa con riferimento
ai religiosi: vita di preghiera, apostolato, formazione...
2.10.1. Religiosi
e promozione umana
È un documento elaborato dalla Sacra Congregazione
per i Religiosi e gli Istituti Secolari, pubblicato il 12agosto 1980.
Dato che i religiosi per il loro inserimento in
seno alla Chiesa e il loro collegamento peculiare con la sua missione sono
stati e continuano ad essere particolarmente sensibili e coinvolti
nell’apostolato di presenza, impegno ed azione diretto alla lotta per la
promozione integrale dell’uomo che caratterizza il nostro tempo, si ritenne
opportuno propone dei criteri al rispetto, contrastando nel contempo cene
visioni riduttive o esagerate.
Il documento affronta quattro temi, di cui tre direttamente
collegati con la nostra presenza ed azione storica nella Chiesa: l’opzione per
i poveri e per la giustizia oggi; le attività e opere sociali dei religiosi;
l’inserimento nel mondo del lavoro.
La riflessione proposta su
questi tre problemi ci portato, nel nostro processo di rinnovamento, a compiere
azioni e a cambiare atteggiamenti per rispondere meglio alle esigenze del
nostro essere ed agire nella Chiesa.
Prova ne sono i numerosi
cambiamenti realizzati e i principi assunti nella nostra vita.
2.10.2. La dimensione contemplativa
della vita religiosa
E’ un documento preparato dalla Sacra Congregazione per i Religiosi e gli
Istituti Secolari, pubblicato, al pari del precedente, il 12 agosto 1980.
Per fortuna è un segno peculiare del nostro tempo
la riscoperta, in atto nel Popolo di Dio, del gusto per l’attività
contemplativa. Il documento, di fronte a questa ripresa, dà in un certo qual
modo quasi per scontata la relativa dottrina e pone l’accento sugli
orientamenti pratici ed attuali, dedicando la prima parte in prevalenza agli
istituti di vita attiva e la seconda a quelli di vita contemplativa.
Sottolinea l’importanza della interiorità
spirituale di ogni forma di vita consacrata e la necessità ed urgenza di
riaffermare l’assoluto primato della vita nello Spirito.
Nel caso degli istituti di vita attiva, la Sacra
Congregazione ha voluto promuovere soprattutto l’integrazione tra interiorità
e dinamismo affrontando quasi tutti i temi che costituiscono la nostra vita,
nell’auspicio che si stabilisca una vera osmosi tra queste due realtà.
Vari dei suoi orientamenti sono stati ripresi nei
nostri lavori illuminativi e tradotti in pratica nella nostra vita.
2.10.3. Direttive sulla formazione
negli istituti religiosi
È un documento elaborato dalla Sacra Congregazione per gli Istituti di
Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, pubblicato il 2 febbraio 1990.
La sua pubblicazione era attesa da tutti i religiosi, dato che se ne stava
parlando da anni e che da anni circolavano “bozze” che a noi ed altri sono
servite per l’elaborazione delle Costituzioni e la preparazione del libro
sulla formazione.
Il suo scopo è: precisare i
concetti da tenere in considerazione nella formazione dei candidati alla vita
religiosa; presentare gli agenti e
gli ambiti della formazione analizzando alcuni tratti caratteristici del
nostro tempo e definire le tappe
della formazione.
Riteniamo che la Consacrazione con questo scritto abbia reso un grande
servizio agli istituti della vita religiosa, anche se la sua pubblicazione è
giunta in un momento in cui la maggioranza, tra cui noi, aveva già organizzato
a livello di diritto e di filosofia tutti gli apporti conciliari e
post-conciliari in materia di formazione.
Avendo avuto fortunatamente la possibilità di consultare le “bozze” in
circolazione, possiamo dire che i nostri orientamenti sono basati su queste
direttive della Chiesa.
Riguardo alla formazione dei candidati e alla formazione permanente
illuminano e rinforzano i principi dai quali siamo partiti, e le azioni che
andiamo realizzando.
2.10.4 Fratello negli Istituti
Religiosi Laicali
É un
documento scritto dai Superiori Generali degli Istituti Laicali, tra cui anche
il nostro Superiore Generale Fra Brian O’Donnell, pubblicato nel mese giugno
1991. Il suo scopo fu quello di presentare l’identità specifica del Fratello.
Illustra
in tutta la sua pienezza significato e valore della vita del Fratello, la cui
vocazione risponde in pieno alle necessità del nostro mondo: al servizio
dell’amore in nome di Gesù, siamo, con tutto quello siamo e che possiamo fare,
testimoni di una fraternità possibile in un mondo sempre più lacerato.
Presentato come ricercatore dell’Assoluto, il Fratello è chiamato a fare
della preghiera un’attitudine normale nella sua vita compiendo ovunque, nel suo
vivere comunitario e nel suo apostolato, la sua missione fondamentale che è
quella di vivere e trasmettere al mondo l’utopia evangelica della fraternità.
3. INCIDENZA SULL’ORDINE:
RINNOVAMENTO PER L’OSPITALITÀ
3.1. Il movimento che si crea
nell’Ordine in risposta alle esigenze del Concilio
Il Motu
Proprio “Ecclesiae Sanctae” che ha
impartito le norme per l’attuazione dei diversi decreti del Concilio Vaticano
II, nella parte dove si riferisce alla “Pecfectae
Caritatis” chiede agli istituti religiosi di convocare entro due o tre anni
al massimo uno speciale Capitolo Generale, ordinario o straordinario.
Questo Capitolo si potrà tenere in due periodi distinti, con un intervallo
di tempo in genere di non più di un anno.
Ai fini di una migliore preparazione si sollecita di realizzare un’ampia
consultazione dei religiosi nella forma che si crede più opportuna (II. 1. 3 e
4).
Questo Capitolo ha la facoltà di modificare in forma sperimentale
determinate norme delle Costituzioni.
Questi esperimenti si potranno protrarre fino al prossimo Capitolo che
potrà prolungarli, ma non per un periodo maggiore di sei anni.
Partendo da questi principi, nell’Ordine prende corpo un movimento di
rinnovamento che era già stato avviato in alcuni aspetti durante i primi anni
del generalato di P. Igino Aparicio e precedentemente da P. Mosé Bonardi.
3.2. Revisione e adattamento delle
Costituzioni ed elaborazione degli Statuti Generali
3.2.1. Costituzioni e Statuti
Generali “ad experimentum”: 1971
Seguendo le direttive impartite dal Motu Proprio
“Ecclesiae Sanctae”, l’Ordine promosse un Capitolo Generale Straordinario, con
due sessioni nel 1969 e nel 1970, orientato fondamentalmente alla revisione
delle Costituzioni e all’elaborazione dei nuovi Statuti Generali.
Anche se queste Costituzioni seguono ancora lo
schema tradizionale, contengono numerosi elementi che conferiscono loro un
sapore nettamente post-conciliare:
-
integrano,
adeguandola alla realtà dell’Ordine, la dottrina dei documenti del Concilio e
di quelli emanati nel frattempo dal magistero in relazione al Concilio;
-
eliminano gran parte
della normativa che passa a costituire materia degli Statuti Generali;
-
presentano in
maniera positiva i voti;
-
danno grande forza
al significato liturgico della nostra fede;
-
promuovono l’azione
missionaria dell’Ordine;
-
integrano nuovi
concetti di formazione: lo scolasticato, la formazione continua, la necessità
di studi speciali.
Negli Statuti Generali viene creato il Segretariato Generale per le
Missioni e si incoraggia l’istituzione di altri.
3.2.2 Costituzioni e Statuti Generali del 1984
Il Capitolo Generale del 1976 era del parere che le Costituzioni approvate
dopo il Concilio Vaticano II non avessero avuto il tempo sufficiente per essere
assimilate e messe in pratica dall’Ordine e considerò pertanto opportuno
rimandare l’elaborazione delle Costituzioni definitive per altri sei anni.
Dopo un ampio lavoro di elaborazione, al quale presero parte tutti i
Confratelli, si giunse a un progetto definitivo che fu sottoposto allo studio
e all’approvazione del Capitolo Generale del 1982.
Nelle nuove Costituzioni confluiscono la dottrina del Concilio e gli
insegnamenti del magistero post-conciliare, ma anche l’esperienza vissuta
dall’Ordine nei quasi vent’anni che allora ci separavano ormai dall’assemblea
sinodale.
Anche se hanno un carattere eminentemente dottrinale e teologico, sono
piene di vita ed accessibili a tutti i Confratelli. Sono state presentate come
il nostro libro di vita, sono state chiamate il nostro principale libro di
preghiera. Sono state definite il Vangelo in chiave di carisma.
Gli elementi qualificanti che le caratterizzano, sono:
-
integrano non solo i
principi emanati dai decreti conciliari, ma anche quelli proposti successivamente
dal magistero post-conciliare;
-
prendono in
considerazione tutti i criteri della teologia della vita religiosa;
-
si fondano su
un’esperienza di dodici anni vissuta da parte dell’Ordine;
-
presentano in una
nuova luce il carisma, la spiritualità e la missione dell’Ordine;
-
definiscono in
termini nuovi il voto di ospitalità;
-
aprono nuovi
orizzonti all’esercizio del nostro apostolato;
-
sottolineano
l’importanza di essere comunità di vita e la necessità di un’autentica vita
spirituale.
Gli
Statuti Generali non vengono sottoposti ad uno studio così rigido come le
Costituzioni; la loro approvazione avviene tuttavia con il verdetto dei Capitolari
che decidono di affidare ad una commissione la redazione del testo da
presentare in via definitiva.
3.3. Documentazione dei Rev.mi
Padri Generali Iginio Aparicio, Mario Alfonso Gauthier, Pierluigi Marchesi e
Brian O’Donnell
P. Igino
Aparicio il 10 gennaio 1960
scrive una lettera circolare per l’attuazione delle conclusioni del Capitolo
Generale del 1959, in cui tocca tre aspetti concreti collegati intimamente con
la vita religiosa: la vita spirituale; reclutamento e selezione delle vocazioni
e perfezionamento della formazione della nostra gioventù. Richiamandosi alla
Costituzione Apostolica “Sedes Sapientiae”,
invita a realizzare una simbiosi tra vita spirituale ed attività apostolica.
Allo stesso tempo impartisce alcune norme per i diversi centri di formazione,
istituendo lo scolasticato come tale.
Il 10 aprile 1966 scrive, sotto
l’influsso della ripetuta lettura della Costituzione, Lumen Gentium e del Decreto Perfectae
Caritatis, una lettera intitolata “Lo
stato religioso ospedaliero alla luce del Concilio Ecumenico Vaticano II”, nella quale presenta alla
considerazione dei suoi Confratelli alcuni punti della dottrina conciliare che
più tardi saranno inseriti nelle Costituzioni “ad experimentum”. Conclude lanciando un appello ai religiosi a
rinnovarsi secondo lo spirito del Vangelo. Afferma: “Non viene proclamata una riforma giuridica, bensì spirituale; una
rinnovazione, cioè, interiore di quanto costituisce l’essenza dello stato
religioso... Se ci sforziamo di vivificare i basilari principi ricordati dal
Concilio ai religiosi, il nostro santo Padre Fondatore vedrà in noi tanti suoi
degni successori, fedeli alla Chiesa, col medesimo grande ardente amore, che
egli aveva per essa.”
P. Mario Alfonso Gauthier dedicò parte del suo lavoro come Superiore
Generale a promuovere l’assimilazione delle nuove Costituzioni secondo lo spirito
della Chiesa. Presentandole l’8 marzo 1971 all’Ordine, scrisse: “Vi invitiamo a studiarli attentamente e a
meditarli, per quindi viverli con fervore e raggiungere così la meta fissataci
dal Concilio Vaticano II, cioè: il nostro rinnovamento spirituale personale e
quello di tutte le comunità dell’Ordine Ospedaliero.” Con lo stesso
impegno promosse la revisione del Cerimoniale dell’Ordine che venne pubblicato
il 24 ottobre 1974, colmando così un’altra precisa esigenza della Chiesa.
Sono tre i documenti principali
che P. Pierluigi Marchesi scrive
durante il suo generalato: Le basi del
rinnovamento, L’Umanizzazione e L’Ospitalità dei Fatebenefratelli verso il
2000.
Le basi del rinnovamento è un documento che P. Pierluigi indirizza ai
Confratelli per dare risposta ad una richiesta dei Capitolo Generale del 1976,
dopo aver creato le commissioni “H” e “R” ed aver tenuto una riunione a Granada
nel mese di marzo 1976 con i PP. Provinciali. Di questo scritto ci occuperemo
più avanti.
L’Umanizzazione, pubblicata nel mese di marzo 1981, fu offerta
all’Ordine di nuovo dopo un incontro previo con i PP. Provinciali destinato al
suo studio e completamento. La riflessione ha un duplice tema di fondo: la
crescita personale dei Confratelli come tali e delle comunità chiamate a vivere
secondo un ideale e la progettazione della nostra presenza nelle opere sulla
base di un’attitudine umanizzante: “Umanizzarsi
per umanizzare “. Nel documento è stato riconosciuto un denominatore
comune, l’umanizzazione appunto quale base su cui poggiare gli sforzi di rinnovamento
personale e dell’Ordine. Per l’incidenza che ha avuto sulla vita dell’Ordine,
torneremo più avanti nella nostra analisi su questo documento.
L’Ospitalità
dei Fatebenefratelli verso il 2000 traccia un nuovo stile di essere e di agire per il futuro immediato
dell’Ordine. Di fronte ai cambiamenti della nostra società sottolinea la
necessità di rimanere aperti allo Spirito, ai tempi e all’uomo di oggi per
individuare e comprendere le nuove categorie di bisognosi. Disegna un nuovo
ruolo per i Fatebenefratelli nella Chiesa e nella società sulla base di un
peculiare approccio alla vita e considera l’atteggiamento di ricerca come un
possibile momento di rinnovamento della nostra ospitalità.
Nell’appendice del documento vengono analizzati tre gruppi di bisognosi
che si propongono come destinatari preferenziali del nostro carisma: gli
anziani, i malati terminali e i tossicodipendenti.
I due interventi di maggior
spicco di Fra Brian Donnell hanno
visto la luce a motivo della celebrazione del terzo centenario della
canonizzazione di Giovanni di Dio: come si ricorderà, “Servo e Profeta” è uscito all’inizio, “Giovanni di Dio continua a vivere nel tempo” alla chiusura del
centenario. Quest’ultimo, presentato a Malaga nell’ambito di una Conferenza
Generale dell’Ordine, si segnala per la particolarità che fu elaborato
collegialmente dal Definitorio Generale.
In “Servo e Profeta” il P.
Generale presenta sotto questo duplice aspetto la figura di San Giovanni di Dio
nell’intento di dare, sulla base della propria esperienza, nuovo impulso alla
nostra vita religiosa e all’apostolato che il corpo dell’Ordine, Confratelli e
collaboratori, realizzano. Vede il futuro della nostra vita nella dimensione
della testimonianza profetica, dimensione che incarneremo scegliendo un approccio
contemplativo alla vita, in particolare alla sofferenza e al dolore, mettendo
i poveri e gli emarginati al centro del nostro servizio, facendo nostra una spiritualità
tesa all’integrazione e all’interconnessione, vivendo uno stile di vita sempre
più semplice ed aprendoci in tutto questo ad altri religiosi e ai laici. La
riflessione si chiude indicando come valore chiave quello dell’umanizzazione.
La nostra vita religiosa ha subito profonde trasformazioni, ma dobbiamo vivere
nella convinzione che siamo tornati di nuovo nelle mani del vasaio.
“Giovanni
di Dio continua a vivere nel tempo” è un messaggio rivolto all’Ordine
che, partendo dalla realtà, si propone di richiamare, con tutta la sua forza
vitale, il segno di Giovanni di Dio ricordando i principi basilari
dell’identità del Fatebenefratello. Pur riconoscendo il forte contrasto che
esiste tra il progetto della nostra vita e la società di oggi, il messaggio ci
chiede di essere coscienti che è questa la società che siamo chiamati a servire
proponendo soluzioni ai problemi esistenti. Il messaggio era inteso come veicolo
per trasmettere la forza dell’utopia e della speranza sia ai Confratelli che a
quanti costituiscono il corpo dell’Ordine.
Come aiuto e stimolo al rinnovamento dell’Ordine va letta finalmente la Relazione
che Fra Brian ha presentato all’incontro dei Superiori Maggiori svoltosi a
Roma dal 19 al 22 ottobre 1992 dopo la celebrazione dei Capitoli Provinciali.
Partendo dalla domanda Come vanno le
cose? il P. Generale affronta in essa due tematiche che considera di
importanza fondamentale: il rinnovamento e forme appropriate dell’ospitalità.
Concludendo afferma che, anche se il rinnovamento non è sparito dal
lessico dell’Ordine e dai suoi progetti e viene auspicato e ricercato dai
singoli e dalle Comunità, occorre che la sua necessità e i mezzi per la sua
realizzazione vengano richiamati con maggiore forza.
3.4.
Documentazione dei Capitoli Generali: 1965, 1970, 1976, 1979, 1982 e 1988
Il LVII Capitolo Generale, denominato nell’occasione intermedio perché non
implicava l’elezione del Generale, ebbe luogo nel mese di maggio 1965. Si
dedicò a studiare le proposte presentate dai PP. Capitolari, dalle quali si
nota chiaramente l’incidenza sui Confratelli incominciava ad esercitare la dottrina
conciliare, anche se il Concilio era ancora in pieno svolgimento.
Il LVIII
Capitolo Generale, denominato
straordinario, fu celebrato in due sessioni nel 1969 e nel 1970 ed era
orientato, come Capitolo speciale secondo le direttive del Motu Proprio Ecclesiae Sanctae, completamente
all’elaborazione delle Costituzioni e degli Statuti Generali. Nella seconda parte,
oltre all’approvazione del testo delle Costituzioni, si svolse la fase elettiva
del nuovo governo dell’Ordine per il sessennio successivo.
Il LIX
Capitolo Generale, celebratosi
nel mese di ottobre 1976, concordò di prorogare per altri sei armi le Costituzioni
“ad experimentum “. Inoltre decise
che una commissione nominata ad hoc approfondisse i temi più importanti e
preparasse il materiale necessario per le Costituzioni definitive. Con ciò segnò
in un certo qual modo il contenuto del Capitolo Straordinario del 1979. Furono
esaminate tutte le questioni importanti della nostra vita religiosa secondo la
documentazione del Concilio ed approvate una serie di proposte che sarebbero
servite come base per i lavori successivi.
Il LX Capitolo Generale, celebratosi nel 1979, era un Capitolo
straordinario, che fu convocato allo scopo di compiere uno studio approfondito
del carisma come richiesto dal Capitolo precedente.
Venne
introdotta una nuova metodologia che privilegiava il lavoro di gruppo rispetto
Venne
concordato un piano generale per la revisione delle Costituzioni da promuovere
da una Commissione Centrale nelle Province e nelle comunità.
Il
Capitolo approvò una nuova formulazione del voto di ospitalità ad experimentum che più tardi sarebbe
stata inserita nelle nostre Costituzioni attuali.
Delimitò
e distribuì la programmazione secondo i seguenti campi di azione: apostolato,
stile di vita, formazione e governo ed amministrazione. Individuò il problema
fondamentale dell’Ordine all’epoca nello “squilibrio
tra la logica assistenzialista” e “la
logica evangelizzatrice” che implica e comporta il carisma specifico
dell’Ordine.
Inoltre
stabilì un programma suddiviso in obiettivi e tappe da realizzare
successivamente nella vita delle Provincie.
Il LXI Capitolo Generale, svoltosi nel 1982, non elaborò un nuovo piano di
azione, ma si limitò a rivedere ed aggiornare quello del 1979 cercando di
renderlo più funzionale ed aderente alla realtà delle Province.
Pur
riconoscendo una serie di aspetti positivi entrati a far parte della vita
dell’Ordine grazie al lavoro realizzato nei tre anni successivi, il Capitolo
constata allo stesso tempo una serie di problemi che debbono essere affrontati
per migliorare e rendere più efficace la vita dei religiosi. Alla luce di
questa visione di insieme il Capitolo definisce come problema fondamentale: “Constatiamo con una certa preoccupazione
che il modo in cui ci inseriamo attualmente nelle opere assistenziali è in
contrasto con la vita e l’azione di San Giovanni di Dio.”
Il lavoro principale del Capitolo era orientato analisi e all’approvazione
definitiva delle Costituzioni. Dopo che i PP. Capitolari avevano studiato e
discusso lungamente il testo proposto cercando di identificarci con esso, il
Capitolo nominò una commissione per la redazione definitiva delle Costituzioni.
Degli Statuti Generali furono trattati nell’aula solo quegli aspetti
strettamente collegati con il testo delle Costituzioni.
Inoltre il Capitolo deliberò che i Segretariati Internazionali per la Formazione
e per la Pastorale Ospedaliera fossero incaricati di determinati programmi, che
si nominassero due Coordinatori Generali per missioni in Africa e in Asia e che
si erigesse uno Scolasticato Interprovinciale nell’Africa Occidentale.
Il LXII
Capitolo Generale, celebratosi
nel 1988, fu preparato con l’elaborazione di un documento intitolato “Ospitalità - impegno con l’uomo”. Si
mantenne la metodologia introdotta nei due Capitoli precedenti e ciascuna fase
era preceduta da un’introduzione del P. Presidente. Un altro elemento di lavoro
costituirono le valutazioni presentate dai Segretariati Generali.
Dopo aver valutato attentamente gli aspetti positivi e negativi del
sessennio trascorso, il Capitolo denuncia che “il problema principale dei Confratelli consiste nella poca incidenza
del nostro apostolato tra i malati e i bisognosi” aggiungendo che è un
aspetto preoccupante, perché è dal Capitolo del 1979 che questo problema viene
evidenziato. Perciò il Capitolo considera imprescindibile continuare il processo
di rinnovamento, avendo come centro l’ospitalità secondo lo stile del nostro
Fondatore (Fase del giudicare).
La programmazione è animata dal
desiderio di dare nuovo impulso alla dimensione dell’apostolato che viene
trattata sotto il titolo “Ospitalità”;
nel settore della formazione vengono privilegiate la formazione permanente e la
pastorale vocazionale; viene incoraggiata l’azione missionaria, rivolta
un’attenzione speciale al tema dei collaboratori (come si ricorderà, hanno
partecipato in questo Capitolo per la prima volta otto collaboratori in veste
di uditori a una parte delle sessioni) e proposto un piano di riorganizzazione
per le strutture di animazione dell’Ordine (Fase dell’agire).
Infine il Capitolo demanda al
Governo Generale di studiare determinate questioni collegate agli Statuti
Generali e di indicare adeguate soluzioni in merito.
3.5. Azioni
nella vita dell’Ordine
3.5.1. Scuola Internazionale di
Spiritualità e Missionologia. Studentati Interprovinciali
Nelle norme impartite da P.
Igino Aparicio per i centri di formazione si trova un capitolo intitolato Scuola Internazionale che si riferiva
alla Scuola di Spiritualità e Missionologia eretta a Roma nel 1955 e inaugurata
nel 1956. In quanto alla spiritualità vennero proposti i seguenti obiettivi:
cultura teologica e spirituale, preparazione di formatori, relazioni tra i
Confratelli delle diverse Province e apprendimento dell’italiano. Per quanto
riguarda invece la missionologia, lo
scopo era di preparare spiritualmente, moralmente e culturalmente i religiosi
impegnati in terra di missione.
Nelle norme succitate si trova
inoltre un capitolo dedicato allo Studentato
Interprovinciale. In esso si incoraggiò le Province di lingua comune a
costituire una casa di studi superiori interprovinciale, la cui erezione doveva
comunque essere approvata dal P. Generale con il suo Definitorio. Si propose di
crearla in una casa con un’opera apostolica sotto la guida di in maestro, anche
se tutti i Confratelli sarebbero comunque rimasti sotto l’autorità di un Priore
locale.
3.5.2. Le Commissioni “H” e “R”
Nel Capitolo Generale del 1976
fu deciso la creazione di una Commissione con il compito di studiare alcuni
punti in relazione alla ospitalità destinati ad essere integrati nelle
Costituzioni definitive.
A tal fine si tenne a Roma dal
26 ottobre al 2 novembre 1977 una riunione convocata dal P.Generale, nel cui
ambito venne istituita la Commissione H.
Il compito di tale Commissione si incentrò su tre aspetti: lo studio del voto
di ospitalità, lo studio del carisma e del fine specifico dell’Ordine, e la
preparazione dei contenuti e della dinamica del Capitolo Generale
Straordinario.
Chi consulta la documentazione
della Commissione, può constatare come il P. Generale, istituendola, era
animato dal desiderio di spingere l’Ordine a mettere in pratica l’invito del
Vaticano II, vale a dire a realizzare “il
rinnovamento autentico dell’Ordine”. Per definire le competenze e i
compiti della Commissione fu elaborato un documento guida intitolato: ”Sul rinnovamento dell’Ordine nella vita
nell’espressione del suo carisma”.
Realizzando uno studio
approfondito sul contenuto del carisma, si era convinti di poter appoggiare
significativamente il processo di rinnovamento spirituale e la fraternità dei
Confratelli.
Nella stessa riunione fu
istituita la Commissione R per il
rinnovamento.
3.5.3. 1979:
Anno del Rinnovamento. Corsi di rinnovamento
In un incontro con i PP.
Provinciali svoltosi a Granada i primi di marzo del 1978, il P. Generale presentò
una riflessione intitolata: “Le basi del
rinnovamento” che posteriormente venne proposta a tutto l’Ordine in data
18 aprile 1978.
Nell’introduzione di questo
scritto P. Marchesi proclamò l’anno 1979 “Anno del Rinnovamento”, che sarebbe
culminato nel Capitolo Generale Straordinario. Le Commissioni “H” e “R”
organizzarono una serie di corsi: si iniziò con uno riservato a rispettivamente
due animatori di ciascuna Provincia, che si tenne a Roma nel mese di novembre
1978, al quale seguirono diverse riunioni di Superiori organizzate per gruppi
linguistici, nonché diversi incontri per sensibilizzare tutti i Confratelli.
Il P. Generale considerava la
sua riflessione come un modesto, fraterno e meditato aiuto teso ad avviare il
rinnovamento dell’Ordine a livello personale e comunitario. La riflessione era
suddivisa in due parti intitolate rispettivamente le barriere che ci dividono e
i punti forti che ci uniscono.
3.5.4. I
Segretariati Generali e la Commissione Generale di Animazione
I
Segretariati Generali sorgono all’interno dell’Ordine come strumenti di aiuto
per il P. Generale il suo Consiglio nell’area di governo e dell’animazione.
Sulla stessa linea vengono istituiti nelle Province i Segretariati Provinciali.
Abbiamo già rilevato come nelle
Costituzioni del 1971 si parli del Segretariato Generale per le Missioni (C
nn. 111 e 118) e si promuova la creazione di altri per i seguenti campi:
vocazioni, formazione, pastorale ospedaliera, ospitalità ed amministrazione (SG
n. 255). Il motivo per cui si creano i Segretariati è di “rendere sempre più aggiornato ed efficace il nostro specifico
apostolato”. Ignoriamo se all’epoca si è arrivati ad istituzionalizzare gli
stessi a livello della Curia Generalizia; sappiamo tuttavia che incominciarono
a funzionare in alcune Province.
Nel 1978 Fra Pierluigi Marchesi
nel presentare “Le basi del rinnovamento
“, scrive una breve lettera, nella quale, facendo riferimento
all’organizzazione della Curia Generalizia, annuncia la creazione di due
uffici, tra cui quello di studi e formazione, e cinque Segreterie
rispettivamente per la Pastorale Vocazionale, le Missioni, la Pastorale
Ospedaliera, gli Ospedali e le relazioni con i collaboratori secolari. Alcuni
di questi incominciano in seguito a lavorare; altri tuttavia entrano soltanto
dopo il Capitolo del ‘82 pienamente in funzione.
Nel sessennio 1982-1988 sono
stati costituiti i Segretariati per i Laici, Studi e Formazione, Missioni,
Pastorale Sanitaria, Centri ed Amministrazione. Erano composti da religiosi e
collaboratori. Hanno elaborato propri obiettivi e si sono riuniti due volte
all’anno. Il lavoro realizzato è raccolto nei relativi verbali.
Il Capitolo Generale del 1988 considerò iperdimensionata questa
organizzazione e chiese al Governo Generale nella linea di azione 28.3 della
sua programmazione di “riesaminare e
riorganizzare i Segretariati Generali, affinché incoraggino, stimolino e
animino i seguenti settori della vita dell’Ordine: pastorale ospedaliera,
missioni, stile di vita e governo della comunità, formazione, laicato e centri ed amministrazione.”
Accogliendo
questa richiesta, nel piano di governo elaborato e presentato da Fra Brian
O’Donnell con una lettera nel mese di febbraio 1989, si affida la responsabilità
di ciascuna delle aree sinora gestite dai Segretariati Generali ad un
Consigliere Generale. Inoltre si istituisce una Commissione Generale ed una
Commissione Permanente per l’Animazione, sulle quali sarà presentata una
valutazione in questo Capitolo.
3.5.5. Il Segretariato
Latino-americano per il Rinnovamento
I corsi di rinnovamento costituirono per tutti i Confratelli
dell’America Latina un momento prezioso per lo studio della realtà, per
l’aggiornamento pastorale e per dare alla propria vita un nuovo impulso
evangelizzatore nella dimensione del carisma e della missione dell’Ordine.
Realizzati
questi corsi nel 1979 a Bogotà, gli animatori di questo processo si resero
conto che, per dare continuità al cammino di rinnovamento iniziato, era
necessario fornire un appoggio e un accompagnamento permanente ai Confratelli.
Nelle
riunioni che succedettero all’ultimo corso, il P. Generale, i Provinciali e i Delegati Provinciali interessati
concordarono di creare il Segretariato Latino-americano per il Rinnovamento,
detto SELARE, diretto da un Confratello destinato a tempo pieno a organizzare
le attività necessarie per portare avanti e seguire il processo. Inoltre nelle
tre Delegazioni (costituite nello stesso anno in Viceprovincie), nella Delegazione
del Brasile e nella Provincia Colombiana, si nominò rispettivamente un
Confratello per animare il processo nella propria area.
Com’era
prevedibile, in principio la funzione del SELARE non fu accettata o compresa in
uguale maniera dalle diverse comunità dell’America Latina. Alcuni Confratelli
offrirono al nuovo organismo tutto il loro appoggio e favorirono la sua
crescita; altri lo consideravano inutile; altri ancora si mostrarono indifferenti.
Ma
grazie all’encomiabile impegno dei Confratelli che furono i suoi direttori e
dei Confratelli delegati nei diversi paesi, il SELARE si mostrò all’altezza
del suo compito dando preziosi frutti nell’accompagnamento del rinnovamento
post-conciliare in America Latina.
All’inizio
degli anni novanta, la presenza del SELARE all’interno dell’Ordine come anche
nella Chiesa e nel mondo della salute in America Latina era di tale rilievo che
nella Riunione dei Superiori Maggiori svoltasi a Roma il 30 ottobre 1989, si
decise di darle una nuova struttura più adeguata alle sue crescenti
responsabilità e alla sua proiezione ampliata. D’ora in poi si chiamerà
Segretariato Interprovinciale dell’America Latina (SAL.OH), con programmi
interni per i Confratelli dell’Ordine e programmi esterni per altre comunità e
diocesi. Questa proiezione esterna continuerà sotto la sigla del SELARE, come
un programma dipendente da SAL.OH.
3.5.6. I Segretariati Interprovinciali
Il desiderio di intensificare la cooperazione in
alcuni aspetti della propria vita è, soprattutto negli ultimi anni, andato
aumentando nelle Province, soprattutto in quelle inserite in una stessa
nazione o in un contesto linguistico-culturale di comune tradizione, anche se
realizzare questo desiderio non sempre si è rivelato facile.
Alcune Province, con il tempo, sono convenute
sulla necessità di creare a tal fine Segretariati Interprovinciali e li hanno
istituiti, con l’appoggio del Governo Generale, quali strumenti agili per
l’animazione.
I Segretariati Interprovinciali compaiono nelle Costituzioni del 1982 (n.
97d), dove il loro ruolo appare vincolato a rappresentare gli interessi delle
Provincie associate dinnanzi alle autorità di uno stesso stato. Il loro
sviluppo successivo è stato tuttavia molto più ampio, e ciò essenzialmente per
due ragioni: da una parte hanno spesso varcato i confini nazionali, dall’altra
hanno incominciato ad abbracciare nelle proprie azioni elementi peculiari
dell’animazione della vita delle Province, non riconducibili alla sola
dimensione rappresentativa dinnanzi ad uno stato.
Oggi esistono nell’Ordine sette Segretariati Interprovinciali:
SAL.OH in America Latina, quello delle Province di lingua inglese, quello delle
Province di lingua tedesca e dell’Europa dell’Est, quello delle due Provincie
italiane, quello polacco e quello dell’Asia.
3.5.7. Il libro sulla formazione nell’Ordine
Il libro
sulla formazione è stato portato a termine dopo un lungo processo di
elaborazione. La prima parte, pubblicata nel 1985 con il titolo: “La formazione del Fatebenefratello”,
presentò i principi, gli obiettivi e i criteri fondamentali della formazione
trattando non solo la formazione iniziale, ma anche la Pastorale Vocazionale e
la Formazione Permanente.
La Commissione Permanente di Animazione
dell’Ordine pubblicò nel mese di ottobre 1991 “La Formazione Permanente nell’Ordine”. Inoltre mise a disposizione
delle Province, dopo che un documento base con lo stesso titolo era stato
studiato dai promotori vocazionali, il testo definitivo de “La Pastorale Vocazionale nell’Ordine”
lasciando ai responsabili provinciali la sua pubblicazione nelle diverse
lingue.
Con ciò il Governo Generale considera di aver
offerto le basi sia per suscitare e realizzare una buona formazione dei
candidati in ordine alla loro integrazione progressiva nell’Ordine, sia per
garantire un accompagnamento adeguato mediante la Formazione Permanente.
3.5.8. I Noviziati Interprovinciali
Il desiderio di conseguire una migliore promozione
vocazionale e formazione dei candidati nei paesi in via di sviluppo, la
scarsità delle vocazioni nei paesi industrializzati, la possibilità di offrire
buoni formatori e l’apertura e il movimento di interprovincialità esistente
nell’Ordine, sono i fattori che hanno portato alla creazione dei centri di
formazione interprovinciale.
Nelle Dichiarazioni del Capitolo
Generale del 1979, nella sezione dedicata all’apostolato, tappa 30,
raccomandazione 2, si chiede l’erezione di un Noviziato Interprovinciale in
Africa. Nelle Dichiarazioni del Capitolo del 1982, nel capitolo dedicato alle
proposte varie, si dice al punto 3: “Si
dovrà creare uno Scolasticato Interprovinciale per l’Africa occidentale”.
Finalmente nelle Dichiarazioni del Capitolo Generale del 1988, nella parte
intitolata Fase dell’Agire, divisione Formazione Iniziale, nella linea d’azione
18 si sollecita: “Promuovere la
costituzione di Centri Interprovinciali”.
Tutto ciò ha comportato che oggi
abbiamo un Noviziato congiunto e due Scolasticati comuni nella Delegazione
Generale dell’Africa, che non sappiamo, se possiamo definirli interprovinciali.
Inoltre esiste un Noviziato Interprovinciale in Palencia (Spagna) delle tre
Provincie spagnole ed uno a Graz (Austria) delle Province di lingua tedesca e
dell’Europa dell’Est.
3.5.9.
Le visite canoniche generali e provinciali come
espressione di un nuovo stile di
animazione
Le visite canoniche, sia
generali che provinciali, sono prescritte praticamente da sempre dal Diritto
Canonico. Come tali sono entrate a far parte delle nostre Costituzioni e sono
state realizzate nel tempo.
Il ruolo attribuito al
visitatore, le difficoltà a livello dei mezzi di comunicazione e di trasporto
e la forma di concepire la stessa visita hanno fatto sì che in passato essa
verteva in primo luogo sul controllo, sulla disciplina e sulla valutazione
della situazione incontrata. La chiusura serviva ad impartire criteri o norme
in relazione al funzionamento della vita della comunità e dell’ospedale.
Lo stile delle visite canoniche
è andato poi progressivamente cambiando nella misura in cui hanno preso piede
le idee del Concilio.
L’ultima visita canonica
generale è stata progettata e realizzata sulla base di una concezione aperta e
collegiale che ha portato a delegare le sue tappe più importanti al Consigliere
Generale responsabile dell’area in oggetto, mentre il P. Generale e parte del
Consiglio hanno partecipato di volta in volta alla chiusura accentuando così il
suo carattere animatore, senza che per questo siano state trascurate le esigenze
di analisi e revisione proprie della visita.
3.5.10. La costituzione delle
Viceprovince dell’America Latina
Il 12 dicembre 1979 marca un
passaggio importante nella storia dell’Ordine in America Latina, venendo
erette canonicamente in questa data nell’ambito del Capitolo Generale
Straordinario, come frutto del processo di rinnovamento post-conciliare e come
risposta all’esigenza di adattarsi alle nuove necessità del subcontinente
americano, le Viceprovince sudamericane, e cioè:
-
la Viceprovincia
Sudamericana Settentrionale (composta di Ecuador, Panama, Perù e Venezuela)
che sceglie come patroni Nostra Signora e il Venerabile Francesco Camacho;
-
la Viceprovincia del
Messico, Cuba e America Centrale che si collocò sotto la protezione di Nostra
Signora di Guadalupe;
-
la Viceprovincia
Sudamericana Meridionale (composta di Argentina, Bolivia, Cile, Paraguay e
Uruguay) posta sotto la protezione di San Giovanni di Avila.
Questo passo ha permesso di rendere più agili la
struttura e i servizi dell’Ordine nonché di inserirsi meglio nelle diverse
realtà; inoltre ha favorito l’ingresso di vocazioni autoctone.
Le Viceprovince sono entità giuridiche temporali
destinate ad essere erette in Provincie. A 15 anni dalla loro creazione, oggi
ciascuna delle Viceprovince sudamericane deve analizzare, a quale punto di questo
processo verso la trasformazione in Provincia si trova.
3.5.11. Le Coordinazioni di Asia e Africa. La Delegazione
Generale dell’Africa
Questo tema compare per la prima volta nel Capitolo
Generale del 1979, dove viene posto nei seguenti termini: “Si considera
indispensabile la nomina di due COORDINATORI: uno per l’Africa e le Isole
Mascarena, l’altro per l’Asia e l’Oceania; detti coordinatori dovrebbero avere
le stesse facoltà che le Costituzioni attribuiscono ai Delegati Generali”
(Programmazione, Obi. II, Tappa 30, Raccom. 1).
Il Capitolo Generale del 1982, nella sezione dedicata
alle proposte varie, al punto 2 chiede: “Si
dovrà nominare un Coordinatore Generale per le Missioni d’Africa ed uno per
quelle d’Asia”.
In
quanto all’Africa, avviato il
processo di coordinamento dei diversi centri dell’Africa Occidentale. il LXII
Capitolo Generale nella linea di azione 25 approva che si porti avanti questo
processo con l’obiettivo di instaurare la Viceprovincia dell’Africa
Occidentale.
A tal fine la Curia Generalizia promuove, dopo i
capitoli Provinciali del 1989, una riunione, alla quale invita i PP.
Provinciali delle Province con opere in Africa e i Confratelli operanti in
Africa che avevano preso parte agli ultimi Capitoli Provinciali. In detta
riunione si giunge alla conclusione che la forma migliore per preparare le
case in Africa a diventare una Viceprovincia, sia quella di raggrupparle in una
Delegazione Generale; come tale ha realizzato un proprio percorso in questo
sessennio.
In
quanto all’Asia, il LXII Capitolo
Generale nella linea di azione 26 deliberò: “Il Governo Generale faciliti il coordinamento di alcuni aspetti della
vita delle missioni dell’Ordine in Asia…”. In seguito è stato creato il Segretariato
Interprovinciale dell’Asia che ha incominciato ad operare in questa direzione.
3.5.12. I Capitoli Interprovinciali
in Spagna
Al fine di giungere ad una condivisione maggiore
degli elementi fondamentali della propria vita e del proprio apostolato, le
Province di Spagna, per voce dei loro tre Consigli Provinciali, riunitisi a
Madrid il 4 settembre 1985, chiesero alla Curia Generalizia il permesso di
poter realizzare un Capitolo Interprovinciale che ebbe poi luogo a
Ciempozuelos nel mese di maggio 1986.
In detto Capitolo si approvò un
documento intitolato “La presenza
dell’Ordine in Spagna” che ha illuminato il significato della presenza e
dell’apostolato dell’Ordine nel suo insieme in Spagna. L’esperienza del
Capitolo Interprovinciale fu ripetuta nel 1989 e nel 1992.
Questa esperienza assieme al
dinamismo del Segretariato Interprovinciale ha fatto sì che si assiste oggi in
Spagna, a prescindere dalle difficoltà proprie, ad un’azione congiunta in tutti
i campi che costituiscono la vita dell’Ordine.
3.5.13. Il Fondo Comune per le
Missioni
La proposta di creare un Fondo
Comune per le Missioni apparve per la prima volta durante la riunione dei
Superiori Maggiori dell’Ordine svoltasi nel mese di ottobre 1989.
Presa in considerazione dal
Consiglio Generale, si preparò una prima bozza in cui venne delineata la
filosofia del futuro Fondo Comune. Dopo aver studiato i suggerimenti presentati
al riguardo dalle Province, si giunse ad un piano definitivo in una riunione
della “Commissione Africa”.
Il Fondo è nato dall’esigenza di
promuovere una maggiore condivisione delle risorse, vale a dire un appoggio più
incisivo dalle realtà più avvantaggiate verso quelle meno avvantaggiate. Sinora
si basa praticamente sui contributi che giungono direttamente dalle Province.
Anche se in principio si era pensato di fare del Fondo un mezzo di aiuto
per tutte le comunità missionarie dell’Ordine, si constatò presto che era
impossibile, per cui si decise di limitare la sua responsabilità alle
Delegazioni Generali del Vietnam e dell’Africa.
Sono stati esaminati i
preventivi di tutti i centri appartenenti alle due Delegazioni. Gran parte dei
loro introiti derivano dall’attività assistenziale che realizzano. Aiuti
consistenti arrivano dalle varie organizzazioni internazionali, tra cui le
nostre ONG. Ma possiamo dire che anche il Fondo Comune ha fatto la sua parte
negli anni 1991 e 1992. In quest’ultimo anno ha distribuito aiuti anche ad
alcuni centri in America Latina e in Australasia.
Nella distribuzione degli aiuti,
il comitato preposto alla gestione del Fondo, si è orientato ai criteri indicati
dalle due Delegazioni Generali.
La nostra gratitudine va in
particolar modo alle Province che con il loro aiuto hanno reso possibile che
questa iniziativa vada sempre più consolidandosi.
3.5.14. La testimonianza di fedeltà dei Confratelli
nei paesi oppressi
Riteniamo giusto e necessario
fare riferimento a questo fatto. Sono non pochi i Confratelli che in diversi
paesi, come altri settori della Chiesa, hanno sofferto l’oppressione.
Sono stati limitati nella
libertà di testimoniare la loro fede e di realizzare il proprio apostolato; di
potersi muovere e stare in contatto con i Confratelli di altre nazioni e di
partecipare come membri dell’Ordine ai suoi avvenimenti più importanti. Sono
stati perseguiti e privati della possibilità di promuovere la nostra
vocazione.
Hanno vissuto con difficoltà il
movimento che il Concilio ha suscitato nella Chiesa. Hanno patito la mancanza
di informazione sia a livello generale che a livello dell’Ordine.
Quando dopo molti sforzi,
rappresentanti di questi paesi poterono partecipare a qualche Capitolo, erano
ricevuti con grande gioia e bombardati con domande circa la loro vita.
In queste circostanze hanno
offerto alla Chiesa e all’Ordine un’encomiabile testimonianza di fedeltà alla
nostra vocazione mantenendo vivo in mezzo a tutte le difficoltà il carisma di
San Giovanni di Dio.
3.5.15. Il
crollo dell’ideologia materialista nell’Europa dell’Est: nuove possibilità
Eccettuando la Polonia che da
sempre ha goduto di uno status speciale, la situazione nei paesi dell’Europa
dell’Est ha conosciuto in questi ultimi anni una profonda trasformazione. Con
la caduta della cortina di ferro si sono aperte tutt’una serie di nuove possibilità
che soltanto ieri sembravano ancora inimmaginabili.
I Confratelli possono di nuovo
mettersi insieme e vivere in comunità; l’Ordine può rivendicare il diritto di
proprietà sui suoi ospedali; si possono accogliere nuove vocazioni. Tutto
sembra indicare che un nuovo orizzonte si avvicina.
Il messaggio del governo
generale “Giovanni di Dio continua a
vivere nel tempo” lanciava un appello ad impegnarsi nella ricostruzione
dell’Ordine in questi paesi. Dalle Province di Austria e Baviera sono state
avviate nel frattempo diverse iniziative. I nuovi candidati vengono formati nel
Noviziato Interprovinciale Tedesco e nel Segretariato Interprovinciale Tedesco
sono stati integrati rappresentanti delle diverse realtà dell’Est. Ma
verosimilmente l’Ordine è chiamato a compiere altri gesti per conseguire in
questi paesi la rivitalizzazione che merita.
3.5.16. I Confratelli riconosciuti
santi dalla Chiesa
Il periodo post-conciliare è
stato molto ricco in questo senso per l’Ordine. Tutti i Confratelli che ci
hanno preceduto nella storia dell’Ordine, hanno cercato di rispondere
fedelmente alle esigenze dell’ospitalità. Per questo sentiamo una profonda
riconoscenza verso loro. Alcuni di loro si sono distinti sia per il dono che
hanno ricevuto da Dio, sia per la risposta che hanno dato.
Tutti ricordiamo le celebrazioni che l’Ordine ha vissuto negli ultimi
dodici anni, a incominciare da San Riccardo Pampuri, di cui abbiamo avuto la
gioia di poter celebrare in soli otto anni la beatificazione e la
canonizzazione rispettivamente nel 1981 e 1989. Nel 1985 è stato beatificato
solennemente P. Benedetto Menni; nel 1992 finalmente ha avuto luogo la
beatificazione dei 71 Confratelli-Martiri della guerra civile spagnola.
I fatti che hanno costituito la loro vita e la
loro morte, sono oramai ampiamente conosciuti. Circostanze molto diverse tra
loro, ma che hanno visto risponderli tutti in maniera eroica, cosa che è stata
riconosciuta dalla Chiesa che per questo li ha proclamati santi.
Questo riconoscimento è stato vissuto con grande gioia dall’Ordine.
Confidiamo nella loro protezione così come confidiamo in quella di San Giovanni
di Dio e del Beato Giovanni Grande, affinché continuino ad illuminarci e ad
aiutarci a proseguire fedeli nel cammino della nostra vocazione.
3.6. Nuovi orientamenti nella
vita dell’Ordine
3.6.1. Lo
stile di vita: viviamo in comunità di fede la nostra consacrazione
nell’ospitalità
Di stile di vita si incomincia a parlare nel
Capitolo Generale Straordinario del 1979, dove compare nella sezione 3
dedicata alla situazione attuale dell’Ordine come pure in uno dei grandi titoli
della programmazione, precisamente il B.
Da allora in poi questo tema ha costituito una costante
nella programmazione dei due Capitoli successivi. Voleva essere questo un modo
per integrare tutto ciò che il rinnovamento della vita religiosa esigeva da
noi in relazione alla vita di fede e al nostro vivere comunitario.
Ci siamo dati una libertà maggiore, abbiamo voluto
abbandonare l’uniformità a vantaggio di un’unità costruita su basi più sincere,
abbiamo fondato il nostro vivere comunitario non solo su presupposti
teologici, ma anche sugli apporti che la psicologia poteva offrirci: la
crescita umana, il dialogo, la dinamica di gruppo, le relazioni interpersonali
ecc.
Abbiamo voluto vivere una vita di fede più incentrata
sul mistero di Cristo, con uno spazio forte dedicato alla preghiera personale,
ma radicata al contempo fortemente nella dimensione comunitaria come
espressione che condividiamo una stessa vocazione di fede.
Guidati da semplicità evangelica, con la quale Dio
illuminava la nostra vita, abbiamo tentato di incamminarci su una strada più
in sintonia con quello spirito evangelico che il Concilio ci spronava ad assumere.
Oggi, a 28 anni dal Concilio, dobbiamo chiederci guardando indietro al
processo di rinnovamento che abbiamo compiuto: Siamo soddisfatti del nostro stile
di vita e della forma in cui esprimiamo la nostra identità di Fatebenefratelli?
3.6.2. La
Formazione Permanente come strumento di rinnovamento
San Giovanni di Dio non solo visse in un tempo di
grandi cambiamenti, ma mise in moto egli stesso grandi cambiamenti. Oggi la
Chiesa e la società si attendono un cambio radicale dalla vita religiosa. La
nostra missione esige che rispondiamo alla Chiesa e ai poveri di oggi, ai
malati e agli emarginati che ci chiedono di avvicinarci a loro come uomini
attuali e non con concezioni del passato.
I Confratelli che sono entrati nell’Ordine prima o
durante il Concilio Vaticano II, erano abituati a pensare alla formazione
religiosa in termini di formazione iniziale: postulantato e noviziato. Ma lo
stesso Concilio ci dice che “il
rinnovamento degli istituti dipende in massima parte dalla formazione dei loro membri”, i quali
debbono adoperarsi per tutta la vita a perfezionare la propria cultura (PC
18ac).
In questa luce la Formazione
Permanente diventa uno strumento prezioso e indispensabile del processo di
rinnovamento dell’Ordine. E’ nelle Costituzioni del 1971 che questo concetto
compare per la prima volta sotto il titolo di Formazione Continua: “La testimonianza
cristiana dei nostri religiosi nel mondo sarà tanto più efficace quanto più
completa è la loro preparazione culturale e apostolica, in armonia col fine
dell’Ordine e col progresso dei tempi” (n. 161).
Nel Capitolo del 1982,
l’Ordine perviene a formulare una prima definizione della Formazione Permanente
(Imag. Id. 33), definizione che si presenta ulteriormente affinata nelle
Costituzioni del 1984: “La formazione
permanente è un ‘esigenza della stessa vita e la risposta continua all’azione
rinnovatrice dello Spirito” (n. 72).
Il governo generale ha dimostrato un’attenzione
speciale a questo tema con la pubblicazione del documento “La Formazione Permanente nell’Ordine” e
la sua applicazione attraverso il programma di “formazione permanente a
livello comunitario” (1991-1994).
Il movimento di rinnovamento creatosi nell’Ordine
a partire dal 1979, ha contribuito enormemente a sensibilizzare le coscienze
per la necessità della formazione permanente.
Da allora l’Ordine ha continuato a intensificare i
suoi sforzi in questa direzione attraverso diverse iniziative quali:
-
corsi, seminari,
giornate e incontri sui più diversi temi e ambiti per l’attualizzazione della
missione dell’Ordine;
-
il programma di
formazione a distanza promosso dal SELARE in America Latina per formare
“esperti nel campo della Pastorale della Salute” che successivamente è
stato adeguato e adottato dalle Province di Spagna;
-
i corsi di
aggiornamento per: Superiori, formatori, direttori ecc.;
-
i programmi di
formazione permanente a livello comunitario promossi dalla Curia Generalizia.
3.6.3. L’opzione preferenziale per i poveri
A partire dal
Concilio Vaticano II la Chiesa incomincia ad insistere, approfondendola e
chiarendola sempre di più, sull’opzione preferenziale per i poveri. Il nostro
Ordine, alla luce di questa opzione evangelica ed ecclesiale, esiste per
evangelizzare i poveri, accompagnarli ed assisterli nelle loro sofferenze
secondo lo stile di San Giovanni di Dio: “Incoraggiati
dal dono ricevuto, ci consacriamo a Dio e ci dedichiamo al servizio della
Chiesa nell’assistenza agli ammalati
e ai bisognosi, con preferenza per i più poveri” (C n. 5).
Il LXII Capitolo Generale segnala a questo proposito
che “questa opzione rappresenta un
criterio fondamentale che ci permette di valorizzare il significato della
nostra presenza nella Chiesa e nella società, come persone, comunità e
Province. Al tempo stesso, è la chiave di lettura per valutare il nostro
cammino di rinnovamento personale e comunitario” (DCG III.A).
Gli emarginati di
oggi, in qualunque società essi si trovino, costituiscono le “nuove categorie di bisognosi”, termine che va riferito non solo al povero e malato,
ma a qualsiasi uomo che lotta per recuperare la sua identità di persona. “Povero è ogni uomo che ha perso l’equilibrio
psico-fisico e la speranza in una vita
più ricca in ogni senso…Anche l’uomo del progresso è povero” (L’Ospitalità
verso il 2000, n. 58).
L’Ordine
Ospedaliero vive inserito nella realtà di un mondo diviso: Nord-Sud, Primo e
Terzo Mondo, benessere e povertà. I Confratelli e le opere situate nel Primo
Mondo, alla luce dell’opzione per i poveri agiscono in maniera coerente di
fronte a questa realtà? Dall’altro canto, le opere situate nel Terzo Mondo
ricercano nuove forme per rispondere a questa opzione?
Si sono visti
alcuni sforzi per adeguare la nostra vita e le nostre strutture al servizio
dell’emarginato: day-hospitals, alberghi notturni, assistenza a malati di AIDS
e malati terminali, promozione di zone emarginate partendo da centri-base già
esistenti... Questi sforzi richiedono tuttavia un’azione più coerente nel
senso che l’Ordine si deve mettere più marcatamente nell’ottica del povero
identificandosi, nel suo stile di vita, chiaramente con questa opzione,
affinché, attraverso la sua forma di vita, il suo servizio di
annuncio/denuncia, eserciti un’influenza sempre maggiore in questo senso sulla
Chiesa e le strutture della società.
3.6.4. Le strutture sanitario-assistenziali dell’Ordine e la forma di
orientare la loro missione
Nostro Padre San Giovanni di Dio
fondò il suo ospedale a Granada per assistere i poveri che non trovarono
accoglienza in altri ospedali, offrendo loro, nella misura del possibile, un
servizio degno ed umanizzato. In questo stesso spirito è andata sviluppandosi
la storia del nostro Ordine.
Il Concilio ci ha dato e chiesto, come
criterio, di adattarci alle esigenze del tempo, criterio a cui noi abbiamo
dedicato grande attenzione nell’esercizio del nostro apostolato. Possiamo dire
da sempre, ma maniera particolare nel periodo post-conciliare. Se elencassimo
tutte le innovazioni introdotte nei centri, si riempirebbero in un nonnulla le
pagine seguenti. Ma non possiamo fare qui un’analisi così particolareggiata.
Pertanto ci soffermeremo soltanto sulla documentazione degli ultimi tre
Capitoli Generali.
Nel ‘79 compare, nella sezione dedicata
all’apostolato, come obiettivo 1 la necessità di rivedere e adattare le opere
assistenziali e di promuovere nuove forme di apostolato. La seconda parte di
questo obiettivo è stata ripresa, nella stessa sezione, dal Capitolo del ‘82.
Difatti, le Costituzioni che si approvano in questo Capitolo, contengono un
numero, il 47, che definisce le forme di apostolato.
La formulazione più esaustiva
delle diverse esigenze che questo tema ci ha posto nel nostro cammino
post-conciliare, ha offerto il Capitolo del 1988 con a sezione intitolata Ospitalità, nella quale la presenza
dell’Ordine viene esaminata da una duplice angolazione: da una parte nei
settori generalmente coperti dallo stato e dall’altra parte nei settori in cui
l’azione sociale e sanitaria dello stesso non si fa sentire in maniera
sufficiente. In questo modo viene esposto da una parte ciò che l’Ordine ha già
realizzato nel rinnovamento del suo apostolato, dall’altra viene confermato
il desiderio di continuare su questo cammino di rinnovamento per servire meglio
i bisognosi.
Per qualunque analisi che il
Capitolo vorrà realizzare in ordine al futuro, rimandiamo a questo paragrafo.
3.6.5. La dimensione etica come
atteggiamento di fondo in colui che serve e come principio di rispetto
all’uomo che soffre
L’ospitalità con tutto ciò che implica, è la forza propulsiva della nostra
vocazione. La nostra vita e in particolare la nostra vita post-conciliare è
stata tutta un’aspirazione e un agire, affinché fosse così. Questo pensiero
affiora anche nella maggioranza dei numeri delle nostre Costituzioni attuali.
I Fatebenefratelli e quanti collaborano con essi, sono chiamati ad una
vocazione di servizio alla persona malata, povera e bisognosa. La nostra
aspirazione è di realizzare questo servizio secondo lo stile di San Giovanni
di Dio. Sappiamo che tra la sua vita e la nostra vita esiste una sensibile
differenza di qualità. Ciononostante vogliamo e ci impegniamo, affinché
nell’esercizio dell’ospitalità siano incarnati i principi che sono espressi, a
modo di ideale, nelle nostre Costituzioni:
-
ci prendiamo cura
dei poveri e degli ammalati assistendoli integralmente
(n. 45);
-
realizziamo la
nostra missione con atteggiamenti e modi umanizzanti
(n. 44):
-
offriamo agli
ammalati e a ogni persona bisognosa il servizio
efficiente che meritano (n. 43);
-
li assistiamo come
prediletti del Regno, difendiamo i loro
diritti e offriamo la vita per loro (n. 3);
-
la nostra presenza
tra loro si distingue per lo zelo con cui poniamo in risalto i valori dell’etica cristiana e professionale (n. 51).
Illuminati
da questa realtà e da altre riflessioni ella Chiesa e dei nostri Superiori,
siamo passati all’azione avviando determinate politiche, definendo l’identità
dei centri e dell’assistenza da praticare in essi; abbiamo promosso gruppi di
riflessione che ci hanno aiutato a sviluppare nella dimensione etica lo stile
di servizio che vogliamo che sia applicato nei nostri centri; abbiamo creato
comitati di etica con l’obiettivo di illuminare determinate situazioni e di
offrire modelli di comportamento per un esercizio dignitoso dell’ospitalità.
3.6.6. I nuovi bisogni e le risposte dell’Ordine
È una precisa esigenza del nostro carisma, e pertanto della nostra
vocazione, che, con l’aiuto delle nostre opere, ci impegniamo a sopperire ai
bisogni dei poveri e degli infermi.
Il nostro mondo è dinamico; perciò sia negli stati che dispongono di un
sistema sanitario organizzato, sia negli stati che non dispongono di un simile
sistema, sono apparse nuove necessità impreviste: tossicodipendenza, AIDS,
Alzheimer, l’esplosione della popolazione anziana, senzatetto, nuovi poveri...
Le stesse malattie di sempre, da come sono vissute oggi, presentano nuove
necessità: angoscia, isolamento, condizioni disumanizzanti... Nuove necessità
sono emerse anche nell’accompagnamento di chi vive i suoi ultimi momenti:
malati terminali, hospices... Nuove necessità sorgono infine continuamente da
situazioni puntuali, siano esse causate da eventi calamitosi o da guerre e
condizioni politiche instabili Mozambico, Liberia, Cuba, Togo,
Bosnia-Erzegovina ecc.
Di fronte a questo quadro
l’Ordine ha preso l’impegno di rispondere. In diversi dei nostri documenti
recenti viene auspicata una nuova presenza dell’Ordine nelle nuove situazioni
di bisogno. Il nostro Priore Generale precedente, Fra Pierluigi Marchesi, ha
affrontato in maniera puntuale questo tema nel suo scritto “L’Ospitalità dei Fatebenefratelli verso il
2000” dedicando nell’appendice uno spazio speciale all’analisi di tre nuovi
bisogni: la vecchiaia, il malato terminale e i tossicodipendenti.
L’impegno di rispondere alle
nuove necessità si è tradotto nel frattempo in numerose azioni concrete, sia
nel senso che le Province abbiano aperto nuove opere, sia nel senso che abbiano
adattato quelle esistenti. Pensiamo che i nostri Superiori, dando il via a
questa ricerca, abbiano saputo valorizzare la creatività del nostro carisma
senza diminuire il valore delle innumerevoli attività apostoliche che da tempo
si stanno realizzando nelle nostre opere.
3.6.7. Il
movimento della Pastorale della Salute
Il Concilio ci ha aiutato a
concepire la nostra vocazione più fortemente come un servizio integrale
all’infermo e bisognoso. Non che non sia stato sempre così, ma non c’è dubbio
che da allora nel nostro operare apostolico abbiamo incominciato a contemplare
con una nuova consapevolezza le possibilità di aiuto che alla persona umana
derivano dalla salvezza di Gesù Cristo.
In questo senso si approvò,
prima ad experimentum e poi definitivamente, nei Capitoli Generali del 1979 e
del 1982, il nuovo testo relativo al voto di ospitalità.
Possiamo affermare con certezza
che in questo periodo nell’Ordine ha avuto luogo un risveglio per il tema della
Pastorale della Salute che ha contribuito a un risveglio per questo tema nella
stessa Chiesa, sia a livello universale che nazionale, regionale e locale.
Il Segretariato di Pastorale è
stato sin dalla sua fondazione una delle strutture che più successo hanno avuto
nelle Province. Nella maggior parte dei nostri centri esistono oggi Consigli o
Gruppi di Pastorale che lavorano, con il dovuto rispetto, per l’integrazione
della dimensione religiosa nel processo della malattia. Alcuni nostri
Confratelli sono impegnati negli organismi diocesani e nazionali di Pastorale
della Salute.
Ci sono stati e continuano a susseguirsi
riflessioni, corsi e pubblicazioni. Questo ha fatto sì che, oltre coloro che
sono impegnati direttamente nel Servizio di Pastorale nei centri, tutti noi
Confratelli siamo oggi molto più coscienti di questa dimensione del nostro
apostolato ed anche tanti nostri collaboratori che intervengono con entusiasmo
nelle azioni che si programmano nei centri.
3.6.8.
Il movimento dell’umanizzazione
Sappiamo che l’azione dell’umanizzazione precede
quella della pastorale; ma sappiamo anche che ogni azione pastorale comporta
già al suo primo livello un’azione umanizzante. Ciononostante “l’umanizzazione”,
intesa come movimento, nasce dopo quello della Pastorale nella vita
dell’Ordine.
Anche se nessuno può dire che
non fossimo coscienti delle esigenze di umanizzazione che la realizzazione
del nostro apostolato implicava, bisogna riconoscere che di umanizzazione come
tale, nell’Ordine si è incominciato a parlare a partire dal documento del nostro
Priore Generale precedente, Fra Pierluigi Marchesi, intitolato appunto “La Umanizzazione”, che esce nel 1981 e
proclama lo stesso anno a livello dell’Ordine come Anno d’Umanizzazione.
Da allora in poi numerose sono
state le riflessioni e le azioni pratiche portate avanti in questa direzione
nei centri, che ci hanno reso più consapevoli del valore fondamentale della
persona, soprattutto quando è malata e bisognosa.
Tutto ciò ha determinato che le
nostre comunità terapeutiche ed ospedaliere si sono poste come obiettivo la
necessità di umanizzarsi per umanizzare. Sappiamo che questo cammino che
abbiamo iniziato, sarà interminabile, perché ci sarà sempre ancora un’altra
possibilità di migliorare la qualità del servizio che offriamo e il modo in
cui vengono trattati i malati e rispettati i diritti dei destinatari del nostro
carisma.
Probabilmente non abbiamo
raggiunto tutti gli obiettivi che ci eravamo posti; tuttavia possiamo affermare
che abbiamo iniziato un cammino e che siamo soddisfatti dei risultati
conseguiti. In futuro dovremo concentrare i nostri sforzi a superare le omissioni
e a rimediare alle carenze esistenti.
3.6.9. L’apertura ai collaboratori
Da sempre l’Ordine ha fatto
affidamento su collaboratori nell’esercizio dell’ospitalità. Giovanni di Dio,
nelle sue lettere, parla ripetutamente dei suoi collaboratori e dell’aiuto che
da essi riceveva.
Guardando alla storia, possiamo dire che l’opera
San Giovanni di Dio è stata sostenuta in ogni attimo della sua vita da
impiegati, benefattori e volontari.
Una profonda apertura ai collaboratori si è avuta
però soprattutto negli anni post-conciliari. Questa apertura si spiega da due
premesse.
La prima è stata il
rinnovamento. Spinti da esso, abbiamo adattato le nostre opere alle esigenze del
tempo inserendole nella rete del servizio sanitario e sociale dei diversi
paesi, introducendo le nuove tecniche e ampliando il numero dei professionisti
necessari per le nuove forme di servizio al malato. Pertanto il rinnovamento
delle opere ha comportato l’inserimento di un grande numero di collaboratori.
La seconda è stata un
approfondimento qualitativo del rinnovamento, nel senso che sentivamo sempre
più forte l’esigenza di offrire un servizio ai destinatari del nostro carisma
sempre più in linea con lo spirito di San Giovanni di Dio. Assieme ai nostri
collaboratori intuimmo allora la necessità di instaurare un’alleanza tra
quanti, sotto la bandiera di San Giovanni di Dio, compivamo una missione
comune.
Proprio allora la Chiesa ci
stava proponendo una dottrina sul laicato. Nell’accoglierla, ci accorgevamo che
non era applicabile senza una serie di differenziazioni alla nostra realtà...
che non quadrava pienamente con il significato che noi desideravamo dare alla
presenza dei nostri collaboratori nella nostra missione, con i quali
condividiamo sì ideali umani, ma non sempre quelli della fede.
Dalla Curia Generalizia venne
promosso allora un movimento che poco a poco prese corpo. Abbiamo posto la
nostra attenzione sulla filosofia che volevamo essere presente ed attiva nei
nostri centri, una filosofia che fosse accettabile e condivisibile da tutti che
ci troviamo impegnati nell’esercizio dell’ospitalità. Abbiamo realizzato una
riflessione sull’innegabile dato che Confratelli e collaboratori, sulla base
dei loro numerosi valori comuni, sono uniti in una missione, perché, anche se
in maniera diversa, tutti partecipiamo al carisma di San Giovanni di Dio.
Ci possiamo dire soddisfatti del
cammino realizzato, anche se abbiamo ancora davanti a noi un grande pezzo di
strada da fare. La nostra speranza deve essere quella di arrivare a formare una
famiglia che avvolta nello spirito di Giovanni di Dio, viva la sua vocazione
comune di servizio agli infermi.
4. IL SIGNIFICATO
DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
Fondamentalmente
la “‘nuova evangelizzazione” ha inizio con il Concilio Vaticano II, anche se il
concetto e il termine sono entrati soltanto di recente nel lessico comune della
Chiesa. Il Concilio Vaticano II, diceva nel 1985 Papa Giovanni Paolo II, ha rappresentato
“il fondamento e l’avvio di una
gigantesca era di evangelizzazione del mondo moderno”. Storicamente
parlando si potrebbe dire che tutto ebbe inizio con la “svolta giovannea”. Con l’annuncio del Concilio Vaticano II per voce
di Papa Giovanni XXIII Chiesa esce dal secondo millennio e si incammina verso
il terzo millennio consapevole delle enormi sfide che la attendono nel mondo
moderno dominato fila secolarizzazione e dalla civiltà della tecnica.
Che cosa è e che cosa non è la
“nuova evangelizzazione”? La nuova evangelizzazione è innanzitutto in
movimento che riguarda la Chiesa stessa, la sua più intima identità. Essa è in
primo luogo l’affermazione del primato dell’evangelizzazione su tutti gli
altri compiti della Chiesa. Non è un “nuovo Vangelo”, oppure, come qualcuno ha
voluto intenderla, un aggiustamento, un adattamento del Vangelo all’era
moderna. La novità non intacca il
contenuto del messaggio evangelico che è immutabile, ma riguarda il
linguaggio, i gesti, i metodi di apostolato. Parlare di nuova evangelizzazione
non significa che quella precedente sia stata nulla, infruttuosa o non
duratura. Significa che oggi ci sono sfide nuove, nuove richieste che si
presentano ai cristiani e alle quali è urgente rispondere (cfr. Santo Domingo,
IV Conferenza Generale, II Parte, Capitolo I, n. 24).
4.1. L’uomo moderno e il messaggio
cristiano
Prim’ancora
di addentrarci nella tensione problematica che si è venuta a creare tra uomo
moderno messaggio cristiano, ci sembra opportuno sottolineare alcune verità
fondamentali che riguardano il rapporto tra uomo e religione in generale.
Prima
verità: Sant’Agostino con una espressione molto semplice, ma molto efficace
dice che l’uomo è “docibilis Deo “,
capace cioè di accogliere Dio. Questa capacità è comune a tutti gli uomini e
sempre presente. Come spiegarsi allora l’atrofia di questa capacità nell’uomo
moderno e l’ateismo così diffuso nel nostro tempo? Risponde Karl Barth: “L’uomo della città secolare non è ateo, come
egli stesso crede forse di essere; in realtà è idolatra”. Questo significa
che l’uomo moderno ha, in fondo, molta nostalgia di Dio, perché, per dirlo con
K. Rahner, come l’uomo di ogni tempo anche l’uomo moderno è “inguaribilmente religioso” (K. Rahner).
Seconda
verità: Se Dio è scomparso dall’orizzonte dell’uomo moderno, ciò non è
accaduto perché sia morto o mai esistito, ma perché fra noi e lui si è
interposto il nostro Ego ormai onnipotente. Martin Buber ha coniato a questo
proposito l’espressione eloquente della “eclissi
di Dio “. E’ questo smisurato
egocentrismo ad impedire all’uomo moderno di fare autenticamente,
personalmente, l’esperienza di Dio. Ma al di là di questo errore di visione,
che ricopre e nasconde Dio rendendocelo incomunicabile, Dio continua a
splendere perfettamente intatto.
Una terza verità che secondo noi va tenuta in considerazione, è che la
modernità è indivisibile, vale a dire che investe oramai, pur se con intensità
e sfumature diverse, il globo intero. Dunque la problematica non riguarda solo
l’uomo del mondo sviluppato, come spesso si è tentati di credere, ma l’uomo di
ogni angolo del mondo in quanto uomo della civiltà della tecnica.
In tutto questo si avverte una grande sete di spiritualità, di trascendenza
(vedi il proliferare delle sette). Nonostante che all’uomo di oggi sembri interessare
soltanto più quello che è fattibile e non ciò che è vero, c’è in lui una forte
insoddisfazione esistenziale che si esprime in particolare in una continua e
sempre più diffusa ricerca di stordimento (droga, divertimento, attivismo
frenetico ecc.). Dietro questo si cela una forte tensione religiosa latente,
alla quale tutti i cristiani, ma in particolare coloro che hanno consacrato la
loro vita all’evangelizzazione, sono chiamati a proporre un modello di vita
nella fede significativo ed attraente.
Assunte queste premesse, possiamo chiederci allora con Giovanni Paolo II
nell’ottica della nuova evangelizzazione: “Come
rendere accessibile, penetrante, valida e profonda la risposta all’uomo di
oggi, senza per nulla alterare o modificare il contenuto del messaggio
evangelico? Come arrivare al cuore della cultura che vogliamo evangelizzare?
Come parlare di Dio in un mondo nel quale è presente un crescente processo di
secolarizzazione?” (Santo Domingo, IV Conferenza Generale, Discorso
Inaugurale, n. 10).
Una prima risposta a questa domanda la troviamo in Redemptoris Missio al n. 42: “L’uomo
contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più all’esperienza che
alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie”. Poco più avanti
leggiamo: “La testimonianza evangelica,
a cui il mondo è più sensibile, è quella dell’attenzione per le persone e della
carità verso i poveri e i piccoli, verso chi soffre”. Questo è il campo di
azione del Fatebenefratello nella nuova evangelizzazione: essere testimone
dell’attenzione cristiana per la persona nella sua globalità, che noi abbiamo
chiamato umanizzazione, essere testimone della solidarietà per i poveri, i
malati e gli emarginati, essere fratello di chi soffre.
4.2. L’evangelizzazione della
cultura e le culture dell’uomo
La domanda di fondo alla quale bisogna dare una risposta a questo riguardo
è: quale rapporto esiste tra la fede e la moltitudine delle culture esistenti
nel mondo e come è possibile in questa moltitudine una vera universalità?
Questa domanda diventa ancora più pressante di fronte al fatto che
l’aspirazione universalistica della fede si deve misurare oggi, come abbiamo
già detto, con un’altra universalità: quella della cultura della tecnica che
grazie alla potenza delle sue capacità e dei suoi successi si è imposta dappertutto,
ma che nel contempo ha provocato quella divisione in nord e sud, in poveri e
ricchi, che rappresenta la vera emergenza del nostro tempo. Da qui sempre più
forte il grido che chiede un’inculturazione della fede non solo nelle diverse
culture del mondo, ma soprattutto nella cultura della tecnica.
In tutte
le grandi culture storiche la religione rappresenta un elemento essenziale, è
anzi il suo centro. La dicotomia o addirittura la contrapposizione tra regione
e fede è una concezione recente nata nell’Europa dell’era moderna. “La rottura tra Vangelo e cultura è senza
dubbio il dramma della nostra epoca”,
diceva Paolo VI nell’EN.
Il
concetto dell’inculturazione propagato dal magistero di Giovanni Paolo II
parte dall’assunto che in cultura è attiva una disposizione di apertura verso
le altre culture e che pertanto ogni cultura è potenzialmente universale.
L’elemento di mediazione, il punto d’incontro tra due culture è la verità comune
sull’uomo che è intimamente e necessariamente legata alla verità su Dio. Per
questo motivo il messaggio di Gesù, i valori cristiani possono, anzi devono
ispirare le diverse culture nel mondo dando vita così ad una cultura cristiana che rinnovi, ampli e
unifichi i valori storici passati e presenti. Da qui anche la nuova concezione
del “popolo di Dio” come “popolo dei popoli”.
Ma
mentre l’inculturazione della fede in altre culture antiche e ricche di
originalità sembra dipendere dalla mediazione poc’anzi citata, tra fede e
cultura della tecnica non sembra possibile un vero dialogo ed autentico
incontro.
Parliamo
volutamente di cultura della tecnica e non di tecnica come strumento di
sviluppo e progresso, intendendo con ciò quella visione relativistica e
razionalistica che sta manovrando l’umanità verso un vuoto di senso che rischia
di soffocarla. Anche se è innegabile che la cultura della modernità presenta un
buon numero di valori positivi, molti dei quali sono frutti
dell’evangelizzazione, come la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà sociale
e la giustizia per citare solo quelli più importanti, essa ha eliminato valori
religiosi fondamentali e introdotto concezioni ingannevoli in netto contrasto
con i valori cristiani (cfr. Santo Domingo, IV Conferenza Generale, Discorso
Inaugurale, n. 20).
Anche qui il Fatebenefratello
può fare molto con la sua testimonianza “culturale”. Innanzitutto esso opera in
molte culture essendo l’ordine presente in 48 paesi diversi su tutti e cinque i
continenti, e può quindi, oltre a promuovere e valorizzare il dialogo delle
culture al suo interno nella persona dei confratelli, contribuire ad una vera
cultura della solidarietà tra i popoli nella persona dei suoi collaboratori,
amici e benefattori. In più è presente in un campo della società mondiale, la
salute, in cui i rischi della civiltà della tecnica diventano sempre più
visibili. Deve impegnarsi per un giusto utilizzo delle conquiste della tecnica,
ma evitare che la fattibilità prenda il sopravvento sulla verità in momenti
così centrali della vita dell’uomo come lo sono la nascita, la morte e la malattia.
4.3. Unione
intrinseca tra evangelizzazione e promozione umana
Dato che l’uomo - non l’uomo
astratto, ma l’uomo concreto - “è la
prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compito della sua missione”
(Redemptor hominis, n. 14), la promozione umana è una conseguenza intrinseca
dell’evangelizzazione (cfr. Santo Domingo, IV Conferenza Generale, Discorso
Inaugurale, n. 13).
L’uomo concreto dunque, l’uomo
con i suoi bisogni, le sue aspirazioni, l’uomo nella sua fisicità, nella sua
realtà sociale è la strada dell’evangelizzazione. In altre parole: il messaggio
del Vangelo verrebbe mutilato, addirittura svuotato, se fosse privato delle
conseguenze etico-sociali che ne derivano. La vera evangelizzazione deve
perciò essere accompagnata sempre dalla testimonianza vissuta, dall’impegno
concreto per l’uomo.
Inutile dire che il
Fatebenefratello a questo riguardo si trova in una posizione privilegiata,
dato che la promozione dell’uomo, sotto tutti gli aspetti, è la sua missione,
sia essa la guarigione dell’uomo colpito da malattia, l’accoglienza affettuosa
di quanti soffrono di un’infermità cronica, l’attenzione speciale rivolta ai
più deboli e ai più poveri o l’accompagnamento di chi sta vivendo i suoi ultimi
momenti. La domanda a cui il Fatebenefratello, al riguardo, dovrà dare una
risposta in futuro è, come trasformare i suoi gesti di guarigione sempre più in
autentici gesti di evangelizzazione, come trasformare i luoghi in cui opera,
sempre più in luoghi significativi di evangelizzazione. Qui torna di nuovo
prepotentemente alla ribalta il tema dell’umanizzazione. Umanizzazione e
evangelizzazione debbono formare per il Fatebenefratello un’unità indivisibile,
perché “dove non c’è carità, non c’è Dio,
anche se Dio è in ogni luogo” (SGD, Lettera a Luigi Battista, n. 15).
Un grande rischio che
nell’impegno per la promozione dell’uomo può insinuarsi nel Fatebenefratello e
che questi deve evitare è di percepirsi solo o prevalentemente nella dimensione
dell’utilità sociale, dell’efficienza, trascurando la dimensione del suo essere
testimone della carità di Dio che è la sua vera e più profonda chiamata.
Un’altra sfida con cui il
Fatebenefratello si trova confrontato nella sua azione di promozione umana nel
campo della salute, è di promuovere e di intensificare il dialogo tra scienze e
fede. Qui egli è chiamato a dimostrare che la scienza e la tecnica
contribuiscono alla civilizzazione e all’umanizzazione del mondo nella misura
in cui sono permeate dal sapere di Dio (cfr. Santo Domingo, Discorso
Inaugurale, n. 21).
4.4. Il
contatto personale - elemento indispensabile per l’evangelizzazione
Un tratto che sta caratterizzando sempre più fortemente
l’uomo moderno, è senza dubbio la sua povertà relazionale. Sebbene la nostra
era sia dominata completamente dalla comunicazione, è anche, come l’ha
definita qualcuno, l’era della incomunicabilità. Uno dei fattori principali a
cui va addebitato questo fatto è, secondo noi che, senza la mediazione di Dio,
le relazioni umane sono diventate fonte di angoscia perché dominate quasi
esclusivamente dall’interesse, dallo sfruttamento, dall’ambiguità e soprattutto
dalla competitività. Ed è proprio qui che l’uomo moderno, dietro la sua
parvenza di presunzione e autosufficienza, mostra tutta la sua fragilità. Ed è
anche da qui che, secondo noi, può e deve iniziare il suo recupero verso Dio.
Abbiamo già detto del grande bisogno di spiritualità che non solo da ieri si
respira dopo la caduta della fede nel progresso illimitato e nelle ideologie.
Questo recupero deve avvenire però con tatto, delicatezza e grande
comprensione, perché l’uomo di oggi è come se uscisse da un tunnel ed ha
bisogno dunque di essere ricondotto gradualmente verso la luce.
Il Fatebenefratello deve convincersi che l’uomo che ha di fronte,
nonostante tutte le parvenze, nel suo profondo è molto sensibile alla sua
testimonianza e spesso non aspetta altro che essere invitato a entrare nello
spazio della comunione umana che è lo spazio di Dio. In altre parole, il
Fatebenefratello deve contrapporre la sua interiore cultura dell’ospitalità
alla cultura dell’ostilità che non domina solo sempre più fortemente i
rapporti tra i popoli, le nazioni e le etnie, ma anche le relazioni
interpersonali. In più i Fatebenefratelli qui devono dimostrare una nuova
capacità di aggregazione, cioè devono saper dare vita a comunità di fede
aperte che siano di invito per tutte le persone con cui vengono a contatto:
malati, familiari, collaboratori, amici ecc. Ogni centro dovrebbe essere una
piccola chiesa domestica capace di creare quella comunione cristiana, in cui la
gioia dell’uno è la gioia dell’altro e il dolore dell’uno è il dolore
dell’altro.
Oggi più che mai il Fatebenefratello è chiamato ad
essere testimone, nelle relazioni umane, di Dio “amante della vita” (Sap 11, 26) che si mescola fra la sua gente e
con la sua presenza rende ospitale la terra e l’uomo veramente uomo.
5. ENTRIAMO NEL 2000
CON UN NUOVO SENSO DI OSPITALITÀ
Con l’anno 2000 entriamo nel
terzo millennio. Per questo motivo, nel lanciare nuovi progetti, si è fatto
spesso riferimento a questa data, non tanto perché con essa si chiude un
secolo, ma perché apre un nuovo millennio nella storia dell’umanità.
Iniziative politiche, culturali
e sociali si sono richiamate a questa data; il magistero della Chiesa ed anche
noi stessi con la già citata riflessione: “L’Ospitalità
dei Fatebenefratelli verso il 2000”. Sebbene il tempo si succeda in un
inesorabile ritmo continuo, tutto il mondo pensa ormai al 2000 come ad un momento
che aprirà all’umanità una realtà diversa.
Il Capitolo 1994 parte dalla
stessa prospettiva: facendo un bilancio su che cosa abbiano significato per
l’Ordine questi ultimi 30 anni dalla fine del Concilio, desideriamo entrare nel
2000 con uno slancio nuovo, con una nuova visione dell’ospitalità. Ce lo
proponiamo con realismo, vale a dire, assumendo con i suoi errori e i suoi
meriti, tutti gli sforzi che sono stati compiuti nella storia recente
dell’Ordine per dare nuove risposte alle esigenze della nostra società, ma
dando nel contempo, alla luce della nuova evangelizzazione, un nuovo senso
all’essere e all’esercizio della ospitalità.
5.1. La
società in cui viviamo
La società alla fine del XX
secolo si presenta dinamica e in continua trasformazione. Negli ultimi
cinquant’anni si sono prodotti, sia quantitativamente che qualitativamente, i
maggiori cambiamenti che la storia ricordi.
Questi cambiamenti così rapidi e
profondi hanno trasformato la nostra esistenza personale e sociale ed anche il
nostro ambiente. Le caratteristiche principali di questo cambiamento sono
state: la produzione in serie, una crescita enorme nel campo delle comunicazioni,
l’omogeneizzazione (dei procedimenti, salari, del habitat ecc.), il gigantismo
(stabilimenti industriali, ospedali ecc.) e la concentrazione del potere.
Gli individui e le società hanno
tratto beneficio di questi cambiamenti, p.e. per quanto riguarda le condizioni
e la durata media di vita. Il progresso tecnologico punta oggi ad uno stile
più ragionato per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse: sorge l’industria
“ecologica”, cresce l’elettronica, l’informatica, la biotecnologia, che
determineranno le forme di produzione e le condizioni di vita nell’immediato
futuro. Questi progressi rappresentano una sfida per la nostra ospitalità,
giacché molti di loro esigono da noi di aggiornare, di approfondire sul piano
etico-religioso e di adeguare costantemente la nostra missione.
Come abbiamo detto nel capitolo
IV, una delle conseguenze dei cambiamenti del XX secolo è stata la disintegrazione
dell’uomo e il suo impoverimento interiore; allo stesso tempo si registra
attualmente un forte desiderio di trascendenza. Lo spettacolare progresso
tecnologico richiede un progresso identico a livello spirituale ed etico. Su
questa esigenza ha insistito anche Giovanni Paolo II nell’enciclica “Sollicitudo rei socialis”, dove nel
terzo capitolo propone una panoramica molto esaustiva del mondo contemporaneo.
Dall’altra parte assistiamo
all’inesorabile dissolversi dei valori tradizionali. Il consumismo è diventato
un fenomeno universale; la società dell’immagine attrae e modella i
comportamenti; la molteplicità delle opinioni ha ridimensionato il valore
dell’individuo e della sua libertà. I nuovi valori ed antivalori incidono,
volenti o nolenti, sul nostro stile di vita e di missione che dovrà pertanto
essere ripensato e rivalutato alla luce del Vangelo e del carisma per essere
fermento e luce nel mondo in cui viviamo.
Questi ed altri fatti esigono
dall’Ordine di saper leggere e discernere i nuovi segni del tempo.
5.2. Il
significato della nuova ospitalità
Come abbiamo già detto, il
magistero, quando parla di nuova evangelizzazione, non si riferisce al contenuto
che è lo stesso dalla fondazione della Chiesa: la salvezza di Gesù Cristo, ma
a nuovi metodi di presentazione che corrispondano alle nuove situazioni che
l’uomo sta vivendo.
Nella stessa linea noi, alla
luce delle seguenti riflessioni, parliamo di nuova ospitalità:
-
L’aspirazione
dell’Ordine è di incarnare lo stile di San Giovanni di Dio nell’esercizio
dell’ospitalità. Se fossimo come lui, saremmo caratterizzati come agenti
dell’ospitalità dal suo stesso essere, dalla sua stessa forza d’azione e non
avremmo bisogno di parlare di nuova ospitalità.
-
L’Ordine desidera
rispondere alle nuove esigenze con l’impronta di San Giovanni di Dio, per cui è
chiamato a vivere l’ospitalità in forma rinnovata.
Ponendoci dinnanzi in questo
Capitolo la possibilità di una nuova ospitalità non significa altro che farci,
tutto l’Ordine, confratelli e collaboratori, una chiamata a rinnovare il nostro
essere agenti dell’ospitalità per rispondere ai bisogni dell’uomo che soffre.
Consideriamo valido l’invito che
ci ha rivolto il Concilio, a tornare alle fonti, sia a quelle del Vangelo che a
quelle del nostro Fondatore. Da ambedue, la nostra ospitalità potrà attingere
una dimensione nuova. Consideriamo altrettanto valida la necessità di leggere
i segni del tempo in chiave di ospitalità. Soltanto così riusciremo ad
adeguare le nostre risposte alle aspettative che l’uomo di oggi pone in noi
Fatebenefratelli.
5.3. Esigenze della nuova
evangelizzazione che dobbiamo fare nostre
Dopo aver chiarito l’intima
relazione tra nuova evangelizzazione e nuova ospitalità, vogliamo ora esaminare
più da vicino le esigenze concrete che la nuova evangelizzazione ci pone di
fronte. Sullo sfondo di quanto detto nel capitolo IV di questo documento, ci
permettiamo di richiamare l’attenzione in particolare sui seguenti punti:
-
identità: come consacrati nell’ospitalità dobbiamo manifestare una rinnovata
convinzione e determinazione nel farci riconoscere senza falsi timori come
cristiani e religiosi, coscienti che il messaggio evangelico per sua stessa
natura preme per essere trasmesso agli altri; il Papa a questo proposito
parla di un nuovo ardore dell’evangelizzatore, al quale nulla può fare tacere;
-
consapevolezza: dobbiamo fare nostra la consapevolezza che l’uomo che abbiamo di fronte,
nonostante si proclami indifferente o addirittura areligioso, conserva nel suo
profondo una grande sensibilità per l’oltre, per Dio; è a quest’uomo che
dobbiamo imparare a parlare con un nuovo linguaggio senza generalizzazioni o
semplificazioni indebite;
-
testimonianza: il messaggio cristiano, pur servendosi come veicolo della parola, ha
bisogno, per essere credibile, di essere incarnato da persone che vivono nel e
del Vangelo; il nostro carisma dell’ospitalità ci apre, come testimoni di
Cristo, uno spazio privilegiato;
-
profetismo: tra i tanti carismi che Dio dà per il bene del suo popolo, la vita
religiosa, motivata dai valori futuri che essa tenta di annunciare con la sua
testimonianza attuale, partecipa, in modo particolare, alla dimensione profetica
della Chiesa; come Gesù “il profeta potente in opere e in parole” (Lc 24,
19), anche noi siamo chiamati ad identificarci pienamente con il nostro tempo,
il nostro ambiente sociale, ma ad essere, al tempo stesso, “altri” per il linguaggio, il comportamento,
gli atteggiamenti;
-
inculturazione e universalità: dobbiamo fare
nostre le conoscenze dell’antropologia e dell’etnologia per andare incontro
con rispetto sempre maggiore alle culture in cui vogliamo fare presente la
misericordia di Dio attraverso il nostro carisma; in questo deve ispirarci un
autentico spirito universalistico che abbracci l’intera famiglia ospedaliera -
religiosi, collaboratori e amici - e che promuova una cultura del dialogo e
della solidarietà tra i popoli;
-
umanizzazione
e tecnica: pur apprezzando l’immenso valore delle conquiste tecniche, dobbiamo
vigilare sul loro giusto utilizzo ed indicare i loro limiti promuovendo
un’applicazione umanizzata per un buon esercizio dell’ospitalità;
-
promozione umana: dobbiamo fare sì che il nostro impegno a favore dell’uomo malato, povero
ed emarginato e della sua crescita assuma sempre più manifestamente il valore
della salute/salvezza di Cristo ed evitare di percepirci come centri
socio-sanitari solo o prevalentemente nella dimensione dell’utilità sociale;
-
contatto personale: l’uomo di oggi soffre in misura crescente di
una spaventosa solitudine, di un angoscioso svuotamento interiore, di un anonimato
dilagante; per questo dobbiamo, oltre a fargli sentire la nostra comprensione e
vicinanza, offrirgli autentiche relazioni di aiuto sia sul piano umano che su
quello spirituale e pastorale.
Le nuove risposte che siamo chiamati a dare nella
linea della nuova evangelizzazione, ci stanno chiedendo di “rifondare”
l’Ordine agli albori del terzo millennio, rimanendo docili ed aperti all’azione
dello Spirito che ci sta costantemente presentando nuovi cammini. Si tratta di
stare attenti alla sua voce che si esprime nella chiamata dei nuovi bisognosi.
5.4. La
nuova ospitalità: esigenze nella nostra vita di fede
Ci sentiamo privilegiati da Dio perché si è manifestato
in maniera speciale nella nostra vita chiamandoci a vivere la nostra storia
personale radicati nella fede. Una fede che si manifesta ogni giorno della nostra
vita attraverso le opere. Una fede da cui deve scaturire come risposta
l’impegno per ciò che abbiamo chiamato la nuova ospitalità.
Sappiamo che Giovanni di Dio dedicava grande
spazio nella sua vita alla preghiera in tutte le sue forme di espressione:
eucaristia, penitenza, rosario, altre orazioni verbali, meditazione della
passione di Cristo, dialogo con il Signore per chiedergli aiuto ecc. Dall’
altra parte lo vediamo dotato di un ardore evangelico, trasformato nel suo
essere, armonioso e sereno, come frutto della preghiera. Con un senso di ospitalità
che scaturisce dalla sua identificazione con il progetto evangelico.
Valorizziamo la sua fiducia in Dio; come scorge dappertutto la Provvidenza.
Valorizziamo la sua capacità di intuire la presenza di Dio in ogni luogo,
soprattutto dove si realizza l’amore. Valorizziamo la sua totale disponibilità
a fare qualunque cosa che gli si chiede per amore di Dio. Ciò ci dimostra
come Giovanni di Dio, dall’esperienza della fede nell’amore di Dio, fosse
capace di presentare una nuova ospitalità, diversa da quella che si stava
esercitando all’epoca.
Radicati in Giovanni di Dio, noi
ci sentiamo chiamati a vivere l’ospitalità con uno spirito nuovo. Per i nostri
limiti non sempre siamo stati capaci di tenere fede a questo obiettivo e siamo
coscienti che la preghiera ci aiuterà a conseguirlo, una preghiera incarnata
nella vita, che ci darà la capacità di stare accanto ai malati e ai bisognosi
in sintonia con Dio come Giovanni di Dio.
5.4.1. Coltiviamo la nostra vita di
fede in comunità
La fede è un dono, ma un dono
che richiede di essere accolto, sostenuto, coltivato. In questo processo conta
molto l’atteggiamento della persona di fronte a Dio, ma contano anche fattori
esterni quali: la formazione teologica e spirituale, le espressioni
liturgiche, il nostro stesso essere chiamati a vivere in comunità. Pertanto la
nostra fede esige:
-
che purifichiamo
costantemente la nostra attitudine di uomini di preghiera, di persone che accettano
Dio come fondamento assoluto della propria esistenza;
-
che potenziamo la
nostra formazione teologico-spirituale in tutti i campi e che la aggiorniamo
attraverso la formazione permanente per sostenere e coltivare la nostra
dimensione di fede;
-
che abbiamo cura
delle nostre espressioni liturgiche, affinché siano momenti forti di incontro
della Comunità con Cristo reso presente attraverso i segni che celebriamo;
-
che aderiamo al
principio evangelico della riconciliazione fraterna come realtà
imprescindibile per partecipare alle celebrazioni comunitarie per favorire la
fraternità nella comunità e la forma di vivere apostolicamente la nuova
ospitalità;
-
che non ci
assentiamo né scusiamo con leggerezza l’assenza dalle espressioni comunitarie
di preghiera per fomentare la unione tra i Confratelli e dei Confratelli con
Dio.
5.4.2. Preghiera personale e esperienza di Dio
Siamo convocati nella Chiesa per
vivere in comunità. Alla base di tutto ciò sta però una scelta personale. E’
Dio che ti invita. Eri tu, sono io che rispondo a un progetto che realizziamo
insieme. Da qui l’importanza di dedicare spazio alla preghiera personale,
all’incontro con Dio, all’esperienza di Dio. Siamo convinti che gran parte
della forza della ospitalità di San Giovanni di Dio scaturiva dai suoi incontri
personali con Cristo nella preghiera. Pertanto:
-
una buona risposta
alla chiamata che abbiamo ricevuto da Dio esige fomentare l’incontro personale
con Lui attraverso la preghiera;
-
quello che vogliamo
non è tanto che ciascuno compia diligentemente l’ora di preghiera personale,
di cui ci parlano le nostre Costituzioni, ma che ciascuno, fomentandola,
ricerchi l’incontro personale con Dio;
-
il clima vivo di
un’osmosi di comunicazione personale nella preghiera con il Signore è necessario
come presupposto per realizzare la preghiera comunitaria;
-
soltanto da una
disposizione personale può scaturire la possibilità di camminare nella presenza
di Dio e di fare una lettura degli avvenimenti della vita ‘iella luce della
fede.
5.4.3. La
sofferenza della persona - cammino per l’incontro con Dio
Nell’introduzione della “Salvifici doloris” al n. 3, Giovanni Paolo II riprende un pensiero
della sua enciclica “Redemptor hominis”
affermando: “In Cristo ogni uomo
diventa la via della Chiesa”.
Applicando questo pensiero al tema della sua riflessione, dichiara subito
dopo: “Si può dire che l’uomo diventa
in modo speciale la via della Chiesa, quando nella sua vita entra la
sofferenza”.
Non vogliamo addentrarci qui nel tema della presenza
del male, della malattia e della morte nel mondo. La lasciamo nell’ambito del
mistero. La accettiamo come una realtà inerente alla nostra condizione di
esseri limitati. Giovanni Paolo II presenta la sofferenza come una realtà
catechetica per gli uomini (SD 12), tanto per quelli che la patiscono quanto
per quelli che stanno a fianco dei sofferenti, che serve a comprendere il
vero senso dell’esistenza (SD 29).
La sofferenza di una persona porta sempre alla
domanda sul suo perché. A seconda
come la persona vive la sofferenza, questa può portare all’agnosticismo,
producendo molteplici frustrazioni e conflitti nei rapporti dell’uomo con Dio,
ivi inclusa la negazione stessa di Dio (SD 9), oppure come sostiene la tesi
dell’enciclica, all’incontro con Dio (SD 27).
Noi Fatebenefratelli, chiamati
all’esercizio dell’ospitalità, chiamati all’incontro con il povero, bisognoso e
malato, con la persona che soffre, dobbiamo tener conto di ambedue queste
realtà, affinché a partire da una presenza opportuna possiamo portare luce
nelle diverse situazioni ed aiutare. nella misura del possibile, le persone ad
incontrarsi con Dio.
Come dice l’enciclica, assumendo
in tutta profondità la sofferenza nella vita, la realtà della sofferenza, più
che una risposta astratta, è soprattutto una chiamata, una vocazione (SD 26).
La quale, aggiungiamo noi, non dà la possibilità di scegliere tra essere
malati o non essere malati, ma sì quella di optare per questo o quell’altro
modo di assumerla, di stare nel mondo in questa condizione.
5.4.4. Come
Giovanni di Dio, con Dio e con l’uomo
Essere un Fatebenefratello è una
sfida. È il progetto di configurarci il più possibile con Giovanni di Dio. Di
identificarci con la sua forma di vivere e di servire gli infermi. Ciascuno
sulla base della sua personalità. Non possiamo eliminare i codici che ci definiscono,
ma possiamo avvicinarci, nella misura del possibile, al profilo ideale del
religioso di San Giovanni di Dio cercando di identificarci il più possibile
con il profilo di Cristo manifestazione della misericordia del Padre.
Come fece nostro Padre San
Giovanni di Dio: “Egli, sotto l’impulso
dello Spirito Santo e trasformato interiormente dall’amore misericordioso del
Padre, visse in perfetta unità l’amore a Dio e al prossimo” (C n. 1).
Il progetto di Dio implica sempre che Dio stesso entri nell’essere
dell’uomo. Come il progetto del vero uomo implica sempre l’essere aperti a
Dio, il lasciargli uno spazio nel proprio essere. Per Giovanni di Dio ciò era
chiarissimo. Da qui la sua preoccupazione di trasmettere questo senso di Dio e
dell’uomo ai suoi seguaci nel rispetto dei loro sentimenti, ma nella
consapevolezza che in Dio avrebbero incontrato i poveri e i malati,
l’autentico senso della loro vita.
Gli obiettivi della nuova ospitalità e le esigenze
di conversione e rinnovamento della dottrina conciliare ci chiedono di vivere
in profondità la nostra fede, di viverla nella dimensione della testimonianza,
di viverla senza divisioni per Dio e per l’uomo. Di viverla radicati in Dio
cercando di stare vicini all’uomo, soprattutto quando si trova in difficoltà.
5.5. La nuova ospitalità: esigenze
nel nostro vivere comunitario
Vogliamo rispondere alle esigenze della nuova
evangelizzazione con la nuova ospitalità. Questo implica che creiamo una nuova
forma di vivere ed essere comunità. Con ciò non vogliamo ignorare la nostra
realtà, come stanno le cose nelle Province e quali sono le nostre Comunità.
Anzi, è proprio a loro che sono indirizzate le seguenti proposte.
La nuova ospitalità esige che le nostre comunità
vivano veramente la fraternità, che siano aperte ai collaboratori e agli
infermi, che si preoccupino della propria crescita attraverso la preghiera e la
formazione, che siano garanti del carisma e anima delle nostre opere, che si
trasformino realmente in scuole di ospitalità.
5.5.1. Comunità di vita
Le nostre Costituzioni, all’inizio del capitolo dedicato
alla comunità, affermano che noi, seguendo l’esempio della Chiesa primitiva,
nella quale la moltitudine dei credenti aveva un cuore e un’anima sola e
metteva in comune tutto ciò che possedeva, dimostriamo al mondo che la
convivenza umana è possibile (C. n. 26b).
Può darsi che questa sia una presentazione troppo
spiritualista; sappiamo che anche nella Chiesa primitiva esistevano
difficoltà, ma ciò che vogliamo sottolineare con questo riferimento è che
siamo chiamati a formare comunità di vita. La teologia della vita religiosa ha
insistito molto su questo aspetto. Siamo comunità in missione, ma non ci
possiamo perdere nel fare.
La nuova ospitalità esige che le nostre comunità
siano comunità di vita che testimonino la comunione in un mondo diviso, che
vivano la fraternità come veri fratelli e diffondano l’idea dell’amore
fraterno negli ambienti in cui sono inserite.
Per formare autentiche comunità di vita riteniamo
necessario:
-
che ciascun
Confratello si impegni in un processo di crescita personale, basato sui doni
che ha ricevuto da Dio, cercando di superare i propri limiti e agendo sempre
nella prospettiva del bene comune;
-
che ciascun
Confratello sia consapevole che formiamo una comunità e che pertanto tutti
siamo responsabili della sua costruzione, della sua crescita, di dedicarle
tempo, della necessità di partecipare alle sue manifestazioni;
-
che ciascun
Confratello dedichi determinati momenti allo studio e all’approfondimento
delle esigenze umane, teologiche, spirituali e professionali della nostra
vocazione per poter rispondere efficacemente alle esigenze del nostro apostolato;
-
promuovere come
stile di vita l’apertura, il dialogo, la capacità di ascolto, il rispetto per
gli altri, la collaborazione, l’attitudine al servizio, la semplicità, la
modestia;
-
creare coscienza di
appartenenza alla comunità, stabilire legami tra i Confratelli sulla base di
una vera amicizia appoggiandosi e sostenendosi vicendevolmente in qualunque
situazione, aperti alla riconciliazione quando necessario e uniti profondamente
nella missione comune;
-
fomentare lo spirito
di fede; siamo comunità umane e tutto quanto esista di veramente umano ci arricchisce,
ma allo stesso tempo siamo coscienti che Dio sta in mezzo a noi, per cui
dedichiamo spazi forti alla preghiera e camminiamo nella presenza di Dio;
-
vivere sentendoci in
missione cercando la comunicazione reciproca con i collaboratori, gli infermi,
i bisognosi e tutti coloro con cui veniamo a contatto; in questa maniera avremo
un arricchimento reciproco e creeremo una vera alleanza apostolica.
5.5.2. Strumenti
validi per fomentare il nostro vivere comunitario
Abbiamo spiegato l’aggettivo nuovo applicato all’evangelizzazione dicendo che esso si riferisce
alla forma e i mezzi di presentazione, non al contenuto che rimane invariabile.
La nuova ospitalità esige l’utilizzo di strumenti
atti a fomentare il nostro vivere comunitario, affinché le nostre siano
comunità veramente vive. Alcuni di questi strumenti sono quelli di sempre,
altri sono nuovi. Faremo bene ad utilizzarli tutti per fomentare il nuovo stile
di vita che richiede l’ospitalità del terzo millennio.
Come elementi indispensabili per la crescita della
comunità proponiamo:
-
la lettura e
meditazione delle Costituzioni che ci renderà più coscienti dell’ideale di vita
che abbiamo abbracciato; le Costituzioni sono per noi, come abbiamo detto, il
Vangelo in chiave di carisma;
-
il contatto
permanente con Giovanni di Dio, che nel convivere con i suoi primi compagni,
riuscì a stabilire con loro una vera comunità di vita in funzione ad una vera
ospitalità;
-
la celebrazione
della liturgia e la preghiera comunitaria come momenti di comunicazione con il
Padre in quanto membri della Chiesa convocati a formare una comunità;
-
il progetto di vita,
espressione di come la comunità desideri vivere concretamente la sua vocazione,
la cui elaborazione e valutazione mantiene viva la nostra attenzione per la
risposta che diamo alla chiamata del Signore;
-
la formazione
permanente secondo le necessità personali, seguendo però nel contempo i programmi
comunitari per stare, nella misura del possibile, al passo del nostro
apostolato;
-
l’incontro
comunitario mediante la riunione di famiglia, la ricreazione, i pasti,
l’accoglienza di persone amiche di un membro o di tutta la comunità come
espressioni importanti del nostro vivere comunitario.
5.5.3. L’universalità
come elemento essenziale della comunità
Un’attitudine che deve caratterizzarci come comunità
della nuova ospitalità, è l’universalità.
Siamo cittadini del mondo, viviamo in un’epoca
dove le comunicazioni sono molto agevoli, sono 45 i paesi in cui l’Ordine è
attualmente presente, tutti elementi che ci dovrebbero aprire all’universalità.
Dall’altra parte persistono espressioni che la impediscono:
la difesa della propria identità; la tradizione vissuta ad oltranza;
l’attaccamento a principi accidentali, che, senza renderci conto, viviamo come
fondamentali; il fatto di lasciarci trascinare da comportamenti egocentrici
ed egolatri indotti dai criteri deformati della nostra società.
Ciononostante crediamo che la nuova ospitalità
abbia un bisogno quasi essenziale dell’universalità. Pertanto esige:
-
di aprirci
“ecumenicamente al dialogo interreligioso”, vale a dire, di essere aperti in
maniera universale al confratello fomentando questa apertura attraverso un
autentico dialogo in seno alla comunità;
-
che io, dalla mia
cultura mi apra alla cultura dei miei confratelli, che ci confrontiamo con
altre comunità dell’ordine nel mondo, creando alcune comunità composte da
confratelli di diversi paesi per scoprire gli elementi universali che ci
uniscono;
-
operare un’apertura
giusta verso la donna, la cui presenza ha arricchito di sensibilità i nostri
centri e la cui azione è molto efficace nell’esercizio del carisma;
-
essere sempre più
coscienti delle necessità degli altri ricercando criteri per condividere i beni
con i quali siamo stati arricchiti non solo a livello delle nostre comunità
apostoliche, ma anche a livello delle esigenze della società;
-
intendere la nuova
ospitalità come esigenza di salute per tutti, di cui le nostre comunità si devono
fare promotrici.
5.5.4. Comunità per la nuova
ospitalità: il ruolo che dobbiamo assumere
Tutto ciò che siamo andati dicendo, lo abbiamo voluto puntualizzare in
funzione delle nostre comunità chiamate a proiettare la nuova ospitalità nel
terzo millennio in sintonia con le esigenze della nuova evangelizzazione.
Se riusciremo a superare le difficoltà che abbiamo incontrato nella prassi
e che talvolta ci hanno fatto perdere l’illusione di poter costruire una vera
comunità, saremo capaci di vivere la comunità nella luce dell’avventura della
nuova ospitalità.
Gli aspetti che abbiamo segnalato in questo paragrafo 5.5 sono da
considerarsi come obiettivi da tenere presente nella prospettiva di metterli
poco a poco in pratica.
Abbiamo il convincimento che molto dipenderà dalla nostra attitudine
interiore, se crediamo o non crediamo in questa possibilità. Combattiamo il
nostro ateismo a questo riguardo.
Soltanto coloro che confidano nella provvidenza come Giovanni di Dio, che
credono contro speranza, potranno entrare nel terzo millennio aperti alla nuova
ospitalità. Se non ci manteniamo aperti al Signore, rischio, come Israele, di
non entrare nella terra promessa.
Questa prospettiva è valida per tutte le nostre comunità. Ad alcune di esse
le esigenze della nuova ospitalità permetteranno di vivere negli stessi luoghi
in cui vivono oggi.
Tenendo presente tutto ciò che abbiamo detto qui sulla comunità, avranno la
possibilità di correre l’avventura di essere fedeli al futuro.
Altre saranno marcate più fortemente dal segno della modernità. Sorretti
dalla forza di comunità-nucleo, coloro che vivranno questa esperienza, saranno
chiamati a vivere ed esprimere la ospitalità in luoghi distinti e con persone
diverse da quelle che compongono la loro comunità.
In questo caso bisogna sempre tenere presente che, anche in presenza di
esigenze che ci possono disperdere, rimangono sempre più forti i legami che ci
uniscono. Pertanto dobbiamo ricercare sinceramente quei momenti in cui questi
legami possano esprimersi e crescere.
Potremo prendere in considerazione anche, come esigenza della nuova ospitalità
per alcuni Confratelli, la possibilità di creare comunità miste, composte cioè
da Confratelli e collaboratori, che condividano non solo la missione, ma che,
nella prospettiva della ospitalità, arrivino a formare veri nuclei di vita.
In ogni momento le nostre comunità devono essere espressione del carisma
dell’ospitalità, con il quale sono state arricchite. Inserite in un’opera propria
o affidata a loro, devono essere garanti che l’assistenza si realizzi nello
spirito di Giovanni di Dio.
Il nostro P. Generale anteriore ha presentato un modello secondo cui il
ruolo della comunità nei centri dovrebbe esplicarsi nelle seguenti quattro
direzioni: guida morale, coscienza critica, presenza anticipatrice e forza
profetica.
E un modello, certo, ma che segna un salto di qualità nella forma di stare
al servizio del malato. La nuova ospitalità ci chiede questo salto di qualità.
Disponiamoci senza timore a compierlo, perché solo così risponderemo alle
necessità del nostro tempo dando alla nostra vita tutta la sua forza
apostolica.
5.6. La nuova ospitalità:
esigenze nella nostra vita apostolica
Il fine ultimo della vita di noi Fatebenefratelli è di fare presente nel
nostro apostolato di carità Cristo che ci invita a impegnare la nostra
esistenza nell’evangelizzazione dei poveri e degli ammalati (cfr. C n.4l).
Alla luce della nuova evangelizzazione la Chiesa oggi, in vista della
nuova ospitalità, ci invita a verificare:
-
se il nostro
apostolato ha in tutte le sue espressioni una autentica valenza evangelizzatrice;
-
in quale misura le
nostre comunità nella loro azione apostolica sono coscienti del loro ruolo
evangelizzatore;
-
fino a che punto i
singoli si percepiscono e si apprezzano nella loro dimensione di testimoni del
Vangelo;
-
in quale misura
sappiamo essere animatori motivati radicati nel Vangelo ma nello stesso tempo
sensibili alle scienze umane e organizzative;
-
fino a che punto
siamo riusciti ad armonizzare la dimensione apostolica con la dimensione contemplativa
nella nostra vita.
5.6.1. Luoghi e azioni con un
particolare significato evangelico
San Giovanni di Dio ha iniziato la sua opera a Granada praticamente sulla
strada. Senza mezzi è riuscito ad affascinare persone sensibili che con la loro
generosità gli hanno permesso di aprire un primo luogo protetto aperto a tutti
(cfr. SGD, TI Lettera a Gutierre Lasso, n. 5).
Anche se d’ora
in poi Giovanni di Dio, i suoi primi seguaci e l’Ordine che ne ha preso
l’eredità, si sono appoggiati ad opere stabili, non hanno mai smesso di
rimanere aperti alle emergenze dell’epoca intervenendo con tempismo in
situazioni puntuali (guerre, epidemie, calamità naturali, ecc.).
Come i nostri
predecessori noi Fatebenefratelli siamo chiamati oggi sulla spinta della nuova
evangelizzazione ad attingere alla inesauribile ricchezza del nostro carisma,
rispondendo con creatività e rinnovato ardore ai bisogni dell’uomo del nostro
tempo.
Senza togliere nulla alle
molteplici forme in cui oggi l’ordine esprime il carisma di San Giovanni di
Dio, ci sembra che esistano alcuni campi di azione che, nella prospettiva della
nuova ospitalità, sono segni evangelici particolarmente significativi:
-
gli asili notturni: come espressione della dimensione di gratuità
che nella nostra società dell’efficienza e della produttività è quasi negata;
-
gli hospices: come luoghi che segnalano il valore della vita nel momento del morire;
-
i malati di AIDS: per contrastare paure e pregiudizi irrazionali;
-
i tossicodipendenti: amare l’uomo che non si sa amare;
-
gli immigrati: accogliere Gesù straniero come genuina espressione di ospitalità;
-
gli anziani: per affermare il valore della vita nella sua globalità.
Comunque sia, ogni luogo dove c’è povertà, malattia,
sofferenza è un luogo privilegiato per noi Fatebenefratelli di esercitare e
vivere il Vangelo della Misericordia.
5.6.2. Uniti ai collaboratori nella
stessa missione
Partendo dall’apertura fondamentale che il Concilio
Vaticano II ha operato verso i laici e illuminati dall’insegnamento della “Christifidelis laici”, noi Fatebenefratelli
abbiamo costruito progressivamente un rapporto con i nostri collaboratori che
abbiamo chiamato “Alleanza”.
Avendo dinanzi ai nostri occhi la capacità del tutto
particolare del nostro Fondatore di aggregare attorno a sé persone, le più
diverse, e di valorizzarle nello spirito del Vangelo, noi Fatebenefratelli oggi
di fronte alla moltitudine e alla varietà delle persone che ci aiutano nella
nostra missione siamo consapevoli dell’enorme compito di trasmettere loro i
valori della nostra rinnovata ospitalità.
Muovendo dal documento “Fatebenefratelli e collaboratori insieme per servire e promuovere la
vita “, alla luce della nuova
evangelizzazione e della nuova ospitalità ci sembra di poter affermare che:
-
c’è un livello in
cui esiste la possibilità di incontro con tutti i nostri collaboratori,
indipendentemente dal loro credo che potremmo definire il livello del comune
servizio all’uomo; pur rispettando le convinzioni altrui è nostro compito
sviluppare anche qui la nostra azione evangelizzatrice;
-
abbiamo una
particolare responsabilità verso coloro che condividono la nostra fede nel
mantenere vivo in loro lo spirito evangelico e di formare assieme a loro
quella Chiesa ospedaliera che possiamo anche definire come la nostra Chiesa
domestica;
-
dobbiamo saper
valorizzare sempre di più gli apporti con cui i nostri collaboratori hanno
arricchito e continuano ad arricchire la storia dell’ospitalità;
-
nell’alleanza che
abbiamo proclamato ci deve essere anche spazio per la ricerca comune con i
laici di nuovi progetti di ospitalità coerenti e
condivisibili;
-
dobbiamo continuare
a promuovere e ad accogliere con gioia chi dona gratuitamente nel servizio
volontario il suo tempo ad alleviare le sofferenze del prossimo e ad essere
sempre riconoscenti ai nostri benefattori per il loro contributo materiale e
spirituale alla nostra missione nella consapevolezza che tanto i volontari
quanto i benefattori condividono con noi il carisma di San Giovanni di Dio.
5.6.3. Filosofia del nostro agire:
principi fondamentali e situazioni concrete
Assumendo l’appello della Chiesa ad essere sempre
più consapevoli del primato dell’evangelizzazione, noi Fatebenefratelli nel
progettare la nuova ospitalità, ci sentiamo impegnati a dare nuovo slancio
all’identità confessionale dei nostri centri.
Con il rinnovamento abbiamo già
fatto passi significativi in questa direzione. Prova ne sono:
-
il coinvolgimento
dei nostri collaboratori in vista di una condivisione non solo sul piano del
lavoro ma anche su quello della fede e del carisma;
-
la collegialità e la
corresponsabilità nella gestione delle opere tra religiosi e laici;
-
l’introduzione delle
commissioni di etica;
-
la sensibilizzazione
per la dottrina sociale della Chiesa nell’ambito dei nostri centri con una particolare
attenzione alle esigenze della giustizia sia verso gli operatori che verso i
malati;
-
un approccio alla
persona malata ispirato ai principi dell’umanizzazione;
-
la valorizzazione e
la promozione del servizio di pastorale per un annuncio deciso della salute-salvezza
di Cristo;
-
la revisione
costante e della qualità dei nostri servizi e dell’efficacia apostolica sullo
sfondo del carisma di San Giovanni di Dio.
Un elemento sempre più
importante della nostra filosofia deve costituire in futuro una sensibilità speciale
per la questione ecologica. La nuova ospitalità, coerente al recenti
insegnamenti della Chiesa, deve essere anche preoccupazione di mantenere
ospitale la nostra terra. Essendo le nostre strutture luoghi di grande consumo
dei più svariati materiali, possiamo qui dare dei segnali concreti e
significativi di attenzione all’ambiente istituendo commissioni per l’ambiente,
privilegiando l’utilizzo di materie biodegradabili e riciclabili e
sensibilizzando i collaboratori attraverso corsi e seminari.
CONCLUSIONE
La sottocommissione incaricata
di elaborare il presente documento ritiene di aver compiuto il lavoro
affidatole con molta buona volontà, consapevole di rendere un servizio
importante all’Ordine nella prospettiva che il rinnovamento, che ci è stato
chiesto dal Concilio, continui nello spirito della nuova evangelizzazione
attraverso la nuova ospitalità.
Tocca ora ai Confratelli e ai
collaboratori studiarlo, correggerlo e migliorarlo. Così arricchito sarà poi
oggetto di un’ulteriore analisi nel Capitolo Generale che nella programmazione
dovrà stabilire ed approvare gli orientamenti
pratici a breve e a lungo termine da adottare dal Governo Generale, dalle
Province. dalle comunità e dai centri assistenziali per rispondere alle
esigenze della nuova ospitalità.