Fatebenefratelli e Collaboratori insieme per servire e promuovere la vita
Riflessione sulla collaborazione dei laici alla vita e all'opera dell'Ordine
Ordine Ospedaliero
di San Giovanni di Dio
Fatebenefratelli
FATEBENEFRATELLI
E COLLABORATORJ
INSIEME
PER SERVIRE
E PROMUOVERE
LA VITA
Edizioni Fatebenefratelfi
Sin dalle sue prime origini, il nostro
Ordine è stato un movimento di laici. Tra i laici, uomini e donne, che
aiutarono Giovanni di Dio nella sua opera di carità a Granada, c’erano alcuni
uomini che non parteciparono soltanto alla sua attività nel campo della salute,
ma che adottarono anche il suo stile di vita caratterizzato dalla dedizione
totale al prossimo e finalizzato all’evangelizzazione dei poveri e degli
ammalati. Alcuni di questi uomini figurano più tardi tra i primi Confratelli
dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, quando questo, nel 1572, fu
riconosciuto dalla Chiesa. Anche altri collaboratori di Giovanni di Dio
parteciparono pienamente al suo servizio di carità e di evangelizzazione, ma,
rispondendo ad una chiamata diversa, abbracciarono un altro stile di vita,
contraendo il vincolo del matrimonio o conducendo vita da celibi.
Nella storia del grande movimento di carità
messo in moto da Giovanni di Dio, un elemento costante è stato la coesistenza
di vari stili di vita (religiosi consacrati, uomini e donne sposati, uomini e
donne celibi, ecc.), amalgamati e uniti fra loro dall’obiettivo comune di servire
gli ammalati e i bisognosi. Nel recente passato sono stati moltiplicati gli
sforzi volti a instaurare relazioni autentiche e profonde tra tutti i
componenti della Famiglia Ospedaliera che è nata intorno a San Giovanni di Dio
conservando la sua memoria e portando avanti la sua opera sin dalla sua morte
del 1550.
Nel 1988, l’organo supremo dell’Ordine,
ossia il Capitolo Generale, constatò che all’interno dell’Ordine, esistevano
vari modi di vedere e intendere queste relazioni.
Allo scopo di raggiungere un
consenso più ampio a questo riguardo, il Capitolo ha ritenuto opportuno sollecitare
una riflessione sui concetti e sui modi di partecipazione dei collaboratori
laici alla vita e all’opera dell’Ordine. Come parte di questo processo di
riflessione, il Governo Generale ha sviluppato il presente documento.
Il documento
L’obiettivo del documento è
fissato in tutta chiarezza nell’introduzione: «rispondere a quanto il Capitolo
Generale aveva demandato al Governo dell’Ordine, vale a dire: chiarire i
concetti e i livelli di relazione tra i Collaboratori e i Confratelli» (par.
5).
Il documento non pretende di
rispondere a tutti i quesiti che si pongono a noi Confratelli e Collaboratori,
allorché tentiamo di seguire fedelmente l’insegnamento della Chiesa, secondo
la quale, servire e promuovere la vita nell’apostolato ospedaliero, è un
ministero laico (cfr. Christifideles Laici 38, 5).
Molte sono le parole che
debbono ancora essere dette e scritte, e sulla natura, e sui livelli, della
relazione tra Confratelli e Collaboratori; specialmente per quanto concerne i
numerosi Collaboratori che «non condividono con noi la fede in Cristo e nel
senso trascendente della vita» (par. 122).
Credo che tutte le parole
spese in questa direzione siano un tentativo di descrivere e captare un
qualcosa che è esistito sin dai primi giorni di vita del nostro Ordine; un
qualcosa che è parte integrante della presenza e dell’adozione del carisma
dell’ospitalità nel mondo; un qualcosa che siamo chiamati a consolidare con
particolare attenzione al giorno d’oggi.
Pertanto, io personalmente,
considero documenti come questo, un tentativo di riscoprire e di promuovere
quel tipo di relazione che Giovanni di Dio seppe instaurare, durante la sua
esistenza terrena, con i suoi collaboratori. Una relazione-modello in questo
senso ci è stata tramandata dallo stesso Giovanni di Dio.
La relazione-modello
Mi riferisco al legame che unì
Giovanni di Dio ad uno dei suoi aiutanti, un giovane che egli era solito
chiamare “Angulo”, ma che in realtà si chiamava Giovanni d’Avila (2DS, 26).
Nei numerosi riferimenti ad Angulo, contenuti nelle sue lettere, Giovanni di
Dio lo definisce quasi invariabilmente suo compagno (1DS, 14, 17; 2 DS, 26; 3DS,
7). Dalle lettere di Giovanni di Dio traspare molto nitidamente come questi due
uomini condividessero le preoccupazioni derivanti dall’opera che erano intenti
a portare avanti a favore dei poveri e degli ammalati (1DS, 14). Giovanni di
Dio aveva piena fiducia in Angulo e invitò la sua benefattrice, la Duchessa di
Sessa, di porre in Angulo la stessa fiducia che poneva in lui (1DS, 17).
Giovanni di Dio affidò ad Angulo il
disbrigo di diverse questioni pratiche, come p.e. la vendita di beni ricevuti
in donazione, ma anche la cura di questioni religiose, come p.e. la
distribuzione di elemosine (1DS, 17; 2DS, 21, 22). I due uomini viaggiarono
spesso insieme. In una lettera Giovanni di Dio annuncia addirittura che
sposterà la sua partenza per un certo viaggio sino al ritorno di Angulo,
affinché lo potesse accompagnare (2DS, 22). L’ultimo riferimento ad Angulo in
ordine di tempo si trova nella terza lettera alla Duchessa di Sessa. Scritta
nell’ultimo anno della sua vita, questa lettera assume in certi passaggi il
tono di un ‘ultima volontà, di un testamento. Se dovessi morire, scrive
Giovanni di Dio alla Duchessa, vi prego di aver cura di Angulo «perché rimarrà
molto povero, sia lui che sua moglie» (3DS, 7).
Spazio e natura della presentazione di
questo documento non mi permettono di approfondire ulteriormente i dati
storici di questa relazione.
I tratti distintivi della relazione
Tuttavia desidero mettere in rilievo i
tratti distintivi che caratterizzano la relazione che univa questi due uomini,
dei quali uno, come ben sappiamo, conduceva una vita da religioso, mentre
l’altro era sposato. Il primo biografo di San Giovanni di Dio, Francesco de
Castro, li definì come uomini molto simili di spirito (cfr. Castro, Nota
introduttiva per il lettore cristiano).
Lo stesso Giovanni di Dio descrive il suo
legame con Angulo come un legame
fondato su: un genuino senso di amicizia e di amore; la solidarietà fraterna
nel portare avanti la stessa impresa; la fiducia e la stima reciproca; la
condivisione degli stessi valori; l’accettazione delle stesse circostanze di
vita; la preoccupazione dell’uno per l’altro.
Aver
cura di Angulo
Perché
l’Ordine è impegnato a promuovere una relazione sempre più profonda e
autentica tra Confratelli e Collaboratori? Perché, questa è almeno la mia
convinzione, appartiene intimamente alla personalità dell’Ordine e al carisma
che noi Confratelli riceviamo come custodi e promotori dell’ospitalità, “aver
cura di Angulo”.
Conclusione
Il documento, in ordine a chiarire determinate
questioni, è basato necessariamente su precise definizioni. Con il termine
“laici” il documento si riferisce pertanto al “laicato” nel significato inteso
dalla Chiesa: ma l’Ordine usa spesso lo stesso termine, “i laici” appunto, per
indicare tutto il corpo dei suoi Collaboratori, a qualunque fede o credo essi
appartengano.
Il documento, tenendo conto di questo dato di
fatto, nel capitolo III pone le prime basi per una riflessione che si
interroghi sul come tutti i Collaboratori laici, che partecipano all’opera
dell’Ordine, possano e debbano essere coinvolti nella comunione di servizio
all’altro, proclamata da Gesù in Matteo 25, 37-40.
Sono
sicuro che questo documento sarà per noi Confratelli e Collaboratori
dell’ordine Ospedaliero un grande aiuto nello sforzo di servire e promuovere
la vita in maniera sempre più compatta, come hanno saputo fare Giovanni di Dio
e Angulo. Mi permetto pertanto di raccomandare ai destinatari di riservare a
questa lettura una particolare attenzione e una profonda riflessione.
Fra Brian O’Donnell OH
Priore Generale
INTRODUZIONE
I. Da vari anni, esiste nell’Ordine un movimento
che promuove le relazioni tra i Confratelli e i Collaboratori per realizzare
un’assistenza sempre più efficiente e umanizzante.
Il Capitolo
Generale 1988 segnò poi un momento che potremmo definire storico, perché vide per la prima volta nella storia dell’Ordine la
partecipazione di rappresentanti laici delle Province. In quella sede si
constatò che non era possibile definire una linea univoca sul movimento
dei laici nell’Ordine, poiché la varietà degli ambiti, in cui l’Ordine si
trova ad operare, rendeva difficile l’introduzione di un significato valido per
tutti. Pertanto si scelse una definizione molto ampia e aperta volta a
orientare la riflessione successiva e a conseguire progressivamente che
avrebbe facilitato il cammino per giungere a una definizione concreta in seno
all’Ordine, affidando al Governo Generale la responsabilità di chiarire i
concetti e i modi di partecipazione dei Collaboratori alla vita dell’Ordine[1]
.
2. Alcuni mesi dopo la celebrazione del Capitolo
Generale, fu pubblicata l’Esortazione Apostolica Christifideles laici, che
raccoglie il contributo dei vescovi offerto durante il Sinodo del 1987. Nel
documento si insiste sulla necessità di riconoscere e di promuovere la missione
dei fedeli laici nella Chiesa e vengono offerte le indicazioni per la concreta
collaborazione richiesta ai laici nell’ambito dell’evangelizzazione, come
risposta personale alla consacrazione battesimale.
Motivazioni per la pubblicazione del presente
documento
3. La motivazione principale è legata
alla finalità apostolica dei Centri dell’Ordine che non possiamo pretendere
di realizzare da soli: dobbiamo manifestare la nostra comunione con la Chiesa,
accogliendo con gioia l’invito a inserire i Collaboratori
nell’evangelizzazione del Mondo della Salute, tenendo conto che gli ammalati e
i bisognosi hanno diritto di essere evangelizzati.
4. Un’altra motivazione è legata al
cambiamento che si è verificato nel Mondo della Salute. Vale la pena ricordare
che, fino a dieci anni fa, i Centri dell’Ordine avevano una struttura
organizzativa e gestionale portata avanti dai Confratelli in quasi tutte le
sue funzioni e la presenza dei Collaboratori nell’assistenza e nella gestione
era minima. Oggi, nella quasi totalità dei Centri, si è moltiplicata la loro
presenza ed è diminuita quella dei Confratelli.
Obiettivi del documento
5. Il primo obiettivo è quello di
rispondere a quanto il Capitolo Generale aveva demandato al Governo
dell’Ordine.
Tuttavia questo presuppone:
— esprimere il fondamento
dottrinale dei modi di relazione tra i Confratelli e i Collaboratori;
— definire la terminologia da usare
e i modi di partecipazione dei Collaboratori alla vita dell’Ordine, per
arrivare a un linguaggio comune;
— superare i pregiudizi, il più
delle volte inconsci, che esistono tra i differenti gruppi e che provocano
fratture e privano i destinatari della salute di un servizio più efficiente e
maggiormente umanizzato;
— realizzare una vera alleanza tra
tutte le persone che collaborano nei Centri dell’Ordine per l’assistenza agli
infermi e ai bisognosi.
Terminologia
6. Per poter comprendere e
interpretare in modo corretto il presente documento, è necessario intendersi
sull’accezione e sull’uso delle parole, onde evitare alcuni equivoci. Ecco le
principali parole:
— laici:
nel significato inteso dalla Chiesa, ossia:
Col nome di laici - così la Costituzione Lumen Gentium li descrive
- si intendono qui tutti i fedeli ad
esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso, sancito dalla
Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col
Battesimo e costituiti Popolo di Dio, a loro modo, resi partecipi dell’ufficio
sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella
Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano[2]
.
— collaboratori: nel significato di dipendenti, volontari e benefattori[3].
— dipendenti: sono tutte le
persone, assunte con contratto di lavoro, che si dedicano al servizio del
prossimo nei Centri dell’Ordine; restano esclusi i Confratelli della Comunità.
— volontari: sono le persone
che, sospinte da differenti motivazioni con generosità e gratuità, dedicano
parte della loro vita e del loro tempo al servizio dei malati e dei bisognosi,
collaborando per l’umanizzazione dell’assistenza nei nostri Centri.
— benefattori: sono le persone
che a livello economico o spirituale, aiutano l’Ordine.
— mondo della salute: sono le differenti
forme con le quali l’Ordine esprime la sua missione nell’assistenza ai malati
e ai bisognosi.
Alcune premesse
7. I Centri dell’Ordine sono soggetti alle norme generali delle
istituzioni a loro similari sia per i fini sociali sia per i contratti di
lavoro; tuttavia occorre ricordare le peculiarità loro proprie, riconosciute
anche dalla legislazione della maggioranza delle nazioni.
A.
Carattere confessionale dei Centri dell’Ordine
8. La ragione d’essere dell’Ordine Ospedaliero
è:
vivere e manifestare il
carisma dell’ospitalità secondo lo stile di San Giovanni di Dio... dedicandosi
al servizio della Chiesa nell’assistenza agli ammalati e ai bisognosi...
per mantenere viva nel tempo la presenza misericordiosa di Gesù di Nazareth e,
in questo modo, essere segno e annuncio
della venuta del Regno di Dio [4].
Pertanto i suoi centri hanno un carattere prettamente
confessionale.
9. Non occorre giustificare il diritto della Chiesa di conseguenza
dell’Ordine, di organizzare e dire i Centri assistenziali poiché realizzando
dei compiti propri del temporale,
converte questi compiti sociali in azioni evangelizzatrici; in questo modo la
Chiesa continua a rendere presente l’amore di Dio verso gli uomini, compiendo
le stesse azioni di Gesù, azioni da lui elevate a categoria di segno visibile della presenza del Regno
di Dio e della Sua missione di Messia (Cf Lc 7, 18-23).
Nel continuare all’interno della Chiesa l’azione
misericordiosa e salvifica di Gesù sulle orme di San Giovanni di Dio, l’Ordine
muove da una prospettiva ecumenica
aperta a tutti. Pertanto l’Ordine serve con gioia tutte le persone che ne
hanno bisogno, siano esse credenti, cristiane o appartenenti ad altre
confessioni religiose.
Per la medesima ragione rispetterà sempre e ovunque ciascun modo di pensare
e sentire e verrà incontro a qualsiasi sollecitudine che in campo religioso
viene avanzata da persone assistite nei suoi Centri appartenenti ad altra fede [5].
10. L’Ordine Ospedaliero possiede dei propri Centri, memore della stessa
istanza che ha spinto il suo Fondatore dopo aver sperimentato sulla propria
pelle la disumanizzazione dell’assistenza durante il suo ricovero nell’Ospedale
reale di Granada:
Vedendo castigare gli infermi, che erano pazzi e
stavano insieme con lui, diceva: Gesù Cristo mi conceda il tempo e mi dia la
grazia di avere un ospedale, dove possa raccogliere i poveri abbandonati e
privi della ragione e servirli come desidero io [6].
Il suo desiderio era di servirli con
amore procurando quanto contribuiva alla loro salute, al benessere e alla
salvezza: oggi diremmo un’assistenza integrale nel significato evangelico.
11. Questo
non significa che l’Ordine limiti l’assistenza solo ai propri Centri; mai fu
così, neppure al tempo del Fondatore. La rapida diffusione dell’Ordine si
deve, in gran parte, al fatto che i Confratelli accompagnavano l’Armata
Spagnola per curare i malati e i feriti e inoltre alle richieste dei Vescovi e
delle Autorità civili che affidavano gli ospedali della diocesi o del Comune.
Le attuali Costituzioni dell’Ordine, si muovono nella stessa linea la
tradizione [7].
12. La proprietà dei Centri non può intendersi come volontà di
discriminazione; infatti i Centri dell’Ordine, cominciando dal primo ospedale
di Giovanni di Dio, sono aperti a tutti:
Essendo questa casa per tutti, vi si ricevono indistintamente (persone
affette) da ogni malattia e gente d’ogni tipo [8].
Le parole si
ricevono indistintamente (persone affette) da ogni malattia e gente d’ogni tipo si devono intendere
nel loro senso più ampio: tutte le categorie di malati e di bisognosi, uomini e
donne di ogni razza e condizione sociale.
Questa situazione si è mantenuta lungo i secoli, come attestano le
Costituzioni dell’Ordine.
13. Alla base di tutto, come si deduce dal desiderio di Giovanni di Dio,
rimane il principio di fare il bene,
facendolo bene; vale a dire non limitarsi alla semplice assistenza,
dimenticando la qualità, ma coniugare la giustizia con la carità cristiana per
offrire ai malati e ai bisognosi un servizio efficiente e qualificato, sia a
livello scientifico che tecnico [9].
B. Filosofia dell’Ordine
14. Il
carattere confessionale dei Centri esprime in modo inequivocabile che l’Ordine
si basa su un’ispirazione originale, una tradizione secolare e un senso di
apertura ai cambiamenti socio-politici così da esprimere una sua peculiare
filosofia. Questa filosofia non si limita all’aspetto dottrinale, teologico,
giuridico e tradizionale per l’organizzazione della struttura, per
l’orientamento e il funzionamento dei suoi istituti assistenziali ma è
arricchita da quello che potremmo definire uno stile proprio di interpretare e
praticare il dono dell’Ospitalità, dono che conforma e impronta
l’espressione concreta, teorica e pratica in una dottrina, norme e costumi,
che sostengono e regolano la missione dell’Ordine.
15. Anche se
la filosofia dell’Ordine viene sviluppata in un altro documento, al quale
rimandiamo per ulteriori informazioni, è opportuno ricordare i principi
fondamentali che la ispirano e che di seguito indichiamo.
a. L’Ordine Ospedaliero ha origine
nella Chiesa e nella società come frutto del dono dell’ospitalità, che lo
Spirito Santo concesse al suo Fondatore, San Giovanni di Dio. Egli, mosso da
una forza interiore, basata sull’esperienza dell’amore misericordioso di Dio e
su una fede profonda, tradusse il dono ricevuto in un impegno totale della sua
persona al servizio di Dio dedicandosi ai poveri della città di Granada [10].
b.
L’esempio di Giovanni di Dio attrasse altri uomini a seguire il suo stile di
vita, sentendosi motivati a servire Gesù Cristo nei poveri e così imitarlo e
collaborare con Lui alla salvezza del prossimo [11].
c. I Centri dell’Ordine esprimono un significato
apostolico-assistenziale così inteso:
— L’esperienza
di essere misericordiosamente amati da Dio, spinge i Confratelli a consacrare
la loro vita a Dio nel servizio ai malati e ai bisognosi [12].
— La
missione apostolica, fine specifico dell’Ordine, si realizza con e
a!traverso l’assistenza integrale ai bisognosi [13].
d. La
missione dell’Ordine ha come punto di riferimento: lo “spirito” del
Fondatore; i principi della carità cristiana; gli orientamenti della Chiesa
cattolica, in particolare quelli riguardanti la Bioetica e la Dottrina sociale;
segue la legislazione sull’assistenza sanitaria e sociale di ogni nazione,
quando non è in contrasto con i principi e i diritti fondamentali della persona
a nascere, a vivere decorosamente, a essere assistita nelle infermità e a
morire con dignità [14].
e. I destinatari della missione dell’Ordine
sono tutte le persone che soffrono per la povertà, la malattia e
l’emarginazione sociale, senza alcuna discriminazione di razza, religione,
ideologia e classe sociale, con preferenza per i più poveri [15].
f. I Centri
dell’Ordine sono aperti alla collaborazione con lo Stato o con altre istituzioni,
sempre che siano riconosciuti e salva-guardati i principi apostolici, etici e
giuridici che ispirano e guidano la loro attività [16].
g. L’Ordine
apprezza, promuove e fa proprio il progresso scientifico e tecnico che si è sviluppato,
ed è in continua evoluzione, nel Mondo della Salute e si avvale di tutti i
mezzi che facilitano e promuovono il servizio integrale agli ammalati e ai
bisognosi poiché contribuiscono alla loro riabilitazione e reinserimento
sociale [17].
h. L’Ordine
accetta, promuove e valorizza la collaborazione con quanti desiderano contribuire
all’assistenza e alla riabilitazione dei malati e dei bisognosi, a condizione
che si accetti e si rispetti la sua Filosofia [18].
i. L’Ordine accetta e difende i diritti dei dipendenti
che lavorano nei suoi Centri e si impegna a onorarli secondo gli orientamenti
della Dottrina sociale della Chiesa e delle rispettive nazioni, salvaguardando
sempre i diritti dei malati e dei bisognosi.
l. L’Ordine riconosce il diritto della crescita
umana dei Collaboratori, e pertanto:
— riconosce
e promuove a livello professionale, tenendo conto delle capacità personali,
la formazione permanente e tutte le attività per il benessere dei dipendenti
e dei loro familiari;
— offre
a tutti i Collaboratori: dipendenti, volontari e benefattori la possibilità
di crescere nella formazione cristiana e di esprimere la loro fede partecipando
più direttamente alla sua vita e alla sua missione, come meglio diremo in
seguito.
Schema generale del documento
16. Concludiamo questa introduzione illustrando brevemente lo schema
generale del documento
Confratelli e collaboratori, insieme per servire e promuovere la vita.
In quanto al titolo del documento esprime la volontà dell’Ordine di unire
le qualità e le energie di tutte le persone presenti ogni giorno nei
suoi Centri — pazienti, Collaboratori e Confratelli — per offrire un servizio
efficiente e umanizzante che pro-muova la dignità della vita.
17.Ordine dei capitoli:
a. Il primo capitolo analizza, sul piano
antropologico, i diversi modi relazionali tra i Confratelli e i Collaboratori
e alcune questioni pratiche che esercitano un’indiscussa influenza sulla loro
mutua comunicazione e relazione.
b. Il secondo capitolo è orientato a
illustrare i fondamenti teologici su cui poggia la vocazione dei fedeli laici
e l’identità propria dei Fatebenefratelli.
c. Il terzo capitolo tenta di sviluppare la
natura e le modalità di partecipazione dei fedeli laici al carisma, alla
missione e alla spiritualità dell’Ordine.
d. L’epilogo raccoglie le conclusioni
derivanti da quanto esposto nei capitoli.
Capitolo Primo
RELAZIONI
TRA I CONFRATELLI
E I
COLLABORATORI,
CHIAMATI
COME PERSONE
ALLA
“COMUNIONE”
Concetti preliminari
18. Esponiamo brevemente i concetti sui quali si fonda il servizio ai
malati e ai bisognosi a livello antropologico. Questo aspetto comporterebbe l’analisi
globale sulla capacità e sulla necessità della relazione-comunione della
persona umana, noi ci limiteremo ai seguenti punti:
a. La persona umana è un essere
composto e radicalmente unito, strutturato e operativo. Esistono
pertanto nella persona degli elementi biologici che, in un certo senso, sono
quantificabili e riducibili al materiale e al medesimo tempo, elementi di
carattere psicologico-spirituale che trascendono il materiale e che noi
chiamiamo anima.
La
persona umana non è un composto di queste sostanze, ma un’unità primaria: gli
elementi che la integrano hanno un’unica unità strutturale che si
definisce unità personale.
Anche a livello dell’agire
non si può realizzare un’attività puramente psicologica-spirituale o esclusivamente
biologica o sensoriale, ogni atto umano, in quanto tale, coinvolge tutta la
persona.
b. La persona umana è
fondamentalmente limitata; infatti, anche se è stata arricchita di una
grande bontà, che la rende simile al
Creatore (Gn 1, 27), e la spinge al bene, alla comunione e alla solidarietà,
esperimenta in se stessa, anche le tendenze negative che la spingono al male,
all’egoismo e alla distruzione 1.
Tra queste tendenze negative, il limite della persona umana lo si
sperimenta nella sofferenza, nella malattia e nella morte.
Partendo da una visione positiva si trova la forza interiore che stimola la
persona a coltivare e incrementare la vita, a crescere personalmente e a collaborare
allo sviluppo dell’uomo e del cosmo. Da questa visione prende luce il senso trascendente dell’esistenza umana, come
capacità di uscire da se stesso per
sviluppare costantemente i valori e le potenzialità personali, al fine di
conseguire progressivamente livelli superiori di relazione con gli altri e con
Dio. La persona, infatti, non è un essere finito
ma perfettibile.
Questa visione positiva dei limiti della natura umana appoggia e spiega il
seguente livello.
c. La persona umana è per sua natura
“aperta” al mondo, agli altri uomini e a Dio.
19. Pur non dimenticando i tre aspetti evidenziati, ci soffermeremo in
modo particolare sulla capacità-necessità di apertura della persona poiché questa è il vertice e l’espressione
più ricca dell’unità e della visione positiva della limitatezza umana.
20. Potremmo affrontare l’aspetto dell’apertura
dei Confratelli e dei Collaboratori come:
— relazione degli uni con gli altri;
— relazione con i malati e i bisognosi.
In realtà, quanto esporremo ha come obiettivo principale cercare di
migliorare la relazione con i malati e i bisognosi anche se ci soffermeremo sul
tema centrale del documento, la relazione tra i Confratelli e i Collaboratori.
La
persona è un essere aperto
21. Per apertura umana intendiamo la necessità-capacità di vivere in
relazione-comunione con il mondo, gli altri e Dio.
Ci sono vari modi per vivere e manifestare questa apertura:
— apertura-donazione: capacità della
persona di uscire da se stessa e aprirsi all’incontro con l’altro che si può
esprimere in due modi: darsi agli altri, mettendo alloro servizio le proprie
qualità e, a un livello più profondo, comunicare i sentimenti e le esperienze
della propria intimità;
— apertura-accoglienza:
capacità di accettare l’altro come persona con i suoi limiti e le sue
potenzialità o accettazione condizionata ai propri schemi che non gli permette
di essere se stessa;
— apertura-comunione:
livello più ricco e profondo di relazione tra le persone, dove si dona e si
accetta il meglio di se stessi, in un interscambio di amore, libero da forme
coscienti di egoismo.
22. Naturalmente questa divisione logica non si
realizza allo stato puro ma i livelli si sovrappongono. Tutti i livelli,
particolarmente gli ultimi due, nascono da un processo che suppone la
conoscenza, l’apprezzamento-valorizzazione e l’accettazione dell’altro nella
sua identità e realtà personale. Senza questo processo, ma soprattutto senza
l’accettazione dell’altro in quanto altro, con le sue qualità e i suoi limiti,
nella sua originalità che lo rende diverso dagli altri e prezioso in se stesso, a prescindere da ciò che può essere
accidentale, non si può parlare di autentica relazione interpersonale.
23. Tenendo conto di queste premesse, analizzeremo
i vari livelli di relazione tra i Confratelli e i Collaboratori attenendoci
all’ordine seguente:
— relazioni
in riferimento al fare;
— relazioni in riferimento
all’essere;
— relazioni in riferimento
alle motivazioni.
Relazioni in riferimento al fare
24. Le relazioni che si riferiscono al fare costituiscono il livello più
superficiale delle relazioni che nascono tra persone unite per un fine comune;
questo livello si verifica nelle relazioni tra Confratelli e dipendenti.
25. L’Ordine, per poter realizzare la sua missione,
ha bisogno del servizio qualificato dei Confratelli e dei dipendenti, poiché
il motivo della sua presenza nei Centri assistenziali è, solo e unicamente,
l’assistenza ai malati e ai bisognosi. Certamente questo, non esclude ma
sostiene, sia i Confratelli che i dipendenti, a compiere il servizio in modo
che possano sentirsi realizzati e possano crescere come persone, con e per
mezzo dello stesso servizio.
26. In funzione di ciò, si stabilisce un
primo livello di relazione di uguaglianza: tutti sono chiamati a mettere a
disposizione le loro attitudini al servizio dei malati e
dei bisognosi, per realizzare l’obiettivo di un’assistenza qualificata, sia
scientificamente che tecnicamente, così da garantire un’assistenza integrale
e umanizzata.
Infatti, chiunque lavori in un Centro dell’Ordine, deve svolgere solo il
ruolo per il quale è qualificato.
27. Una breve considerazione su ciò che si è
verificato nel Mondo della salute e nei Centri dell’Ordine, evidenzia che
fino ad alcuni anni fa, si esigeva la competenza
da coloro che assistevano i bisognosi e questa non sempre era il risultato di
un diploma o di un titolo professionale; molte volte i Confratelli acquisivano
questa competenza attraverso l’esperienza e alcune nozioni ricevute durante
gli anni di formazione; nessuno metteva in dubbio il loro grado di efficienza o
il risultato positivo del loro servizio.
Oggi, per poter occupare un posto di lavoro in un Centro Assistenziale non
basta la sola competenza personale, occorre che questa sia affiancata da un
titolo di studio riconosciuto.
28. Inoltre, come già abbiamo ricordato, fino
ad alcuni anni fa, il numero dei dipendenti era minimo e quasi tutti i servizi
erano svolti dai Confratelli. Oggi, non solo per la diminuzione delle vocazioni
ma soprattutto per la trasformazione e il volume di lavoro dei Centri, la
presenza dei religiosi è meno significativa.
Diventa perciò imprescindibile considerare questi
due fattori, e maggiormente il primo, per poter superare alcune reticenze. Di
questo aspetto, tratteremo in riferimento alla funzione e alla finalità della Comunità
nel Centro.
29. Guardiamo
ancora alle relazioni che, a livello di lavoro, possono nascere tra i
Confratelli e
i dipendenti.
Abbiamo già affermato, come a livello di lavoro,
esiste una relazione di uguaglianza, fondata sulla capacità professionale e,
ora, ne indichiamo alcuni aspetti:
— il Confratello e il dipendente hanno gli
stessi diritti e doveri;
— ambedue devono svolgere il compito per
il quale sono abilitati;
— l’uno e
l’altro hanno diritto a ricevere le debite informazioni e a partecipare agli
organi di governo del Centro, in accordo con le leggi e il Regolamento del
Centro stesso.
È logico che, lo si voglia o no, queste relazioni
facilmente facciano sorgere dei conflitti personali; tra i più frequenti
ricordiamo la rivalità, che a volte si manifesta in modi sottili, il sospetto,
la non accettazione del proprio ruolo,
ecc.
Relazioni
in riferimento all’essere
30. La
vita della persona non si limita all’ambito del fare; perché il lavoro acquisti un significato autenticamente
umano, è fondamentale che ogni persona scopra qual é il suo campo di lavoro nella
società, si prepari per poterlo realizzare e incontri l’ambiente adatto
per esprimere le sue qualità e attitudini personali. Allora il lavoro va oltre
il significato di professione e
acquista il valore di vocazione.
Quando non si realizza unità tra disposizione interiore, preparazione
professionale e posto adatto di lavoro, non c’è da meravigliarsi che esistano
nella persona dei disaccordi che, coscientemente o incoscientemente,
influiscono sul rendimento e la qualità del lavoro e, soprattutto, nelle relazioni
interpersonali.
31. Come
ipotesi, i Confratelli vivono il lavoro quale risposta, attraverso il
servizio, alla vocazione del Signore. Come punto di partenza, dobbiamo
supporre che anche i Collaboratori realizzano il lavoro, il volontariato o la
beneficienza in risposta a una chiamata interiore e sia gli uni che gli altri
possiedono una sufficiente capacità professionale. In questo modo noi
intendiamo i requisiti necessari per vivere le relazioni interpersonali a
livello di ciò che siamo.
Qualità
richieste alle persone che prestano il loro servizio ai malati e ai bisognosi
32. Il
servizio ai malati e ai bisogni è sostenuto da una base umana che lo appoggia e
Io rende meritevole. Come abbiamo visto, la persona è un essere aperto verso gli altri e pertanto, i
Confratelli e i Collaboratori possiedono delle qualità, insite nella loro
persona, che appoggiano e favoriscono le relazioni interpersonali che li
gratificano e li arricchiscono in profondità.
Tra
queste qualità, possiamo segnalare:
—
atteggiamento
positivo di fronte all’altro: credere in lui, accettarlo nella sua realtà personale
senza giudicarlo;
—
bontà;
—
compassione, nel suo
significato etimologico: patire-con;
—
atteggiamento di
fedeltà e comprensione;
—
empatia;
— accoglienza;
— misericordia;
— disponibilità;
— semplicità;
— atteggiamento di servizio;
— abnegazione;
— generosità;
— attitudine al dialogo, all’ascolto, ecc.
Naturalmente, in ognuno le varie qualità si manifestano
con caratteristiche e sfumature particolari, diversificando le persone tra
loro.
33. Può
darsi che per l’educazione ricevuta, la persona non sia in grado di valorizzare
le qualità di cui è dotata; tuttavia è importantissimo essere coscienti delle
proprie capacità e farle emergere con semplicità, poiché, dando il meglio che
esiste in ognuno di noi, risulta più facile vivere e manifestare ciò che siamo.
Quando uno si abitua a vivere coscientemente le
proprie qualità, diventa più sensibile e capace di scoprire negli altri i doni
che possiedono.
34. Tutti,
in modo più o meno accentuato, desiderano e si sforzano di vivere relazioni
che oltrepassino la semplice formalità. L’unico modo per fare ciò è di conoscere,
apprezzare, valorizzare e accettare gli altri come e per quello che sono.
Conoscere le qualità dell’altro è il miglior modo per sentirsi attratto da
lui, per scoprire le sue ricchezze, considerarlo come una realtà preziosa e aprirgli la propria vita.
35. Se
noi guardiamo l’elenco delle qualità richieste a coloro che assistono i malati
e i bisognosi, ci accorgiamo che la maggior parte dei Confratelli e dei
Collaboratori le esercitano con spontaneità nel loro servizio. Possiamo dire
che sono patrimonio di tutti e non un privilegio di pochi e non sono
atteggiamenti che si imparano, sono invece dei valori con i quali il Creatore
ci ha arricchito perché li riflettessimo, coscientemente o incoscientemente,
nella vita.
36. Se
vengono valorizzate nel giusto modo le qualità personali che sono patrimonio di
coloro che si dedicano al servizio degli altri, si ottiene una situazione
di uguaglianza a livello di essere che, senza dubbio, apre vastissimi
orizzonti alle relazioni interpersonali.
Se uno scopre che esiste la bontà, la comprensione,
la fedeltà, il rispetto, ecc..., si accorge che può e deve essere comprensivo,
fedele non solo con alcune persone, ma con tutti.
E importante sottolineare che coloro che convivono
ogni giorno, per gran parte della giornata, devono relazionarsi tra loro
partendo dalle qualità che li identificano. Così diventa più facile superare le
tendenze negative e non lasciarsi influenzare dalle reazioni conflittuali o da
forme di egoismo, frutto della nostra limitatezza più che di cattiva volontà.
37. Allora diventa possibile realizzare
livelli autenticamente umani di comunicazione e ciò che da alcuni anni viene
definita umanizzazione dell’assistenza.
Però non dimentichiamo che, solo se si realizza 1’umanizzazione delle
relazioni tra i Confratelli e i Collaboratori, diventa possibile umanizzare
l’assistenza.
Da questa umanizzazione nasce la possibilità di parlare e di vivere l’alleanza
tra i Confratelli e i Collaboratori. L’alleanza sarà il frutto che sigilla il processo di relazione
interpersonale con il quale si è giunti a mutuamente conoscersi e valorizzarsi.
Allora si aprirà un nuovo corso orientato alla realizzazione-comunione di un
progetto di vita comune, il cui obiettivo è comunicare, promuovere e servire
la vita di coloro che, a causa della malattia, della povertà,
dell’emarginazione sociale, vivono situazioni che non gli permettono di esistere
pienamente come persone.
38. È importante non dimenticare l’obiettivo
comune di servire per promuovere la vita degli altri, alla luce della qualità
che possiedono i Confratelli e i Collaboratori. In questa ottica, il
Collaboratore, dipendente, volontario o benefattore ha il pieno diritto di
esprimere nel suo lavoro, la capacità di amare e servire il prossimo.
Analogamente il Confratello, mediante il suo lavoro, manifesta un modo
importante di vivere la povertà evangelica, il senso della fraternità e,
soprattutto, il dono dell’ospitalità, ricevuta come vocazione personale 2.
39. Se i Confratelli e i Collaboratori
saranno capaci di far nascere livelli di relazione basati sulla mutua
accettazione degli aspetti positivi e sul fine comune di servire i malati e i
bisognosi, con lo scopo di offrire loro migliori livelli di vita, sicuramente
il malato e il bisognoso diventeranno il centro, il soggetto
principale e il più importante dell’Opera.
Tenendo conto di questa prospettiva, si possono trovare i motivi che
spingano gli uni e gli altri a lavorare, con decisione e costanza, per superare
le barriere che si sono frapposte o che si sono create inconsciamente, e a
iniziare un dialogo dove tutti parlino il medesimo linguaggio. Allora sarà
facile capirsi e valorizzarsi, poiché è stato raggiunto il requisito
indispensabile per il dialogo: scoprirsi e accettarsi per un medesimo piano,
rivolto al servizio degli altri per aiutarli a vivere meglio come persone.
40. Naturalmente per alimentare e sviluppare le
qualità personali che aiutano il servizio ai malati e ai bisognosi e per
promuovere i livelli del dialogo tra coloro che condividono il servizio, non
sono sufficienti le relazioni di lavoro. Occorre stabilire altri ambiti di
relazioni che facilitino e promuovano la Direzione del centro, per esempio:
—
seminari, corsi,
incontri di formazione umana, orientati a stimolare l’autoconoscenza con temi
inerenti la vita della persona, della società, ecc.. perché non è sufficiente
promuovere e facilitare soltanto la formazione tecnico-professionale;
—
gruppi di studio e
riflessione, aperti ai Confratelli e ai Collaboratori, per condividere
conoscenze ed esperienze;
— gruppi di interesse, con molteplici obiettivi,
dove si possano condividere anche momenti di svago.
Relazioni in riferimento alle
motivazioni
41. La parte precedente ci ha
permesso di prendere coscienza e di valorizzare gli aspetti comuni delle
persone che si dedicano al servizio del prossimo. Ora affronteremo l’originalità
di ogni persona e ci accorgeremo che non incontreremo mai due persone
del tutto simili poiché ogni essere è irrepetibile.
L’aver accettato che i Confratelli e i Collaboratori possiedono delle
qualità comuni, ci aiuta a capire che ogni persona è chiamata a viverle in accordo
con la sua identità.
Il servizio al prossimo diventa il legame di unione tra il
Fatebenefratello e i Collaboratori.
42. Ogni persona è libera di
realizzare il proprio servizio partendo dalle motivazioni che danno significato
alla sua vita. Si può servire il prossimo:
—
per filantropia;
—
per una causa di
tipo sociologico o politico;
— partendo da motivazioni di carattere religioso,
che possono animare ogni credente;
— come risposta a una vocazione di speciale
consacrazione nella Chiesa;
— per una realizzazione personale;
— per avere lo stipendio attraverso il lavoro;
— ecc...
43. Appaiono qui i modi differenti
per i quali si serve il prossimo, modi differenti che nascono dall’originalità
di ogni persona e che tutti dobbiamo accettare e rispettare. Se arriviamo a
capire e a riconoscere le implicanze delle diversità che nascono come frutto
dell’opinione personale, in risposta ai valori e alle motivazioni della propria
vita, non vi è pericolo nell’affrontarsi tra Confratelli e Collaboratori, né
questi tra loro. Si ripeterà quella specie di miracolo che seppe realizzare
Giovanni di Dio nella sua vita: fraternizzare con tutti gli uomini,
collocarli tutti nel posto più nobile che a loro corrisponde e sperimentare
che sono preziosi per il semplice
fatto che sono persone: ricchi o poveri, nobili o plebei, sani o malati.
44. Per poter realizzare una
relazione positiva, accettando le differenze legate all’ideologia, al credo,
ecc.., occorre che chi desidera servire in un Centro dell’Ordine, sia capace
di comprendere che anche altri, come lui, hanno scelto liberamente, animati
da valori e motivazioni diverse dalle sue, ma non per questo meno significative
e degne di apprezzamento.
In questo modo si supera la tentazione di catalogare le presenze, secondo
i colori politici o le forme di credenza, ma si accetteranno come aspetti che
arricchiscono la reciproca relazione.
L’Ordine, da parte sua, accetta, rispetta e valorizza qualsiasi opinione
personale degna di considerazione, e richiede da tutti l’accettazione dei
principi, espressione del carisma dell’ospitalità, affinché siano praticati
dai Collaboratori.
Difficoltà pratiche
A. La proprietà dei Centri
45. Gran parte dei Centri
Assistenziali sono di proprietà dell’Ordine e questo comporta vantaggi e
svantaggi.
I principali vantaggi sono in relazione alla possibilità di ispirare
la gestione e la direzione ai principi della missione dell’Ordine, a
favore di un’assistenza integrale, che rispetta e valorizza i diritti essenziali
della persona.
Un aspetto importante da considerare, soprattutto per i paesi più
sviluppati, dove vige l’assistenza aperta a tutti, è la
sottile tendenza delle leggi sanitarie a privilegiare l’assistenza alle
persone che possono essere utili come prodotto che arricchisce chi la pratica
mentre diminuisce l’attenzione all’emarginazione o all’assistenza che non
rende, come per i malati mentali, i cronici, i terminali, gli anziani.
46. L’Ordine, in forza della
proprietà dei Centri, può testimoniare che il suo lavoro apostolico-assistenziale
privilegia i gruppi meno favoriti dell’ambiente tecnicizzato e consumista 3.
47. Gli svantaggi e le difficoltà legati alla proprietà, si
possono riferire a due aspetti principali:
—
la testimonianza
della povertà evangelica;
—
i problemi inerenti alla
gestione.
48. Paolo
VI, nell’Esortazione Apostolica Evangelica
Testificatio, invitava i religiosi a vivere
la povertà evangelica e a testimoniarla
anche esteriormente 4 . La
proprietà dei Centri, vista solo con criteri umani, mette l’Ordine sul piano di
una grande organizzazione economica; questa è una realtà che non si può
ignorare e da parte di molte persone, compreso i Confratelli, provoca degli
interrogativi sulla testimonianza della povertà.
Non si tratta di trovare delle giustificazioni,
neppure di difendersi davanti alle incomprensioni che possono sorgere, e di
fatto sorgono, si tratta invece di approfondire i criteri evangelici che
devono orientare la testimonianza della povertà dell’Ordine.
Occorre anzitutto avere chiaro il fine dei Centri,
che non occorre ripetere. Le Costituzioni, indicano il modo concreto di vivere
la povertà evangelica sottolineano con grande chiarezza gli atteggiamenti di
servizio e di impegno lavorativo a cui i Confratelli sono chiamati, nonché i
principi della Dottrina sociale della Chiesa a cui debbono conformarsi nel
loro operare 5.
49. La problematica della testimonianza di povertà
non è legata tanto alla proprietà dei Centri, quanto al modo di porsi del Confratello e della Comunità
in essi. E’ chiaro che, se ci si comporta come colui che serve,
sicuramente si offrirà una preziosa testimonianza delle esigenze più radicali
della povertà evangelica che, non dimentichiamolo, anche se si riferisce alla
povertà economica, questa risulterebbe paradossale se non fosse accompagnata
da atteggiamenti di rinuncia alla seducente
sicurezza del possedere, del sapere e del potere 6.
50. La
gestione di opere ospedaliere e di assistenza sociale che risponda alle odierne
esigenze della società e allo spirito
che ha guidato l’Ordine, fin da San Giovanni di Dio, richiede un potenziale
economico che garantisca un adeguato funzionamento e il giusto salario per i
dipendenti.
Le
difficoltà che derivano da questa gestione, o spinto più di uno a orientarsi
verso opere più semplici, alla nostra portata. Il
pluralismo di opinioni sul modo di esprimere il carisma dell’Ordine, dà spazio
anche a queste opere piccole. Ciò che si deeve fare, davanti ai problemi
economici che derivano dalla gestione dei Centri, è di applicare i criteri di discernimento,
indicati dalle Costituzioni:
Affinché il nostro apostolato ospedaliero resti in
consonanza con i valori e le esigenze del Regno, ci manteniamo attenti ai
segni dei tempi, interpretandoli sempre alla luce del Vangelo 7.
Pertanto, le obiezioni che potrebbero sorgere per i problemi economici, da
sole non giustificherebbero l’abbandono dei propri Centri.
Così, poi, occorre affrontare la sfida che deriva dall’opzione di adattare
lo spirito dell’Ordine alle realtà, alle necessità e alle esigenze
dell’assistenza socio-sanitaria che richiede l’organizzazione e la gestione
dei Centri con criteri imprenditoriali.
51. Il fatto di accettare questa realtà non cambia assolutamente il fine
specifico dell’Ordine: presentare l’amore di Dio verso gli uomini,
attraverso un’assistenza integrale. Inoltre, la nuova organizzazione è
impegnata a realizzare livelli sempre più alti di umanizzazione e di
efficienza.
Il carattere confessionale dei Centri dell’Ordine, di cui già abbiamo
parlato, orienta, a livello organizzativo, verso un proprio Ideale, ispirato
dalla Dottrina sociale della Chiesa, l’amministrazione delle sue opere a
criteri imprenditoriali di efficienza ed efficacia, adattandosi alle nuove
realtà.
52. L’Ordine, ponendosi nella società
come impresa
di carattere confessionale cattolico, assume la responsabilità di
contribuire alla trasformazione delle strutture e divisioni, lottando per il
mantenimento e il potenziamento di una cultura
imprenditoriale, fondata sui suoi principi ideologici.
Partendo dall’identità Cattolica dei
suoi Centri, l’Ordine ha quale punto di riferimento per l’organizzazione
degli stessi il Magistero della Chiesa, che attualizza l’interpretazione del
messaggio evangelico.
Con l’organizzazione dei Centri, si
propone di adempiere i seguenti scopi:
—
prestare i servizi
necessari ai malati e ai bisognosi;
—
rendere possibile lo
sviluppo integrale delle persone;
—
produrre le risorse
economiche;
dare continuità nel tempo alle sue opere, per
garantire la missione evangelizzatrice affidatale dalla Chiesa nel Mondo della
Salute.
53. Sebbene l’origine dell’Ordine sia
di carattere carismatico, a livello organizzativo è un opera umana, fatta di
persone e dal frutto delle stesse: la persona è l’elemento fondamentale di
ogni impresa 8.
Pertanto,
l’Ordine si prefigge di stabilire una relazione tra l’organizzazione e i
dipendenti che possa soddisfare le necessità e i diritti di entrambi. Ciò si
fa in modo che la gestione delle risorse umane, da parte degli organi
direttivi, sia orientata a motivare, attrarre, promuovere, selezionare e
integrare i dipendenti conforme alle loro necessità e ai fini dell’Ordine,
tenendo conto dei criteri della giustizia sociale.
Evidentemente,
una simile gestione è condizionata da fattori ambientali e da vari interessi.
I risultati si misurano dalla competenza dei dipendenti, dal loro maggiore o
minore impegno verso l’opera o chi la rappresenta, e dalla loro integrazione.
Si misura inoltre dalla congruenza o dall’armonizzazione degli obiettivi dell’opera
e dei dipendenti e dal costo in relazione all’efficacia.
La
gestione delle risorse umane richiede un livello di competenza professionale
da parte dei Quadri Dirigenti, una struttura capace di prendere decisioni a
livello direttivo e l’uso di tecniche a livello scientifico per il processo
decisionale.
54. L ‘Ordine è attento alla valorizzazione
e formazione del personale, affinché si realizzi l’interazione delle
attitudini, delle inclinazioni e delle necessità dei dipendenti, la qualità e
la quantità dei servizi e la soddisfazione di tutti. Il risultato che ne
consegue può essere la motivazione o il distacco e il conflitto.
Per
accrescere la valorizzazione del personale, i Quadri Dirigenti promuoveranno
dei programmi formativi a tutti i livelli. Pertanto nel preventivo figurerà
sempre una voce dedicata alla formazione.
55. La
Direzione dei Centri deve essere coerente con il criterio della gestione delle
risorse umane che va oltre la selezione, il contratto e la retribuzione del
personale: interessata alle condizioni basilari del lavoro (prestazione,
tempo...) e ad altre questioni, quali:
— la motivazione per il lavoro e la resa;
— l’importanza e l’influenza dei gruppi nell’organizzazione;
— la comunicazione interpersonale: ascendente,
discendente e orizzontale;
— l’autorità, lo stile nel comandare e la leadership;
— il lavoro in gruppo: sue basi e sviluppo;
— ecc...
Sono
questioni che si devono considerare per poter stimolare e Vivere le relazioni
tra i Confratelli e i dipendenti dei Centri. In funzione di questo l’Ordine si
propone di promuovere e migliorare le condizioni adatte, affinché il
dipendente sia motivato più che al compito lavorativo alla ricerca dell’impegno
di integrazione e di comunione con l’Ordine e il suo Ideale e così realizzare un’assistenza
che serva e promuova livelli di vita sempre più degni per le persone a cui
tutti ci dedichiamo.
In caso
di conflitto, l’Ordine, fedele alla sua vocazione di servire gli ammalati e i
bisognosi, difenderà sempre i diritti inalienabili di questi ultimi 9, anche se il suo agire in generale
tenderà a essere improntato alla serenità e all’equilibrio per non compromettere,
anche solo momentaneamente, la relazione con i suoi Collaboratori.
Capitolo Secondo
CONFRATELLI E LAICI,
IN COMUNIONE
CON LA CHIESA, IMPEGNATI
NELL’EVANGELIZZAZIONE
Introduzione
56. Nel capitolo precedente abbiamo illustrato il tipo di esperienze che i
Confratelli e i Collaboratori sono chiamati a condividere sia nei rapporti a
livello umano che nel comune impegno del servizio agli ammalati e ai bisognosi.
Ora ci addentriamo nella dimensione della fede, in forza
della quale i Confratelli si sentono spinti a consacrare la propria vita al
Signore secondo lo stile di San Giovanni di Dio. In questa dimensione essi sono
in particolar modo uniti ai Collaboratori che, animati dalla propria fede,
desiderano essere testimoni di Gesù di Nazaret.
La fede è un dono e una risposta. Essa non è mai soltanto frutto dello sforzo umano. Di conseguenza
l’Ordine, pur rispettando altri modi di interpretare il rapporto uomo-Dio
nella storia, ritiene opportuno approfondire questa verità poiché è facilmente
attualizzabile nella vita e nelle opere che l’Ordine stesso si propone.
La prima parte del capitolo si basa sulla dottrina della Chiesa, relativa
ai fedeli laici, e, in particolar modo, sull’ultimo documento del Magistero a
questo riguardo.
La seconda parte presenta l’identità dei Fatebenefratelli, chiamati a
vivere in comunità la loro consacrazione, che si realizza nell’attuazione
dello spirito delle Costituzioni dell’Ordine e delle lettere circolari di Fra
Pierluigi Marchesi, già Priore Generale.
L’ideale a cui si ispira, è di giungere alla creazione della Chiesa
domestica, costituita da tutti coloro che, animati dalla fede, seguano
Cristo portando avanti il suo mandato di promuovere e servire la vita
nell’ambito dei Centri dell’Ordine.
Il Concilio Vaticano II chiama Chiesa
domestica la famiglia; Paolo VI usa lo stesso termine ampliandolo nel
significato di cellula evangelizzatrice della società 1.
L’Ordine si sente chiamato a formare una Chiesa domestica con tutti i
Collaboratori credenti impegnati nei suoi Centri. Ciò non contrasta in alcun
modo con la sua aspirazione di costituire la Famiglia Ospedaliera, la Comunità terapeutica
con tutti quanti si trovano coinvolti, e particolarmente i dipendenti,
nell’esercizio del suo apostolato.
Identità e missione dei laici nella
Chiesa
57. L ‘Esortazione
Apostolica Christifideles Laici,
di Papa Giovanni Paolo II, espressione del Magistero e frutto delle
riflessioni e conclusioni del Sinodo dei Vescovi, celebrato a Roma dal i al 30
novembre 1987, ci aiuterà ad approfondire le radici dell’identità e della
vocazione di coloro che confessano la fede in Cristo.
Il Papa, nel documento, analizza la parabola dei servi mandati a lavorare
nella vigna (Mt 20, 1-7) e l’allegoria della vite e dei tralci (Gv 15, 1-8) per
mettere in evidenza che tutti i battezzati in Cristo sono inseriti in Lui e,
come Lui, hanno ricevuto il mandato di annunciare e rendere presente la
salvezza di Dio per gli uomini.
Dignità dei fedeli laici nella Chiesa-Mistero
58. Il dono dello Spirito, ricevuto nel Battesimo, comunica a tutti i
credenti in Cristo una dignità originale, che, indelebilmente, configura la
loro identità
personale: costituiscono la nuova umanità, sigillata dalla
presenza dello Spirito, che li rende figli nel Figlio e membra vive del Corpo di
Cristo; come Lui, sono consacrati per continuare la sua missione,
rimanendo così costituiti Popolo di Dio
e, a loro modo, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di
Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione
propria di tutto il popolo cristiano 2.
Questa partecipazione si radica nell’essere — è a questo livello che lo
Spirito stabilisce l’uguaglianza —; non si tratta di una
semplice partecipazione nell’azione, ma come afferma il Concilio
Vaticano II 3.
Indole secolare della vocazione del fedele laico
59. La caratteristica propria della vocazione dei fedeli laici è quella di
rendere presente nel mondo la dimensione secolare della Chiesa, come risposta
alla vocazione peculiare di Dio: così
l’essere e l’agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo
antropologica e sociologica, ma anche e specificatamente teologica ed
ecclesiale ... la comune dignità battesimale assume nel fedele laico una modalità
che lo distingue, senza però separarlo dal presbitero, dal religioso e dalla
religiosa ... Questa modalità è l’indole secolare 4.
Chiamati alla santità
60. L’invito a essere santi in tutto
quello che fate (1 Pt 1, 15), fa parte della vocazione di ogni cristiano
di configurarsi a Cristo: affonda le sue radici nel battesimo e si rinnova
nella celebrazione degli altri sacramenti.
Il fedele laico è chiamato a vivere la santità nella vita ordinaria, in
mezzo ai compiti e alle occupazioni quotidiane, nelle quali può offrire il
sacrificio della sua esistenza (cf. Rm 12, 1) nella realizzazione della
volontà di Dio e nella collaborazione e servizio agli altri 5.
Partecipazione dei fedeli alla vita
della Chiesa-Comunione
61. Lo Spirito che abbiamo ricevuto nel Battesimo, comunicandoci la vita
del Figlio, ci ha introdotti, in qualche modo, nel seno della Trinità e ci rende partecipi della sua Vita di
Comunione. E un modo di esistere nella Vita Trinitaria, che
crea nei battezzati un legame di comunione, la cui fonte è
lo Spirito di Gesù.
Sicuramente l’espressione che meglio definisce la Chiesa è la comunione:
comunione con Dio Uno e Trino; comunione con Cristo, Capo della Chiesa;
comunione con tutti e ciascuno dei membri della Chiesa, dal Papa all’ultimo
fedele; comunione che ci è data come dono ma, al contempo, è anche conquista.
Secondo Gesù, la vita di comunione ha un significato più profondo della
semplice continuazione dell’opera creatrice del Padre: è la condizione
affinché si compia la sua Salvezza:
perché gli uomini credano in essa e l’accettino.
Senza la comunione, la Chiesa cesserebbe di essere la Chiesa di Gesù;
senza la comunione, il credente vivrebbe distaccato dalla vita, da
Cristo, e la sua esistenza sarebbe sterile (cf. Gv 15, 6).
Per questo, il dono dell’unità nella comunione
richiede al credente una risposta personale, per superare in se stesso la
tendenza all’individualismo e per collaborare con gli altri fedeli a vincere i
personalismi disgreganti.
62. I fedeli laici, partecipando alla comunione, sono chiamati a
creare la comunione e ad arricchire la Chiesa, partecipando alla sua
vita e alla sua missione, nell’ambiente dove lo Spirito li ha collocati.
Inoltre, dovranno sentirsi animati dallo Spirito nell’apprezzamento dei doni
concessi a coloro che sono stati arricchiti di vocazioni e ministeri differenti,
secondo il criterio di Paolo 6.
Corresponsabilità dei fedeli nella
Chiesa-Missione
63. La risposta spontanea all’esperienza di comunione nella Chiesa è
l’impegno personale nell’evangelizzazione. I fedeli laici, in risposta
alla loro vocazione peculiare, sono impegnati a vivere il loro inserimento
nelle realtà temporali con spirito evangelico: vivere e annunziare il Vangelo,
servendo le persone e la società, immersi nelle loro occupazioni abituali.
Il fedele laico, immerso in un ambiente sempre
più secolarizzato, vive una situazione di privilegio, essendo lievito,
sale e luce (cf. Mt 13, 33; 5, 13-16): la sua vita, centrata in Cristo,
può e deve essere testimonianza di uno stile di vita capace di relazionarsi
con le persone e capace di usare i beni, nel rispetto della propria autonomia
e nel superamento della tendenza al dominio sugli altri, della ricchezza
indiscriminata, dell’endonismo e dello sfruttamento.
64. Il Papa, nell’Esortazione Apostolica, affida loro dei
compiti fondamentali da realizzare nella quotidianità della vita e degli
affari:
—
Promuovere
la dignità della persona, quale
compito essenziale, anzi, in un certo senso,
il compito centrale e unificante del servizio che la Chiesa e, in essa, i
fedeli laici sono chiamati a rendere alla famiglia degli uomini 7;
—
Amare,
servire e promuovere la vita,
quale diritto inviolabile della persona, che dev’essere rispettata dal suo
sorgere fino al suo termine naturale. A questo compito, anche se spetta a
tutti, alcuni fedeli laici vi sono
chiamati ad un titolo particolare: tali sono i genitori, gli educatori, gli operatori della salute, ... a
questi che più direttamente o per
vocazione o per professione sono coinvolti nell’accoglienza della vita ...
spetta in modo speciale rendere concreto
il «Sì» della Chiesa alla vita umana 8;
—
Esprimere
e promuovere la dimensione religiosa dell’uomo, quale elemento
costitutivo dello stesso «essere» ed «esistere» dell’uomo e, di
conseguenza, la libertà di coscienza e religiosa;
—
Testimoni
e operatori di solidarietà
con uno stile di vita semplice e, più concretamente, con la carità verso il prossimo,
con la quale i fedeli laici vivono e
manifestano la loro partecipazione alla regalità di Gesù Cristo... che «non è venuto per essere servito, ma per
servire» (Mt 10, 45) ... perché la
carità è il più alto dono che lo Spirito offre per l’edificazione della Chiesa
(cf. 1Cor 13, 13) e per il bene
dell’umanità 9.
—
Porre
l’uomo al centro della vita economico-sociale, orientando al suo servizio i mezzi di
produzione, la proprietà privata e tutto il creato 10.
Ambiti di attuazione
65. Il
mandato di Gesù agli Apostoli, Andate in
tutto il mondo a predicare la Buona Novella a tutte le genti (Mc 16, 15)
determina l’ambito dell’evangelizzazione. I fedeli laici, conforme alla loro
peculiare vocazione che si sviluppa in mezzo alle realtà temporali, hanno la
responsabilità di evangelizzare gli ambiti ordinari della loro vita, senza
escludere alcuna realtà intramondana. Tra queste realtà, il Papa indica in modo
specifico: la famiglia, la politica, il mondo del lavoro e della cultura e gli
strumenti della comunicazione sociale.
Varietà e complementarità delle vocazioni
66. Lo Spirito Santo, ricevuto nel Battesimo, si fa presente in ogni
persona secondo la sua individualità. Questa presenza dello Spirito segna la vocazione
personale, legata alle qualità, al sesso e all’età di ognuno e dona
così alla Chiesa una grandissima varietà che rende più viva e concreta la sua
ricchezza.
Come indica il Papa: Nella
Chiesa-Comunione gli stati di vita sono tra loro così collegati da essere
ordinati l’uno all’altro. Certamente comune, anzi unico è il loro significato
profondo: quello di essere modalità
secondo cui vivere l’eguale dignità cristiana e l’universale vocazione alla
santità nella perfezione dell’amore. Sono modalità insieme diverse e complementari 11.
67. Ogni cristiano, secondo la sua
peculiare vocazione, deve contribuire alla vita e alla missione della Chiesa,
mettendo i suoi doni al servizio della Chiesa e della società. Il Papa fa un
espresso invito ai bambini, ai giovani, agli anziani, alle donne e agli uomini
affinché, ognuno nel proprio ambito e secondo le proprie caratteristiche,
collabori attivamente e responsabilmente al compito di evangelizzare la
società 12.
L’Esortazione Apostolica si rivolge anche a un settore della società: ai
malati e ai sofferenti, oggetto della nostra attenzione e del nostro amore. Citiamo
alcune idee principali:
— I malati e i sofferenti, sono così salutati dai Padri
Conciliari nel Messaggio a loro rivolto:
Sappiate che non siete soli, né separati, né
abbandonati, ne’ inutili: voi siete chiamati da Cristo, la sua vivente e
trasparente immagine. In suo nome, il Concilio vi saluta con amore, vi
ringrazia, vi assicura l’amicizia e l’assistenza della Chiesa 13. In modo così espressivo, sono stati
definiti da Fra P. Marchesi la nostra Università, e sono presentati dal Papa,
non solo come presenza viva di Gesù e oggetto di un amore preferenziale da
parte della Chiesa, ma anche come vie
insostituibili di evangelizzazione: in loro e con loro, Cristo continua a
redimere e a salvare l’umanità; in loro e con loro si presenta al Padre; sono
immagini vive dell’amore salvi-fico, paziente e oblativo con le loro
sofferenze, testimoni che la sofferenza umana è un avvenimento della vita che,
lungi dal sottrarle significato, la spinge a scoprire orizzonti inediti di realizzazione
e di santificazione personale. Come ha
espresso un handicappato nel suo intervento in aula sinodale, «è di grande
importanza porre in luce il fatto che i cristiani che vivono in situazioni di
malattia, di dolore, e di vecchiaia, non sono invitati da Dio soltanto ad unire
il proprio dolore con la passione di Cristo, ma anche ad accogliere già ora in
se stessi e a trasmettere agli altri la forza del rinnovamento e la gioia di
Cristo risuscitato» (cf. 2Cor 4, 10-11; 1Pt 4, l3; Rm 8, 8ss) 14.
68. L’Ordine condividendo con i Collaboratori, che vivono la loro
condizione di membra vive di Cristo, la preziosa missione di evangelizzare i malati
e i bisognosi, chiede a ognuno di rinnovare il suo impegno battesimale e lo
sollecita a esprimerlo con gioia e semplicità, prima di tutto nell’ambito della
sua famiglia per essere l’animatore di uno stile di vita aperto alla
solidarietà e alla carità cristiana. Inoltre, li sollecita a unire tutta la
ricchezza della loro fede e della loro professionalità ai doni che l’Ordine ha
ricevuto e che manifesta attraverso i Confratelli, per insieme potenziare la
capacità di evangelizzazione nei Centri, gestiti in nome della Chiesa, e far in
modo che gli utenti possano scoprire e sperimentare l’amore che Dio ha per
loro.
Ancora una volta riaffermiamo, con le parole del Papa, l’importanza e la
necessità che la Chiesa e l’Ordine riconoscono ai Collaboratori:
La comunità cristiana ha ritrascritto, di secolo
in secolo nell’immensa moltitudine delle persone malate e sofferenti, la
parabola evangelica del buon Samaritano, rivelando e comunicando l’amore di
guarigione e di consolazione di Gesù Cristo. Ciò è avvenuto mediante la
testimonianza della vita religiosa consacrata al servizio degli ammalati e
mediante l’infaticabile impegno di tutti gli operatori sanitari. Oggi, anche
negli stessi ospedali e case di cura cattolici si fa sempre più numerosa, e
talvolta anche totale ed esclusiva, la presenza dei fedeli laici, uomini e
donne: proprio loro, medici, infermieri, volontari, sono chiamati a essere l’immagine viva di Cristo e della sua Chiesa
nell’amore verso i malati e i sofferenti15.
Luogo e
funzione della Comunità in un Centro
69. Lo scopo di questo documento è di trattare in modo esaustivo un tema
così importante; desideriamo prendere in considerazione gli aspetti che, in
grande misura, appoggiano e condizionano la relazione tra Confratelli e
Collaboratori, con il desiderio di completare la dottrina che riguarda la
partecipazione di coloro che realizzano la missione della Chiesa, in modo
particolare nell’ambito dell’assistenza ai malati e ai bisognosi. La mutua
conoscenza sarà di grande aiuto per rafforzare la comunione
tra i Confratelli e i Collaboratori. Questa seconda parte non è diretta
esclusivamente ai fedeli laici che collaborano nei Centri dell’Ordine, ma è
rivolta a tutte le persone che, per differenti motivi, condividono gran parte
della loro vita e del loro lavoro con i Fatebenefratelli. Analizzeremo i
seguenti punti:
—
Chi siamo, per chi e
perché viviamo e agiamo;
—
Dimensione
comunitaria della nostra vita;
— Senso apostolico della Comunità e di ogni
Confratello della stessa.
Chi siamo, per chi e perché viviamo
e agiamo
70. Il primo aspetto da affrontare è rispondere alla domanda che dà senso
alla nostra opzione personale: chi
siamo.
Le Costituzioni dell’Ordine offrono la possibilità di definire i
Fatebenefratelli così:
Siamo
credenti in Cristo che, in comunione con la Chiesa, siamo stati consacrati
dallo Spirito nel Battesimo. Lo stesso Spirito ci ha nuovamente consacrati
con un dono speciale, per vivere in castità, povertà, obbedienza e ospitalità 16.
La
consacrazione è l’elemento sostanziale della nostra vita; si tratta di Una consacrazione particolare, che si radica nella consacrazione battesimale e la esprime con maggiore pienezza..., per
seguire Cristo, consacrandosi totalmente
a Lui... in una donazione totale e irreversibile 17…, che
spinge coloro che la ricevono a orientare la loro vita così da essere con nuovo e speciale titolo destinati al servizio e all’onore di Dio 18.
71. La consacrazione particolare e il nuovo e
speciale titolo si realizzano nel Fatebenefratello attraverso il carisma
dell’ospitalità 19.
La differenza sostanziale tra il Confratello e i Collaboratori è la consacrazione
nell’ospitalità; differenza che però non significa separazione. La consacrazione nella
Chiesa è un modo di presentare un aspetto della vita di Gesù di Nazareth,
consacrato dallo Spirito per annunciare ai poveri la Buona Novella, curare i
cuori affranti e liberare gli oppressi dalle forze del male 20.
Egli, per compiere la sua missione, non si separò dagli uomini, ma si incarnò e diventò uomo fra gli uomini (Fil
2,7), mangiò e bevve con i poveri e i peccatori, provò le sofferenze e le
limitazioni umane (Cf. Eb 2, 17-18).
Possiamo, pertanto, dire che la consacrazione nell’ospitalità è parte
essenziale dell’identità del Fatebenefratello ed è l’elemento costitutivo
della sua originalità.
72. L’identità di una persona si manifesta nella sua vita e nelle sue
azioni. La nostra identità di consacrati al servizio e all’onore di Dio 21 si deduce da come viviamo e agiamo:
tutta la vita del Fatebenefratello, mediante la consacrazione, diventa culto e
lode a Dio: E così, offrendo la nostra
esistenza come sacrificio vivo e consacrato, ci uniamo al culto autentico
offerto da Cristo nella Chiesa e partecipiamo al suo ufficio sacerdotale 22.
Dunque il Fatebenefratello si consacra a Dio per cooperare alla edificazione della Chiesa, servendo Dio nell’uomo
sofferente 23.
In questo modo la sua partecipazione al sacerdozio di Cristo, mediante la
sua consacrazione nell’ospitalità, si realizza nel disimpegno alla (sua) missione
ospedaliera 24.
73. Potremmo chiederci perché la vita del Fatebenefratello
è orientata a Dio e ai bisognosi; perché attraverso
la nostra vita si renda manifesto l’amore speciale del Padre verso i più
deboli, che noi cerchiamo di salvare secondo lo stile di Gesù 25.
Per appoggiare quanto espresso, potremmo citare altri passi delle
Costituzioni; ora guardiamo alle conseguenze della nostra identità.
Il Fatebenefratello:
—
è un consacrato
nella Chiesa, con il dono dell’ospitalità;
—
la sua vita è
orientata al servizio di Dio nei malati e nei bisognosi;
—
sviluppa il senso
apostolico della sua vita annunciando il Regno di Dio con il servizio ai
malati e ai bisognosi.
Dimensione comunitaria della vita del Fatebenefratello
74. La vita comunitaria è un
elemento inseparabile dalla consacrazione e, pertanto, appartiene all’identità
del Fatebenefratello 26.
La vita comunitaria ha tre modalità di manifestazione che sono intimamente
collegate tra loro:
—
Comunità di fede e
preghiera;
—
Comunità di vita
fraterna;
—
Comunità di servizio
apostolico.
Per poter vivere da Fatebenefratello in
modo armonico, non si può prescindere da queste tre manifestazioni della vita
comunitaria.
75. La vita di fede e di preghiera esprime
la comunione personale e comunitaria con Dio e, inoltre, è:
—
la fonte prima della nostra missione caritativa 27;
—
l’ambito dove
celebriamo con gli altri Confratelli della Comunità la comunione nella fede,
nel carisma e nella missione, e rinnoviamo la fraternità con la partecipazione
ai sacramenti28.
— la contemplazione e
l’incrocio con Cristo, dove scopriamo e impariamo:
a.
il senso della vita
umana e della sofferenza;
b.
la dignità della
persona;
c.
la predilezione di
Dio per i deboli;
d.
la fedeltà nel
servizio all’uomo, per compiere la volontà del Padre, impegnando la vita per
la salvezza di tutti 29.
76. La vita fraterna, come dicono le Costituzioni, è il frutto del
carisma, in virtù del quale, il Fatebenefratello, unito ai Confratelli della
Comunità, si impegna a costruire la sua famiglia, non costituita da vincoli
di carne o di sangue ma dall’ascolto della parola di Gesù, onde vivere con
Lui, compiere la volontà del Padre e annunciare il Vangelo ai poveri e ai
malati 30.
Per
sentirsi membra vive della Comunità, occorre fare un’opzione di fede nella
sequela di Gesù; questa opzione implica un serio impegno personale di
collaborazione affinché la Comunità possa manifestare l’unione dei cuori, e
creare e mantenere l’ambiente adatto per facilitare e promuovere la
realizzazione e la felicità di coloro che la compongono 31.
77. La vita fraterna, inoltre, è segno della presenza del Signore 32
e la
prova più evidente che siamo discepoli di Gesù. Ciò comporta vivere con
trasparenza il senso di appartenenza alla stessa, e la comunione con i
Confratelli, per offrire ai malati e ai Collaboratori una testimonianza chiara
di unità, nel rispetto e nella valorizzazione della diversità dei doni con i quali lo Spirito Santo arricchisce ogni
Confratello 33 e così si compia il
desiderio di Gesù: che siano tutti una
cosa sola.., così il mondo crederà
che tu mi hai mandato 34 .
Senso apostolico della Comunità e
dei suoi membri
78. L’obiettivo della nostra comunità ospedaliera non si riduce a favorire
l’incontro con Dio nella preghiera o a supplire le relazioni familiari; anche
se questi due aspetti sono importanti, il fatto di essere stati scelti dal
Signore a vivere come fratelli, ha come scopo di annunciare il Vangelo ai
poveri e ai bisognosi 35.
Il senso
apostolico della Comunità e dei membri che la compongono appare chiaro dai
testi delle Costituzioni dell’Ordine, e noi ci soffermeremo su questo aspetto
per evidenziare il significato della presenza della Comunità in un Centro.
Comunità di comunione
79. Da quanto detto, si deduce che la Comunità Ospedaliera dev’essere una
Comunità aperta, segno di comunione e di fraternità, capace di promuovere la
comunione e di suscitare vincoli di fraternità tra gli uomini.
Anche
l’attuale Priore Generale, Fra Brian O’Donnell, in chiusura del Capitolo
Generale 1988, ricordava:
Noi, come
fratelli, siamo chiamati ad essere segno di unità nella Chiesa..., dove tutti
sono chiamati al ministero, noi diamo un esempio di energia spirituale e di
vitalità apostolica. Noi, come fratelli religiosi, ... offriamo alla vita e
alla missione della Chiesa una dimensione fraterna e unica. Noi siamo chiamati
«fratelli» dalla gente e la nostra vocazione è di essere loro fratelli. Per
noi la parola «fratello» è un dono prezioso del popolo di Dio. Ma per noi è ancora
più importante l’idea di «essere loro fratelli», perché questa è la nostra
vocazione:
essere i fratelli dei malati e dei poveri, dei più deboli e dei più
bisognosi 36 .
Significato delta presenza nel Centro
80. Occorre ricordare quanto detto al riguardo del carattere confessionale dei
Centri e, più concretamente, come ciò non limiti i loro ambiti di azione ma
li apra alla collaborazione con altri organismi. Tenendo conto dell’identità
e del senso comunitario della vita del Fatebenefratello, la sua
presenza in un Centro dell’Ordine può essere definita così:
La Comunità di Fatebenefratelli, presente in un Centro assistenziale è
impegnata a annunciare e realizzare il
Regno tra i poveri e gli ammalati.., perché si renda manifesto l’amore speciale del Padre verso i più deboli...,
e così mantenere viva nel tempo la
presenza misericordiosa di Gesù di Nazareth 37...
incarnando i suoi stessi sentimenti e manifestandoli con gesti di misericordia
38, seguendo lo spirito e l’esempio di
San Giovanni di Dio che, sotto l’impulso
dello Spirito Santo e trasformato interiormente dall’amore misericordioso del
Padre, visse in perfetta unità l’amore a Dio e al prossimo. Si dedicò
completamente alla salvezza dei suoi fratelli e imitò fedelmente il Salvatore
nei suoi atteggiamenti e gesti di misericordia 39.
81. Pertanto la presenza della Comunità e di ognuno dei suoi membri in un
Centro, ha il suo significato nella consacrazione a Dio attraverso il servizio
ai malati e ai bisognosi, così da annunciare il Vangelo, rendendo presente
l’amore misericordioso del Padre.
Fra Pierluigi Marchesi, durante il suo Generalato, più volte evidenziò il
nuovo stile di presenza dei Confratelli tra i malati. I suoi
documenti: Umanizzazione e Ospitalità dei Fatebenefratelli verso
il 2000, presentano i modi e le forme di questa nuova presenza:
—
essere testimoni e
guide morali;
—
essere coscienza
critica;
—
essere creativi;
—
essere profeti.
Essere
testimoni e guide morali
82. La consacrazione a Dio nel servizio ai malati e ai bisognosi, è un
dono che fa del Confratello e della Comunità dei testimoni, ossia:
—
uomini che fanno
esperienza dell’amore misericordioso del Padre e hanno deciso di consacrare
la loro vita nell’ospitalità, per imitare Gesù di Nazareth e San Giovanni di
Dio;
—
uomini che hanno
considerato il Cristo del Vangelo quale Ideale dell’uomo, creato da Dio fin dal
principio, chiamato a vivere in comunione con Lui e con gli altri uomini e, con
la Sua luce:
a.
hanno scoperto il
valore, la dignità, il senso e il destino trascendente della persona umana;
b.
hanno capito che Dio
chiama la persona alla vita, desidera la sua felicità, non la morte e la
sofferenza;
c.
hanno trovato nella
persona di Cristo il significato del dolore.
Perciò,
unti dallo stesso Spirito che mandò Gesù di Nazareth a curare, a liberare gli
oppressi e ad annunciare ai poveri la Buona Novella, facendosi servo di tutti
per la loro salvezza:
d.
hanno deciso di
imitarlo, dedicando la propria vita al servizio dei poveri e dei malati.
I punti che abbiamo evidenziato possono essere
riassunti in questi due aspetti fondamentali; i Fatebenefratelli, con la loro
presenza in un Centro assistenziale:
—
sono i
testimoni dell’amore misericordioso del Padre;
—
si
dedicano al servizio dei malati e dei bisognosi.
83. La testimonianza, offerta con la propria vita,
dà significato al compito di essere guida morale per le persone con le
quali si realizza l’assistenza.
La stessa coerenza di vita è indispensabile per
creare un’apertura verso i Collaboratori; per poter gioire perché altre persone
si impegnano a manifestare l’amore di Dio - anche senza rendersi conto -; per
valorizzare i Collaboratori come compagni e amici che, se credenti, possono
esprimere il senso apostolico della loro vita, quale risposta al dono del
Battesimo, con il servizio ai sofferenti e per scoprire e apprezzare in tutte
le altre persone la toro capacità di dare il meglio di sé per il bene
dell’uomo che soffre.
Inoltre, aiuterà a riconoscere nel Collaboratore
il prossimo, a volte bisognoso di comprensione, di stimolo, di sostegno...; a vedervi
la persona che gioisce e soffre per le contingenze della vita e spera di
trovare nel lavoro un ambiente accogliente e comprensivo che lo aiuti a
potenziare la sua capacità di accettazione di impegno per gli altri.
Essere
coscienza critica
84. Credere in Cristo, significa accettare di essere
segno di contraddizione, essere coscienza critica. La vocazione del
Fatebenefratello comporta vivere e promuovere i valori evangelici, in genere, e
soprattutto quelli in relazione al servizio, alla difesa e alla promozione
della vita umana; questa opzione è irrinunciabile e richiede, in varie
occasioni, delle risposte chiare e compromettenti.
Le ricerche scientifiche e tecniche, soprattutto
in questo ultimo decennio, hanno dato la possibilità all’uomo di manipolare la
vita nel suo sorgere, nel suo crescere e al suo termine. Queste ricerche, che
dovrebbero servire sempre alla promozione della vita umana, molte volte, per
altri valori o interessi, non tengono conto dei diritti fondamentali della
persona.
85. Apparteniamo a una società secolarizzata
dove convivono diverse persone di differenti credenze, chiuse ai valori
trascendenti e atee. Questa realtà, che dobbiamo accettare, si riverbera anche
nei nostri Centri, dove incontriamo le più svariate categorie di persone, la
cui coscienza dobbiamo rispettare.
Accettare e rispettare i modi di vivere e di pensare
degli altri, non significa condividerne i principi e i valori o metterli sullo
stesso piano dei nostri.
li principio della libertà di coscienza sostiene
le nostre scelte e dà il diritto e il dovere di essere fedeli ai valori
peculiari della nostra vocazione, secondo il Magistero della Chiesa.
86. Questa situazione pone la Comunità e ogni Confratello davanti alla
responsabilità di garantire nei Centri dell’Ordine l’applicazione dei criteri
deontologici ed etici, in accordo con le norme della Chiesa sulla Bioetica.
L’impegno è molto serio e comporta delle esigenze importanti, tra cui:
—
la Comunità, al
completo, deve essere attenta a che la missione del Centro corrisponda ai
valori del nostro carisma; questo è un nuovo compito da esercitare per rispondere
creativamente e fedelmente al carisma dell’Ordine;
—
la Comunità deve
conoscere tutti i nuovi sviluppi della Bioetica, i valori e i rischi delle ricerche
scientifiche e tecniche relative alla vita dell’uomo per affrontarli in modo
adeguato e coerente; questa è un esigenza concreta della formazione
permanente che impegna i livelli di vita, direttamente connessi ai valori
evangelici, dei Confratelli.
Essere creativi
87. La creatività è un’attitudine umana che il Fatebenefratello deve
esprimere nella sua dedizione ai malati e ai bisognosi per aiutarli con quanto
contribuisce al loro benessere fisico e morale. Giovanni di Dio fu un vero
innovatore nell’arte dell’assistenza
al prossimo; l’Ordine, durante la sua storia, ha influito in vari modi nel
progresso della medicina e del servizio integrale al bisognoso, poiché i
Confratelli furono sempre attenti ai nuovi modi con cui si manifestavano le carenze
e i bisogni delle persone.
In questi ultimi anni, l’Ordine è stato il pioniere dell’umanizzazione
dell’assistenza, avendo constatato che l’avanzamento scientifico e
tecnico, molte volte, metteva in pericolo il rispetto della persona nella sua
globalità o la privava della vicinanza e del calore umano che conforta e
alleggerisce situazioni di dolore e/o di emarginazione. Si è avvertito il
pericolo che i Centri assistenziali divenissero ambienti ben strutturati e
dotati, altamente informatizzati, ma che riducessero il paziente a un numero o
a un caso diagnostico e questo rischio non è del tutto superato.
88. Il Fatebenefratello, la Comunità, presente in un Centro, devono essere
sensibili alla realtà personale del paziente; realtà che ingloba tutta la sua
persona, i suoi affetti socio familiari per offrire quelle risposte che si
attende, anche se non sempre è in grado di esprimerle.
Fra P. Marchesi ricordava: Essere
anticipatori, oggi, nelle nostre Opere significa saper ascoltare il malato e
agire di conseguenza. Dall’ascolto nasceranno progetti di studio, di
ricerca, di cambiamento delle nostre vecchie e inutili usanze 40.
Essere profeti
89. Le tre forme di presenza, di cui abbiamo parlato, possono
essere riassunte nell’esigenza di essere profeti nel Mondo della
Salute. Essere profeta per la Bibbia, significa:
—
essere
testimone della presenza di
Dio in mezzo al popolo;
— essere segno-sacramento della salvezza di Dio, segno che si realizza
nella e con la propria vita;
— essere annuncio, con le parole e le opere, del Dio della Salvezza
e della salvezza di Dio;
— essere denuncia, con la testimonianza personale, con le parole e
con le opere, di tutte le forme di vita che ledono i diritti di Dio, diritti
che per i Profeti coincidono con quelli dei poveri.
Se tutta la Comunità arriva a incarnare
e a esprimere il significato profetico della sua vocazione e della sua
missione nella Chiesa, certamente:
—
sarà
presenza dell’amore misericordioso del Padre;
—
sarà
presenza di Cristo tra i malati e i bisognosi;
—
sarà
annuncio del Regno, secondo lo stile di San Giovanni di Dio.
Allora, e solo allora, la presenza della Comunità del Centro avrà senso
ecclesiale.
In comunione con Cristo sacerdote, evangelizziamo
i malati e i sofferenti
90. Possiamo affermare, al termine di questo capitolo, che i Confratelli e
i fedeli laici, Collaboratori dell’Ordine nel servizio ai malati e ai bisognosi,
partecipano
in modo singolare all’ufficio sacerdotale di Cristo. Egli, fu proclamato sommo sacerdote alla maniera
di Melchisedek (Eh 5, 10) esercitò il suo sacerdozio servendo l’uomo, donando la vita
per tutti (cf. Mt 20, 28) e perché tutti avessero una vita vera e completa
(cf. Gv 10, 10). Noi Confratelli e i fedeli laici - mantenendo ognuno la nostra
identità: tutti consacrati mediante il Battesimo e la Confermazione, i
Confratelli consacrati dal dono della vita religiosa - partecipiamo, senza
alcuna distinzione, all’ufficio di Cristo, sommo sacerdote misericordioso (cf.
Eh 2, 17).
Fossimo dire con San Paolo che, per questa partecipazione, non
ha più alcuna importanza l’essere, uomo o donna, perché uniti a Gesù Cristo,
siamo diventati un sol uomo. (cf. GaI 3, 28).
Capitolo Terzo
PARTECIPAZIONE
DEI COLLABORATORI
AL CARISMA,
ALLA SPIRITUALITÀ
E ALLA MISSIONE
DEI FATEBENEFRATELLI
Note storiche
91.
L’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di , presente nei cinque continenti con
circa 200 Centri assistenziali, nacque a Granada per opera di Giovanni di Dio,
nell’anno 1538 circa. Mosso dall’azione dello Spirito Santo, dopo aver
ascoltato una dica di Giovanni d’Avila, abbandonò tutto quanto possedeva,
deciso a manifestare con le parole e con le opere l’amore misericordioso di Dio
verso i bisognosi.
La sua
trasformazione interiore fu così sconvolgente che la folla lo ritenne
impazzito... e fu rinchiuso nell’Ospedale Reale, assieme agli ammalati di
mente. Lì capì come avrebbe dovuto esprimere la misericordia di Dio verso i più
abbandonati e progettò di fondare un ospedale dove assistere con dignità e
amore i poveri e i malati.
Iniziò,
avendo come unica risorsa la sua persona e chiedendo l’elemosina che subito
distribuiva poveri; raccolse le persone abbandonate, e riunendole inizialmente
nell’atrio della casa di gente benestante, ma il numero dei bisognosi si
moltiplicava e il posto disponibile diventava sempre più inadeguato e quindi si
trasferì in un luogo più ampio. A poco a poco, guidato dal suo amore creativo,
organizzò un vero Ospedale-asilo, dove poté realizzare il desiderio maturato
nell’Ospedale Reale. Pochi mesi prima di morire, così scriveva a un suo
benefattore:
Essendo questa una casa per tutti,
vi si ricevono indistintamente (persone affette) da ogni malattia e gente
d’ogni tipo, sicché vi sono degli storpi, dei monchi, dei lebbrosi, dei muti,
dei matti, dei paralitici, dei tignosi e altri molto vecchi e molti bambini;
senza poi contare molti altri pellegrini e viandanti che vengono qui e ai
quali si danno il fuoco, l’acqua, il sale e i recipienti per cucinare il cibo
da mangiare... Fra tutti — infermi, sani, gente di servizio e pellegrini —sono
più di centodieci 1.
92. La forza interiore che animava
Giovanni di Dio era lo stesso Spirito di Gesù. La capacità di amare, a lui
connaturale, fu arricchita e trasformata dall’amore misericordioso del Padre.
Grazie alla presenza dello Spirito nella sua vita, con il carisma
dell’ospitalità, Giovanni visse in
perfetta unità l’amore a Dio e al prossimo; si dedicò completamente alla
salvezza dei fratelli e imitò fedelmente il Salvatore nei suoi atteggiamenti e
gesti di misericordia... Il nostro Ordine Ospedaliero nasce perciò dal
Vangelo della misericordia, quale lo visse in pienezza San Giovanni di Dio, che proprio per questa sua
caratteristica riteniamo giustamente come nostro Fondatore 2.
Compagni e Collaboratori di Giovanni di Dio
93. Giovanni
di Dio non scrisse Regole o Costituzioni; fu contagioso il suo modo di vivere
l’amore a Dio nel servizio al prossimo bisognoso; spontaneamente si unirono a
lui alcuni compagni per aiutarlo nel servizio ai poveri e ai malati, presso il
suo secondo ospedale alla salita dei Gomérez.
La prima
biografia del santo dice:
Fu così
grande l’esempio di vita lasciato da Giovanni di Dio epiacque tanto a tutti,
che molti si sentirono mossi ad imitarlo e a seguire il suo cammino, servendo
nostro Signore nei suoi poveri ed esercitando l’ufficio dell’ospitalità solo
per Dio 3.
Giovanni di Dio
dava piena fiducia alle persone che lo aiutavano e specialmente ai suoi compagni. Sappiamo che usciva di
buon’ora dall’ospedale per raccogliere l’elemosina e compiere altre opere di
carità e vi rientrava tardi. Da ciò si deduce che i suoi compagni e gli altri
collaboratori erano incaricati, per la maggior parte della giornata, nella
cura e nell’assistenza ai poveri e ai malati. In occasione del suo viaggio a
Valladolid, per il quale si assentò più di nove mesi, lasciò l’ospedale a Antón
Martín, suo primo compagno, perché
badasse ai poveri e alla casa fino
al suo ritorno 4.
Essendo in punto di morte, chiamò lo stesso Antón Martín e gli raccomandò molto i poveri, gli orfani e
i vergognosi, e lo esortò con parole molto sante a ciò che avrebbe dovuto fare
5.
94.
Oltre ai primi compagni, vi erano anche altre persone che aiutavano Giovanni
di Dio nel servizio e nella cura dei malati: medici, farmacisti, sacerdoti
della città e molte altre, e nostro
Signore lo provvedeva di infermieri, che lo aiutassero a servirli, mentre egli
andava a cercare elemosine e medicine per poterli curare 6.
La storia ci ha trasmesso il nome di un suo collaboratore, Giovanni
d’Avila; questi lo accompagnava nei viaggi, andava in suo nome a chiedere l’elemosina
ad alcuni benefattori ed era da lui familiarmente chiamato Angulo. Godeva della
massima fiducia, tanto da essere inviato anche a Corte, a suo nome 7. Il Santo lo chiamava sempre il mio
compagno Angulo, da non confondere con uno dei primi Confratelli, poiché,
parlando di lui alla Duchessa di Sessa, disse:
ve lo raccomando perché rimarrà
molto povero, sia lui che sua moglie 8.
95. Anche i benefattori vanno aggiunti ai Confratelli e alle persone che
lo aiutavano nell’assistenza ai bisognosi. Giovanni di Dio potè aiutare gli
altri, grazie alle cospicue elemosine che riceveva da parte di famiglie e di
persone illustri, soprattutto nei momenti di maggiore necessità. Anche la gente
semplice gli dava piccole somme di denaro e riempiva di pane e di altri generi
alimentari la sporta e le pentole della questua.
Possiamo affermare, senza tradire la storia, che Giovanni di Dio potè
realizzare la sua opera grazie alla collaborazione dei primi Confratelli e
delle persone che lo aiutavano nell’ospedale, e grazie alle elemosine dei
suoi benefattori.
Altrettanto possiamo dire dei Confratelli che continuarono l’opera di
Giovanni di Dio e rapidamente si estesero in diversi luoghi della Spagna, anche
loro contattavano medici, chirurghi, farmacisti, ecc.9.
96. L’amore di Dio, che aveva riempito la vita di Giovanni, fu la forza che
sospinse tutte queste persone: alcune decisero di seguire il suo genere di vita
e continuarono così il dono dell’ospitalità nella Chiesa; altre dedicarono
parte del loro tempo nell’esercizio della carità verso i poveri e i malati, e
altre appoggiarono l’opera da lui iniziata con l’elemosina.
Era nata nella Chiesa la Famiglia Ospedaliera, formata dai
Confratelli, dai dipendenti, dai volontari e dai benefattori; tutti erano
animati dalla disponibilità ad amare il prossimo, quale frutto dell’azione
dello Spirito e secondo la propria vocazione.
Partecipazione dei Collaboratori al carisma
dell’Ordine
97. Dopo Giovanni di Dio, uomini e donne hanno emulato la sua dedizione
verso i malati e i bisognosi, per imitare Gesù di Nazareth, che passa in
questo mondo facendo del bene a tutti coloro che si trovavano nel bisogno. (cf.
At 10, 38).
Tuttavia, non tutti coloro che lo hanno imitato e continuano a farlo,
partecipano allo stesso modo del dono speciale che lui ricevette dallo Spirito
e che la Chiesa ha riconosciuto come carisma dell’ospitalità.
Giova ricordare quanto è stato detto sulle diverse motivazioni che possono
spingere al servizio dei malati e dei bisognosi; ora noi prendiamo in considerazione
quelle che hanno la loro origine dalla fede cristiana per distinguere
i vari livelli di partecipazione al carisma dell’ospitalità, dato a Giovanni
di Dio ed ereditato da coloro che lo seguono come membri dell’Ordine
Ospedaliero.
98. Dopo il Concilio Vaticano Il,
nella Chiesa si parla con maggiore frequenza dei carismi e di persone
carismatiche. Desideriamo chiarire cosa si intende per carisma. Avendo
come base la dottrina di Paolo, ci sono due modi per affrontare l’argomento e
su questi ci soffermeremo brevemente per poi applicarli alle persone
carismatiche e al significato teologico del carisma.
99. San Paolo parla di carismi come doni che
lo Spirito Santo concede ai fedeli per la comunione e l’edificazione della
Chiesa, sono grazie che il credente riceve. In questo senso il dono è
qualche cosa di personale che dà la capacità di vivere la fede in Gesù Cristo
e di sentirsi realizzato come persona. Lo Spirito non si dona al cristiano
perché la sua vita rimanga chiusa nell’individualità del singolo, ma perché la
sua presenza e la sua azione nella Chiesa ritorni a beneficio della comunità e
del bene comune. (cf. 1Cor 12, 4-7; Ef 4, 13).
Attenendoci all’applicazione di San Paolo, il carisma è in relazione alla vocazione
personale e, più concretamente, al servizio o all’attività che il fedele è
chiamato a realizzare nella Chiesa. (cf Rm 1, 1; 1Cor 12, 4-6).
Non c’è dubbio che lo Spirito concede un carisma tenendo conto
dell’identità di chi lo riceve, poiché la sua presenza potenzierà le qualità e
le attitudini della persona così da permettergli di esprimere con spontaneità
il suo servizio e di raggiungere la felicità personale.
100. Le scienze sociali parlano di persone carismatiche riferendosi a
coloro che sono dotati di quelle qualità capaci di influire su un gruppo di persone
o su settori più ampi della società.
In un certo senso, anche questo modo di intendere il carisma si avvicina
al pensiero di San Paolo, anche se qui non si parla di dono dello Spirito. La
persona carismatica si sente trasformata e le sue parole e azioni hanno la
forza di attrarre molti e di ispirare e far sviluppare dei movimenti sociali,
inizialmente orientati a migliorare la qualità della vita personale e dei
gruppi.
La storia ricorda alcuni nomi di persone carismatiche: Alessandro Magno,
Cesare, Attila, Mahoma, Galileo, Marx, Gandhi, Luther King, Giovanni XXIII e
tante altre che hanno cambiato il corso della storia, senza dimenticare Gesù
Cristo, i Dodici Apostoli e lo stesso Paolo di Tarso.
La vita religiosa come carisma
101. Lo Spirito Santo concede i carismi a determinate persone, ma prima di
tutto è presente nella Chiesa di Cristo che è essenzialmente carismatica. La
Chiesa è depositaria di tutti i carismi; ha il compito di discerne i carismi
dei fedeli; come Madre sollecita si preoccupa di interpretare e di
disciplinare la speciale chiamata a seguire Cristo nel cammino dei consigli
evangelici di castità, povertà e obbedienza e approva e promuove forme stabili
di vita, poiché la vita religiosa è un dono divino, ricevuto dal suo Signore e
da conservare sempre con la sua grazia 10.
102. Gli elementi essenziali che distinguono i fedeli chiamati a seguire
Cristo nella vita religiosa, sono la consacrazione, la comunione e la missione.
Sono aspetti che appartengono alla stessa essenza della Chiesa e i religiosi,
con la loro speciale vocazione, sono chiamati a viverli con maggiore
radicalità, perché animati da una scelta di fede che li spinge a partecipare
alla consacrazione e missione di Cristo, imitando il suo stile di vita nella
piena donazione al Padre e al servizio degli uomini.
La consacrazione del religioso nasce dall’amore di predilezione
di Dio che, con un atto di pura gratuità, lo sceglie affinché la sua vita in
mezzo agli uomini diventi segno particolare della trascendenza della vita. Il
segno si manifesta nella dedizione totale a Dio che diventa atteggiamento
contemplativo della vita ed esperienza della presenza di Dio in lui e in tutto
ciò che lo circonda, così da fare della sua vita un atto di culto e di lode,
mediante l’offerta di sé al Signore.
La risposta del religioso alla chiamata di Dio consiste nell’accettare
nella sua vita Dio, come il Signore e l’Assoluto della sua esistenza: Lui
riempie tutte le sue aspirazioni e progetti; per Lui vale la pena di vivere;
Lui completa la sua vocazione umana per raggiungere i più alti livelli della
vita nella libertà e nell’amore. Questa convinzione lo spinge a consacrare al
suo Signore i valori più significativi della propria vita, manifestando la
propria opzione per Dio con la professione dei consigli evangelici di castità,
povertà e obbedienza.
103. La missione che lo Spirito affida al religioso consiste
essenzialmente, nel divenire memoria
di Gesù Cristo, mediante la consacrazione della propria esistenza; questa
consacrazione riattualizza la vita del Figlio, incentrata nel Padre, consolidata
nel suo Amore, dedicata totalmente a compiere la Sua volontà e impegnata nel
servizio agli uomini, quale (per divenire) testimonianza di un’esistenza umana
liberata dall’egoismo e dall’alienazione.
Questo fa sì che, mediante il celibato per il Regno, il
religioso, come Gesù, viva l’amore senza usare della sessualità per
manifestare che la vita è un dono, ricevuto gratuitamente, e può essere
trasmessa e promossa attraverso relazioni d’amore che, abbracciando tutta la
persona, la trascendono. Con questa scelta, il religioso non sminuisce il significato
dell’amore matrimoniale, ma presenza un altro aspetto dell’amore umano,
maggiormente somigliante all’amore sponsale di Dio con l’uomo.
Con la povertà evangelica, il religioso, consapevole della radicale
necessità di essere salvato da Dio, assume gli atteggiamenti di Cristo Gesù, divenuto
servo degli altri, e usa i beni terreni come mezzi per conseguire l’uguaglianza
tra gli uomini:
non accumula ricchezze, condivide la sua vita e quanto guadagna con i
Confratelli.
Con l’obbedienza, il religioso si identifica con il Figlio che ha
vissuto in amorevole dipendenza dal Padre e si è dedicato, anima e corpo, a
compiere la sua volontà. In questo modo, offre la testimonianza del vero
significato della libertà umana; infatti, è veramente libero chi ha conseguito
una tale libertà interiore da esperimentare che essere fedele alla propria
vocazione e collaborare alla realizzazione personale degli altri, dà
significato pieno alla propria vita.
104. La
manifestazione del vero significato della missione del religioso, dedito
all’apostolato, si concretizza in una forma di presenza nella Chiesa e nella
società, mediante un servizio d’amore agli uomini, per essere segno
della benevolenza e della vicinanza di Dio. Se consideriamo il servizio dei
Fatebenefratelli, notiamo come la loro missione coincida con un’attività che,
come già detto, tocca l’essenza della persona umana e si esprime con i gesti
di un operatore sanitario; tuttavia, la loro opzione di fede in Cristo, per
rendere presente il Regno di Dio tra gli uomini, aggiunge un significato nuovo
all’attività professionale, diventa profezia.
La
dedizione del religioso nel servizio agli uomini assume gli stessi
atteggiamenti di Gesù e, pertanto, l’esperienza dell’amore del Padre lo spinge
a vivere questo amore nel servizio agli uomini, per annunciare la salvezza con
modi e gesti di gratuità.
105. Il
religioso vive la consacrazione e la missione in comunione con gli altri
Confratelli, come lui, eletti e chiamati a seguire Gesù; sono membri della
Chiesa e in essa formano una famiglia, legata dalla fede
nello stesso Dio e Signore, dall’amore dello Spirito e dalla speranza che la
spinge a collaborare per la costruzione di una realtà umana che rifletta i
valori del regno futuro.
La
comunione tra i Confratelli è il segno della vita religiosa. I religiosi si
riuniscono per formare la fraternità, dove lo stile di vita
della famiglia imita la comunità di Gesù con i dodici Apostoli e, pertanto,
vivono aperti alla volontà del Padre, condividono la vita con Cristo, mettono
tutto in comune e dedicano la loro vita alla lode e all’annuncio del Vangelo
ai poveri.
Giovanni di Dio, uomo carismatico
106. È chiaro che Giovanni di Dio fu un uomo carismatico, nel significato più ampio del termine. Il suo modo di
agire attirò l’attenzione delle persone che lo conobbero, le quali si
sentirono trascinate dalla forza della sua totale dedizione al servizio dei
bisognosi. Subì il suo influsso non solo la città di Granada, ma anche i
villaggi e le città dell’Andalusia, dell’Estremadura, della Castiglia e del
Leon; con la sua opera riuscì a contagiare le persone tanto da cambiare la
loro opinione su di lui: da pazzo, bisognoso di ricovero nell’Ospedale Reale, a
uomo di Dio. Lo stesso cambiamento di nome, ratificato dalla gente e con il
quale è rimasto nella storia, da Giovanni Ciudad a Giovanni di Dio, ne è una
prova.
107. Il suo carisma possedeva una
ricchezza che trascendeva la sua persona: non erano solo atteggiamenti e gesti
umani che, manifestati con l’amore verso i bisognosi, suscitavano
l’ammirazione e inducevano a collaborare nella sua Opera.
Il carisma dell’ospitalità, con il quale fu arricchito dallo Spirito Santo, si incarnò in lui come
un germe destinato a crescere in altri uomini, ai quali lo Spirito concede di esperimentare,
in
modo singolare, l’amore misericordioso del Padre, così da prolungare
nel tempo, con la loro vita e le loro opere, la presenza misericordiosa di
Gesù di Nazareth, mediante il loro servizio ai sofferenti, secondo lo stile di
Giovanni di Dio 11.
Lo Spirito, che si serve di persone deboli e poco significative quando
desidera far risaltare la sua opera, in un secolo dove la Chiesa viveva un movimento
di Riforma, sostenuto da grandi teologi e fondatori di istituti religiosi,
manifestò la forza del suo Amore scegliendo Giovanni, uomo illetterato, che si
preoccupò solo di vivere in perfetta unità l’amore di Dio con il servizio ai
poveri, perché fosse il Fondatore dell’Ordine Ospedaliero, che oggi porta il
suo nome.
108. Giovanni di Dio ricevette il carisma della vita religiosa,
essendo consacrato dalla speciale
presenza dello Spirito. Questa esperienza cambiò il senso della sua
vita e dal momento della sua definitiva conversione, si sentì ripieno
dell’amore misericordioso del Padre e sperimentò l’infinito amore di Gesù
Cristo. Tutto ciò lo spinse e dedicarsi al servizio dei poveri e degli
abbandonati, sorretto da una profonda motivazione:
E così mi trovo indebitato e prigioniero solo per
Gesù Cristo... Giovanni di Dio... che desidera la salvezza di tutti come la
sua stessa 12.
109. Si può, inoltre, affermare
che Giovanni
di Dio fu un laico, consacrato con una vocazione speciale nella Chiesa.
Così l’intesero i suoi compagni
i quali, dopo la sua morte, continuarono uniti a praticare la carità
nell’ospedale di Granada e, quando a poco a poco si estesero, rimasero sempre
in comunione con i Confratelli del primo Ospedale, tutti animati dallo spirito e dall’esempio di Giovanni di
Dio.
Così l’intese la Chiesa, che,
attraverso i Papi e i Vescovi, ha riconosciuto che l’opera dei Confratelli
continuava quella iniziata da Giovanni di Dio:
uomo santo, giusto e timorato della sua legge, come mostrò in tutto il
corso della sua vita santa e limpida con le opere che compì, e quella carità
accesa che infiammava il suo cuore nei confronti dei poveri infermi afflitti e
bisognosi, che non senza ispirazione
divina fu il primo autore, fondatore e principio della vostra regola e del
vostro istituto 13.
Si ammette, inoltre, che Giovanni di Dio ricevette non solo un carisma
personale particolare, ma anche il carisma per la fondazione,
carisma che ancor oggi riunisce in una famiglia coloro che lo ricevono per
dedicarsi con generosità al servizio di Dio negli infermi e bisognosi e
annunciare il Regno, come fece Giovanni di Dio, secondo lo stile di Gesù.
Significato teologico del carisma,
della missione e della spiritualità
110. La dottrina di San Paolo ci
permette di dare una breve definizione di carisma, secondo l’attuale
teologia: il carisma è ogni forma di presenza dello Spirito nella vita del
credente, che arricchisce e abilita a realizzare un servizio in favore degli
altri.
Questa definizione esprime molto
bene gli elementi essenziali di ogni carisma:
—
trascendenza e gratuità:
il credente riceve il dono senza suo merito, è un vero regalo dello
Spirito;
—
carattere
personale e personalizzante:
lo Spirito si manifesta in ognuno per promuovere la sua realizzazione
personale;
—
disposizione per il servizio alla comunità:
l’esperienza dell’amore di Dio spinge e stimola ad amare gli altri.
111. La missione, che deriva dal carisma ricevuto, diventa il
modo concreto per esprimere nella Chiesa il servizio a favore degli uomini;
pertanto:
—
è intimamente correlata con la dimensione di
fede di cui diventa anche espressione;
—
configura tutta la vita del credente,
rendendola profezia. L’esistenza del
credente diventa annuncio della presenza salvifica di Dio tra gli uomini; il
suo servizio è segno che richiama la presenza di Dio e l’attuazione della storia di
salvezza ed è annuncio del Regno, ossia un modo per testimoniare la
salvezza di Dio.
112. La spiritualità esprime il modo
di essere e di vivere che porta alla configurazione della persona in
Cristo; è l’espressione esistenziale del carisma e della missione.
Pertanto, la spiritualità abbraccia tutta la persona: il suo
modo di essere e di agire, lo stile della preghiera e le relazioni con gli
altri.
La spiritualità manifesta:
—
il modo di vivere e di esprimere la propria
fede, intesa come incontro personale
con Dio e come modalità di incarnare
l’atteggiamento contemplativo della vita nelle relazioni interpersonali e nel
lavoro abituale;
—
le modalità per assumere e annunciare il
regno, attraverso gli atteggiamenti, i gesti e le parole;
—
i segni con i quali si accoglie e si manifesta la
presenza di Dio e il suo amore per gli uomini;
—
il modo di vivere e di esprimere i
consigli evangelici, se si tratta di religiosi.
113. La missione e la spiritualità sono due realtà che si
completano a vicenda: tutte e due scaturiscono dal carisma. Perciò non può
esserci una spiritualità che non sia orientata all’evangelizzazione, e una
missione che non sia animata dalla spiritualità.
Le Costituzioni dell’Ordine Ospedaliero definiscono gli elementi
essenziali del carisma dei Fatebenefratelli:
In virtù
di questo dono, siamo consacrati dall’azione dello Spirito Santo, che ci rende
partecipi, in modo singolare, dell’amore misericordioso del Padre. Questa
esperienza ci comunica atteggiamenti di benevolenza e di donazione, ci rende
capaci di compiere la missione di annunciare il Regno tra i poveri e gli
ammalati; essa trasforma la nostra esistenza e fa sì che attraverso la nostra
vita si renda manifesto l’amore speciale del Padre verso i più deboli, che noi
cerchiamo di salvare secondo lo stile di Gesù 14.
La
missione dell’Ordine è
presentata così:
Incoraggiati dal dono ricevuto, ci
consacriamo a Dio e ci dedichiamo al servizio della Chiesa nell’assistenza
agli ammalati e ai bisognosi, con preferenza per i più poveri... Chiamandoci ad
essere Fatebenefratelli, Dio ci ha eletti per formare una comunità di vita
apostolica 15.
La
spiritualità peculiare del
Fatebenefratello consiste nell’incarnare
con sempre maggiore profondità i
sentimenti di Cristo verso l’uomo ammalato e bisognoso e a manifestarli con
gesti di misericordia dedicandoci con
gioia all’assistenza di chi soffre, in modo che la nostra vita è per lui segno e annuncio della venuta del Regno di Dio
16.
Partecipazione dei fedeli laici alla
vita dell’Ordine
114. Lo
Spirito Santo concede i carismi alle persone concrete per il bene della Chiesa
e dell’umanità. Il carisma pertanto non si limita alla persona che lo riceve,
ma produce una irradiazione, in virtù
della quale il dono ricevuto si estende agli altri.
Per
questa ragione il carisma dell’ospitalità ricevuto da Giovanni di Dio non è
stato soltanto un bene per lo stesso Giovanni. Di esso hanno beneficiato tutte
le persone con cui è entrato in contatto: i poveri e i suoi Confratelli, come
anche i benefattori, i dipendenti e i volontari che lo hanno aiutato a
realizzare la missione che gli era stata affidata dallo Spirito. Abbiamo già
indicato come il carisma dell’ospitalità ricevuto da Giovanni, fosse anche un
carisma di fondatore ed è per questo che nella Chiesa continua a essere
presente attraverso coloro che, come Giovanni di Dio, sono stati scelti per
riprodurre, secondo il suo stile, l’immagine del Figlio (cf. Rm 8, 29), che
passò per il mondo facendo del bene e annunciando la Buona Novella ai poveri
ai malati (cf. At 10, 38; Lc 7, 22).
Il
carisma dell’ospitalità, ricevuto da Giovanni di Dio, continua oggi nella
Chiesa attraverso i Fatebenefratelli, l’Ordine Ospedaliero da lui fondato.
Naturalmente anche loro continuano a irradiarlo,
collaborando con lo Spirito per la sua diffusione e il suo prolungamento nel
tempo nella misura in cui lo vivono in fedeltà rinnovata.
115. Tra
i Collaboratori, a questo proposito, si sente spesso la domanda:
In quale maniera partecipiamo noi al carisma di
Giovanni di Dio?
Propriamente
parlando (i carismi) sono dati alla
persona singola, ma possono anche essere condivisi da altri e in tal modo
vengono continuati nel tempo come una preziosa e viva eredità, che genera una
particolare affinità spirituale tra le persone. Esattamente di questa
indole è il carisma ricevuto da Giovanni di Dio. Direttamente partecipano
di esso le persone che ricevono dallo Spirito la sua stessa vocazione,
vocazione per la quale sono chiamati a seguire Cristo nell’Ordine Ospedaliero.
Stiamo parlando ovviamente dei Confratelli. Può darsi che lo ricevano anche
altre persone che però, per determinate circostanze, non arrivano a scoprirlo
e a svilupparlo esistenzialmente.
I fedeli
laici che non ricevono la stessa vocazione di Giovanni di Dio, partecipano del
suo carisma in maniera indiretta. Questo tipo di comunicazione al carisma
dell’Ordine va letto come risultato dell’irradiazione
prodotta dallo stesso; coloro che conoscono Giovanni di Dio, attraverso la
lettura della sua vita o attraverso il contatto diretto con i suoi Confratelli,
esperimentano che nella loro vita prende corpo una specie di luce che fa
nascere in loro il desiderio di vivere l’ospitalità, imitando l’esempio di
Giovanni o dei suo Confratelli.
116. Prima di proseguire, ci preme sottolineare che il carisma
dell’ospitalità non è una proprietà esclusiva dei Fatebenefratelli. Esso è un
dono dello Spirito alla Chiesa che riveste molteplici manifestazioni e come
tale, in un certo qual modo, lo sperimentano tutti i credenti in Cristo.
Questa fa sì che coloro che entrano in contatto con Giovanni di Dio e la
sua opera, sentano crescere la loro capacità di amare il prossimo e aumentare
in loro il desiderio di esprimere questa capacità. Va però anche subito detto che
questo
dono ognuno lo riceve in corrispondenza con la propria vocazione cristiana.
Riassumendo possiamo dunque dire: la partecipazione al carisma
dell’Ordine, propriamente parlando, è una peculiarità dei Fatebenefratelli e
di coloro che hanno ricevuto la loro stessa vocazione. I fedeli laici che si
sentono chiamati a vivere l’ospitalità, partecipano invece del carisma di
Giovanni di Dio aprendosi alla spiritualità e alla missione dei suoi Confratelli e
integrandola nella propria vocazione personale.
I livelli di questa partecipazione sono ovviamente vari: così ci sono
persone che si sentono particolarmente legati all’Ordine attraverso la sua
spiritualità; altri invece vivono la partecipazione tramite il disimpegno
della stessa missione. Ma quel che conta è che il dono dell’ospitalità ricevuto
da Giovanni di Dio instauri tra Confratelli e Collaboratori un legame di
comunicazione che sia per ambedue impulso e stimolo a sviluppare la loro
vocazione cristiana e a essere per il povero e il bisognoso segno visibile
dell’amore misericordioso di Dio verso gli uomini.
Il fatto che i Religiosi ospedalieri e i fedeli laici condividano la
ricchezza della loro mutua vocazione sulla base del denominatore comune
dell’ospitalità, la quale assume in ogni singolo contenuti ed espressioni
differenti, diventa per entrambi stimolo a vivere con sempre maggiore
profondità la propria identità. E infatti nella misura in cui ogni singolo
vive in fedeltà la sua vocazione cristiana, che la Chiesa e le persone
destinatarie del servizio per il quale è stato dato il carisma, possono
sperimentare i frutti dell’azione dello Spirito in tutta la ricchezza, che la
sua presenza è capace di trasmettere.
117. Dalla valorizzazione del dono personale ricevuto dipende il grado di
fedeltà con cui il singolo riesce a riprodurre in se stesso i gesti di Cristo e
a configurarsi con Lui. Poc’anzi abbiamo denominato questa modalità personale
di configurarsi con Cristo spiritualità. Come possiamo vedere
ora, questa, nella pratica, è nient’altro che l’espressione esistenziale del
carisma e della missione, una realtà cioè, che investe tutta la persona
imprimendole una specie di stile che la distingue. Non c’è
dubbio che molti aspetti della spiritualità dell’Ordine si trovino nella
spiritualità propria delle persone che collaborano con i Confratelli. Questi
elementi coincidenti vanno valorizzati, messi in comune, sviluppati all’interno
di una relazione più diretta basata proprio su questa comunanza. Questi aspetti
condivisi devono essere alla base per incontri di riflessione, di dialogo e
anche, naturalmente, di preghiera tra Religiosi e Collaboratori. Incontri che
per il fatto stesso, che scaturiscono da valori comunicati dallo Spirito,
trascendono le relazioni che in altro luogo abbiamo chiamato rapporti di lavoro
e che pertanto vanno programmati in spazi di tempo fuori dall’orario di
lavoro per evitare l’eventuale insorgere di conflitti. Questi momenti
d’incontro devono essere valorizzati da tutti gli interessati, affinché ogni
singolo si faccia carico responsabilmente e liberamente delle responsabilità
che implicano, responsabilità tra cui riveste indubbiamente un particolare
significato quella di dare un’autentica testimonianza di vita suggerita per
l’appunto da queste occasioni d’incontro.
Inoltre è importante che, all’interno di questi incontri, ogni persona e
ogni gruppo possa esprimersi e sulla base dei contenuti della propria
spiritualità e sulla base delle esigenze personali derivanti dalla propria
vocazione cristiana per promuovere l’arricchimento vicendevole e lo scambio
aperto di suggerimenti e indicazioni utili a vivere tutti con sempre maggiore
trasparenza la sequela di Cristo.
118. Un
aspetto della vita dell’Ordine, al quale i Collaboratori partecipano più
immediatamente, è quello relativo alla missione di servire i malati e i bisognosi.
Dato che in questo capitolo stiamo muovendo dalla dimensione della fede, vale
la pena ricordare il principio che la persona battezzata è chiamata a
collaborare, in tutta la sua totalità, all’evangelizzazione sulla base della
propria identità attraverso il lavoro quotidiano che svolge.
Da questo punto di vista, i credenti che lavorano nei Centri dell’Ordine,
sono dunque innanzitutto chiamati a esprimere il loro impegno a favore dell’evangelizzazione
attraverso la loro attività professionale, realizzandola con efficienza e
accompagnandola con atteggiamenti umani che, per il modo in cui vengono
attuati, trasmettano alle persone destinatarie del loro servizio come anche ai
loro compagni di lavoro, la bontà e la vicinanza di Gesù. In questa maniera il
servizio diverrà il primo e il più diretto mezzo dell’evangelizzazione.
Talvolta si destinano determinati tempi e luoghi alla visualizzazione e
realizzazione del proprio impegno cristiano e si trascura l’espressione della
propria identità nel lavoro quotidiano che si realizza. Ma chiediamoci: esiste
un luogo più adatto per annunciare Cristo di un Ospedale o di un Centro
assistenziale, dove tanti malati e poveri sono in attesa di scoprire l’amore di
Dio? Ricordiamoci che come persone chiamate a servire i poveri e i bisognosi
abbiamo la responsabilità di essere per loro manifestazione viva della bontà e
della vicinanza di Dio.
Noi diamo giustamente molta importanza all’esigenza
di scoprire e vivere la presenza di Cristo nella persona malata e bisognosa,
fatto che, in ultimo, costituisce il senso al nostro servizio. Questo è indubbiamente
un valore importantissimo che va coltivato e un atteggiamento di fede che deve
essere costantemente alimentato, soprattutto per valorizzare il bisognoso
nella sua dignità di persona e figlio di Dio. E’ un diritto che Gesù ha concesso ai poveri e a coloro che soffrono. Ma,
accanto a ciò, non possiamo trascurare quest’altro diritto: scoprire in noi stessi
la presenza di Gesù. E senz’altro questa una realtà che richiede una grande
forza di trasformazione interiore e, direi spontaneamente, un atteggiamento
costante di rinnovamento cristiano.
119. La partecipazione dei Collaboratori credenti alla missione
dell’ordine non si esaurisce nel vivere il proprio servizio con stile
evangelizzante; richiede anche la capacità di annunciare Cristo mediante la
Parola, il che implica: saper dar ragione della propria fede, professarla con
semplicità dinnanzi agli altri, essere motivo di speranza e impegnarsi nella Pastorale.
L’impegno della Pastorale della salute non spetta soltanto ai Religiosi: esso
spetta altrettanto ai credenti che operano in un Centro. Abbiamo già sottolineato
come il servizio ben realizzato sia già di per se stesso evangelizzazione e pertanto
pastorale. Si può affermare che il servizio è come un requisito che
dispone l’animo del malato o del bisognoso ad accogliere in atteggiamento di
fede l’annuncio esplicito del Vangelo di Cristo. Ma la Pastorale della salute
non può essere limitata solo al servizio ben realizzato: esige anche
l’attuazione di programmi mirati alla catechesi, la celebrazione della Liturgia
e gli incontri di preghiera.
Nell’ambito della Pastorale della Salute acquista particolare valore di
testimonianza la presenza e l’impegno di coloro che non sono Religiosi. Viene
spontaneo pensare che i Religiosi si impegnino nella Pastorale per un’esigenza
derivante direttamente dalla loro consacrazione e di considerare pertanto
questo loro impegno come un loro dovere. Quando invece la Pastorale viene
realizzata da uomini e donne che vivono la fede inseriti in ambienti simili a
un ospedale o altro, è facile che questo loro agire produca un impatto più
profondo e induca coloro che assistono a riflettere sul perché di certi
comportamenti.
120. In questo capitolo ci siamo riferiti quasi esclusivamente ai
Collaboratori dipendenti dei Fatebenefratelli. Ciò non vuoi dire che sono solo
loro a partecipare del carisma, della spiritualità e della missione
dell’Ordine. Anche i Volontari e i Benefattori sono partecipi nella stessa
maniera ed esprimono nella dimensione della gratuità, in quanto credenti, il
loro senso di comunione con i Confratelli, ogni qualvolta che dedicano parte
della loro vita e del loro tempo al servizio generoso e disinteressato rivolto
ai malati e ai bisognosi. Anche in questo contesto il servizio diviene
pertanto la modalità primaria per realizzare l’evangelizzazione. Allo stesso
modo essi sono invitati a partecipare attivamente e direttamente ai Consigli
Pastorali dei Centri dell’Ordine.
121. Dalla comunione nella fede scaturiscono, come stiamo vedendo, livelli
di relazione molto profondi tra Confratelli e Collaboratori, che possiamo
riassumere nella maniera seguente:
— Dall’esperienza della nostra vocazione, che ci permette di valorizzare e accettare l’opera
del tutto personale dello Spirito nella vita di noi stessi, ci muoviamo verso
una relazione che scaturisce dal voler condividere la ricchezza del dono ricevuto.
Così si instaura una compartecipazione dei frutti spirituali derivanti dai
diversi carismi, frutti che ci animano a valorizzare la ricchezza dell’amore
di Dio manifestato dal suo Spirito, a vivere in fedeltà la propria vocazione e
a collaborare con gli altri, affinché siano fedeli alla loro identità cristiana.
—
Con il dono della vita e del battesimo abbiamo
ricevuto la vocazione di riattualizzare i gesti di Cristo e di identificarci
con Lui attraverso la nostra identità personale, è ciò che abbiamo
chiamato spiritualità. A partire da
questa dimensione, Confratelli e Collaboratori, siamo chiamati a vivere una
relazione fondata sulla fede, che deve trovare espressione in incontri volti
all’approfondimento, nella preghiera e nelle celebrazioni liturgiche comuni, e
che deve stimolare e promuovere la crescita di tutti, nonché essere il
coronomento di tutto quanto condividiamo nel servizio ai malati e ai
bisognosi.
—
L’impegno
di annunciare il Vangelo e di essere testimoni di Cristo esige da noi tutti,
Confratelli e Collaboratori, di vivere e realizzare il servizio agli altri come
il primo e il più diretto modo di esprimere questo impegno evangelizzatore
manifestandolo principalmente mediante atteggiamenti che evocano la vicinanza
di Cristo accanto a coloro che soffrono. Questo stesso impegno ci incita a
partecipare attivamente e responsabilmente, nel limite delle nostre
possibilità, ai Consigli Pastorali operanti nei Centri.
Coloro
che servono con amore il prossimo, partecipano dello spirito di Giovanni di Dio
122. Molti dei Collaboratori dell’Ordine non
condividono con noi la fede in Cristo e il senso trascendente della vita. Ciò
nonostante si sentono legati a Giovanni di Dio e sperimentano che il suo modo
di servire i malati e i bisognosi li anima a imitarlo.
Rigorosamente parlando, va detto che queste
persone non partecipano del carisma
di Giovanni di Dio. Ma Gesù ci ha indicato che tra gli uomini è possibile una
comunione che va molto al di là della consapevolezza e della professione della
fede. Nel Vangelo secondo Matteo, capitolo 25, versetti 37-40, ci viene detto
che il servizio ai poveri, malati e ai carcerati è sacramento di salvezza per coloro che lo realizzano, anche se non
lo effettuano consapevolmente per servire il Signore. Con ciò vogliamo dire
che il servizio ai bisognosi, se vissuto con atteggiamenti e gesti di
solidarietà e con senso etico professionale, sprigiona una forza capace di instaurare
comunque una profonda comunione tra coloro che lo realizzano.
123. Una lettura attenta di questo testo nell’ottica
della partecipazione al carisma, che animò Giovanni di Dio a dedicarsi anima e
corpo al servizio dei bisognosi, ci porta alle seguenti conclusioni importanti:
— Per i Confratelli: la persona che si trova in stato di bisogno per
problemi di salute o per la mancanza di altri beni, è sacramento di comunione tra coloro che cercano di alleviare la
sua situazione di sofferenza. La presenza di tante persone di buona volontà
impegnate, pur non condividendo la nostra stessa fede, a fianco di noi Religiosi
nel servizio al malato e al bisognoso, ci deve essere di sprone per vivere
verso di loro una relazione incentrata sul dialogo e sull’amicizia. Queste
persone devono inoltre diventare destinatarie della nostra testimonianza quali
credenti in Cristo. E la testimonianza che in questo contesto è più atta a
raggiungerli direttamente è quella del servizio autentico, realizzato e animato
all’insegna della compassione, della solidarietà, della valorizzazione e del rispetto
della dignità della persona. Lo Spirito, attraverso le nostre vite, desidera
sicuramente illuminare l’esistenza di coloro che ancora non lo hanno scoperto,
affinché anche loro arrivino a sentirsi oggetto dell’amore e della volontà
salvifica di Dio.
—
Per i Collaboratori, che realizzano
il servizio al prossimo animati da motivazioni che non vanno molto al di là
dell’orizzonte intramondano: è importante che continuino a mantenersi aperti
a Giovanni di Dio per assumere sempre di più quel particolare stile di
servizio che egli seppe introdurre nel mondo della salute e che è stato
ereditato dai suoi Confratelli, stile che vede nella persona bisognosa il centro unificante di tutti gli sforzi
tendenti a superare la malattia, la povertà e qualunque forma di
emarginazione. La persona bisognosa sia per loro, come per San Giovanni di
Dio, un costante richiamo alla solidarietà e al superamento di tutti i tipi di
discriminazione esistenti tra gli uomini. Si addentrino nella personalità di
Giovanni di Dio per scoprire in lui il
fratello di tutti che seppe dialogare con tutti al di là delle ideologie e
delle classi sociali. Il suo amore della verità sia per loro invito a confrontarsi
apertamente con gli interrogativi, a cui la relazione diretta con il dolore e
con la limitazione umana pone dinnanzi l’intera persona, per poter trovare una
risposta autentica alle domande che l’uomo si pone su sè stesso e sul destino
dell’umanità.
In quest’ottica possono partecipare del
carisma di Giovanni di Dio anche i collaboratori non credenti; non solo come
beneficiari nel senso che possono scoprire attraverso la testimonianza della
sua vita l’esistenza di Dio che si fece prossimo dell’uomo per dimostrargli il
suo amore, ma anche come coprotagonisti nella missione di fare del mondo un luogo in cui tutti gli uomini si sentano
fratelli; perché in ciò consistette in ultima analisi l’opera di Gesù; a
questo fine è orientata l’azione dello Spirito nella Chiesa.
124. Giovanni di Dio continua a vivere
e a essere presente nei Centri dell’Ordine fondato da lui:
—
il suo amore
infinito per i malati e i bisognosi concretizzatosi in atteggiamenti e gesti
di servizio, comprensione, fedeltà e benevolenza;
—
la sua
valorizzazione e difesa della vita e dei diritti dei poveri e dei malati;
—
il suo interesse e
desiderio per la salvezza di tutti gli uomini che invitava instancabilmente a
riconoscere l’amore e la vicinanza di Dio;
—
il suo profondo
amore verso Gesù Cristo, centro e cuore della sua vita e del suo operare,
sono la forza che anima coloro che, come Giovanni di Dio, dedicano la loro
vita al servizio dei malati e dei bisognosi.
Lo stesso Spirito che animò
Giovanni di Dio, rinnova quotidianamente in noi l’esperienza dell’amore che
Dio prova per noi e ci sprona a tradurre questa esperienza nell’amore,
manifestato con il servizio e la vicinanza, verso i malati e i bisognosi. Lo
stesso Spirito crea tra noi un legame di comunione che ci motiva a collaborare
uniti nella missione di servire e promuovere la vita per rendere presente
il Regno di Gesù. Egli è colui che ravviva in ciascuno di noi la
responsabilità di essere fedeli alla vocazione che abbiamo ricevuto da lui per
offrire al mondo, come membri del Popolo di Dio, una testimonianza chiara di comunione e una visione più completa del
Cristo totale, di cui tutti siamo membri.
CONCLUSIONI
125.
Prima di chiudere, riteniamo conveniente raccogliere in sintesi le principali
conclusioni che derivano da questo documento. Tali conclusioni si presentano
in una duplice valenza: una di carattere teorico-dottrinale e una di carattere
operativo.
Conclusioni teorico-dottrinali
126. Le
conclusioni teorico-dottrinali sarà sufficiente riportarle in maniera
schematica, dato che le idee-chiavi sono già state presentate ampiamente nella
parte principale del documento:
—
Tra Religiosi e
Collaboratori possono essere conseguiti progressivamente livelli più ricchi di
relazione.
Tale
possibilità deriva sia dalla vocazione alla comunione propria a tutte le
persone, sia dalle qualità e motivazioni che animano quanti partecipano nei
Centri dell’Ordine all’assistenza ai malati e ai bisognosi.
Parliamo
volutamente di relazioni progressivamente più ricche, perché tra gli uni e gli
altri esistono già relazioni ai diversi livelli. Non si tratta dunque di
iniziare, ma di chiarire, purificare e approfondire la relazione attuale.
—
La relazione e
comunicazione tra Religiosi e Collaboratori può concretizzarsi a divelli,
livelli che saranno determinati di volta in volta delle motivazioni, per le
quali i singoli e i gruppi si pongono al servizio dei malati e dei bisognosi,
come si è detto in altro luogo.
—
È necessario approfondire la conoscenza, la
valorizzazione e il rispetto delle persone e dei gruppi, accettando nella
maniera dovuta le idee e le scelte di ciascuno in un clima di apertura e
dialogo.
—
Conviene distinguere le relazioni di tipo
professionale da quelle che possono instaurarsi sulla base di altri valori e
motivazioni, sebbene in alcuni casi tra le une e le altre verrà a crearsi
un’intima interrelazione.
127. L’Ordine deve tenere conto delle implicazioni che gli derivano dal
fatto di essere proprietario e gestore dei Centri come anche delle implicazioni
che derivano dalla specificità del suo carisma, della sua missione e della sua
spiritualità, specificità che gli conferisce il suo carattere particolare nella
Chiesa e nella società in generale. Pertanto:
—
deve assumere e promuovere il compimento
della Dottrina sociale della Chiesa e delle leggi giuste di ogni paese per rispondere
adeguatamente alle aspettative e ai diritti delle persone assistite e dei
Collaboratori;
—
è necessario che promuova e animi la comunione con quei Collaboratori, che
si professano credenti, per instaurare con loro una relazione più ricca nella dimensione
della fede e dell’apostolato.
Conclusioni pratiche
128. Dalle conclusioni teorico-dottrinali appena illustrate nascono una
serie di implicazioni di carattere pratico, tra cui desideriamo segnalare qui
di seguito quelle più importanti:
—
È necessario diffondere, studiare e approfondire
questo documento sia a livello dei Confratelli sia a livello dei Collaboratori.
A tale fine sarà opportuno organizzare e promuovere degli incontri di
riflessione, seminari, ecc., ai quali partecipino, almeno in alcune occasioni,
Confratelli e Collaboratori congiuntamente.
—
Gli organi preposti
alla gestione e alla direzione dei Centri dell’Ordine sono chiamati a:
a. migliorare quei canali che possono contribuire
a facilitare e rinforzare la conoscenza, la valorizzazione e la relazione tra
i Confratelli e i Collaboratori;
b. promuovere tra i Collaboratori la conoscenza
della filosofia propria all’Ordine utilizzando per questo scopo i mezzi più
adatti;
c. rinnovare i sistemi di comunicazione e
dialogo tra i diversi settori relativamente agli obiettivi e alla situazione
del Centro;
d. promuovere la formazione permanente, come
già accennato, in modo che venga favorita la crescita integrale di coloro che
lavorano nel campo dell’assistenza, organizzando e promuovendo la
partecipazione di tutti a tavole rotonde, corsi e seminari di aggiornamento
professionale e umano. A questo proposito è importante che ad alcune attività
prendano parte congiuntamente, religiosi, dipendenti e volontari;
e. facilitare,
nel limite del possibile, mezzi atti a promuovere il benessere e il complesso
relazionale delle famiglie dei dipendenti e dei volontari.
—
L’Ordine, come
Famiglia religiosa, è chiamato a:
a. motivare
e incitare i Confratelli a valorizzare e vivere con sempre maggiore
identificazione la loro vocazione di consacrati e la missione primordiale di
evangelizzare i malati, i bisognosi e i Collaboratori;
b. promuovere
la comunione e la relazione dei
Confratelli con i fedeli laici, attualizzando la formazione concernente
questo ambito e organizzando incontri di riflessione, studio e preghiera su
questa materia;
c. organizzare
incontri con i Collaboratori per offrire loro l’opportunità di conoscere
meglio e approfondire l’identità e la missione dell’Ordine;
d. promuovere
la creazione di gruppi di amici a sostegno dell’Ordine Ospedaliero di San
Giovanni di Dio;
e. stimolare
la costituzione di un’Associazione di laici, ispirata e
animata dallo spirito dell’Ordine e provvista di Statuti, che definiscano
identità, obiettivi e finalità della stessa.
Strutture di animazione e coordinamento
130. Le tesi esposte in questo documento chiederanno
all’Ordine di cambiare leggermente le sue relative strutture di animazione e
coordinamento. In futuro, in questo ambito, si distingueranno pertanto:
—
Il
Segretario per l’animazione e il coordinamento dei Collaboratori, il cui compito sarà quello di promuovere,
animare e coordinare tutte le iniziative ed attività volte a rinforzare la
relazione reciproca tra i Confratelli e i Collaboratori.
A detto Segretariato
potranno partecipare, indistintamente, tutte le persone che in una
qualsiasi forma collaborano alla missione dell’Ordine: dipendenti, volontari e
benefattori.
—
Associazione
dei laici «Fatebenefratelli». La Curia Generalizia e le Curie Provinciali rivolgeranno un invito in
questo senso a quei collaboratori che, mossi da una precisa scelta di fede,
desiderano partecipare direttamente alla spiritualità dell’ordine.
ABBREVIAZIONI
AA Apostolicam actuositatem.
CA Centesimus annus.
CfL Christifideles laici.
Cost Costituzioni.
D. LXIICG Dichiarazioni
del LXII Capitolo Generale.
EN Evangelii nuntiandi.
ET Evangelica testificatio.
FDC Storia della vita e sante opere di Giovanni di Dio,
Francesco de Castro, Ed.
Fatebenefratelli, 1989.
LG Lumen gentium.
Pr. Cost. Primitivas
Constituciones: Regole e Costituzioni per l’Ospedale di Granada del
1585, Madrid 1977.
SG Statuti Generali dell’Ordine 1984.
SGD San Giovanni di Dio. Lettere:
- LB a Luigi Battista;
- 1GL a Gutierre Lasso (prima);
- 2GL a Gutierre Lasso (seconda);
- 1DS alla Duchessa di Sessa (prima);
- 2DS alla Duchessa di Sessa (seconda);
[1] D. LXII CG, pag. 24.
[2] 2 CfL,
n. 9.
[3] D. LXII
CG, pag. 23.
Per fedeltà alle
Dichiarazione del Capitolo ci atterremo a questa accezione, quando ci
riferiremo ai Collaboratori laici.
Con ciò non si intende in
nessuna maniera porre dei limiti ad una più vasta apertura dell’Ordine,
apertura che d’altronde è stata prefigurata dalle stesse Dichiarazioni del
Capitolo Generale nell’introduzione al capoverso 7: Ci rivolgiamo anche alle
numerose migliaia di uomini e donne che, come sacerdoti, religiosi o religiose,
collaboratori laici, volontari e benefattori, partecipano con i Confratelli
nell’assistenza ai malati e ai bisognosi.
Cogliamo volentieri questa occasione per
sottolineare la profonda comunione e gratitudine che lega l’Ordine ai tanti
sacerdoti, religiosi e religiose, che assieme ai nostri Confratelli sono
impegnati sul fronte dell’evangelizzazione degli ammalati e dei bisognosi.
[4] Cost 1984, nn. 1d; 5a; 2c; 3b.
[5] Cf.
Cost 1984, n. 51d.
[6] FDC,
pag. 76.
[7] Cost 1984, n. 47bcd.
[8] SGD, 2GL 5.
[9] Cf. Cost 1926, artt. 221b; 223; Cost 1984, nn. 6ad; 43d; 45; 69bc;
72b; lO3bc.
[10] Cf.
SGD, 1DS 13; Cost 1984, n. 1.
[11] Per
questo aspetto è opportuno ricordare le seguenti testimonianze:
figlio mio Battista, quando verrete alla casa di Dio.., dovete obbedire
molto e lavorare molto di più di quanto abbiate lavorato, e tutto (assorto)
nelle cose di Dio e perdere il sonno nella cura dei poveri. LB 10-11.
Il quale (Giovanni di Dio) fu il primo autore, fondatore e principio della
vostra regola e istituto e l’iniziatore di codesto vostro ospedale, opera
santa e ammirabile dove tanto cristianamente siete occupati a proseguire
l’opera iniziata dal vostro primo fondatore. Pr. Cost, pag. 9.
Fu così grande l’esempio di vita lasciato da Giovanni di Dio e piacque
tanto a tutti, che molti si sentirono mossi a imitarlo e a seguire il suo cammino,
servendo nostro Signore nei suoi poveri ed esercitando l’ufficio dell’ospitalità solo per Dio. FDC, pag. 169.
[12] Cf. Cost 1984, nn. 8; 21.
[13] Cf. Cost 1984, nn. 41; 42; 44; 45 ab; 50; 51; 5G n. 61.
[14] Cost 1984, no. 23a.
[15] Cf. Cost 1926, art. 222; Cost 1984, nn, 5a; 22; 5G n. 51.
[16] Cf.
Cost. 1984, n. 47.
[17] Cf. SG
n. 52.
[18] Cf.
Cost. 1984, n. 46b; 51e; SG nn. 53-55.
1 Cf. CA
n. 25.
2 Cf. Cost 1984, nn. 2; 3, 12c; 14. In particolare il n. l3ad: “…ci sentiamo stimolati a vivere e a
manifestare con chiarezza la povertà che abbiamo professato. Questo comporta.
... vivere la nostra condizione di poveri, accettando in libertà di spirito
l’obbligo comune del lavoro, come mezzo di sostentamento e di apostolato.
3 Cost.
1984, n. 44.
4 Cf. ET, nn. 16-18.
5 Cost 1984, nn. 13; 100; SG n. 160.
6 ET, n. 19.
7 Cost
1984, n. 45d.
8 Cf. CA,
nn. 32; 35.
9 Cf. Cost 1984, n. 23a.
1 Cf. LG,
n. 11; AA, 11. 11; EN, n. 71.
2 CL, n.
9.
3 CfL, n.
9; LG, n. 31.
4 CfL, n.
15; cf. LO, n. 31.
5 Cf.
CfL, n. 17.
6 Cf. 1Cor 12, 4-6.12-3I
7 CfL, n.
37.
8 CfL, n.
38. Il Papa sottolinea il pericolo reale che può derivare alla vita umana
dall’uso indiscriminato delle ricerche delle scienze biologiche, della medicina
e della tecnologia. Ricorda a tutti i fedeli l’obbligo di rimanere sempre
informati su dette ricerche e sulle risposte etiche, promosse e richieste
dalla Chiesa. Devono coraggiosamente
accettare le «sfide» poste dai nuovi problemi della bioetica.
9 CfL, n. 41. Qui il Papa ricorda l’importanza che oggi
hanno le diverse forme di volontariato.
10 Cf. CL, n. 43.
11 CfL, n. 55.
12 Cf.
CfL, nn. 46-49.
13 Messaggio
del Concilio ai poveri, agli ammalati, a tutti coloro che soffrono, En Vat, n.
254.
14 CfL, n. 53.
15 CfL, n. 53.
16 Cost. 1984, n. 7.
17 Cf. ET, n. 7.
18 LG, n. 44.
19 Cf. Cost 1984,
n. 2b.
20 Cf. Lc 4, 18-21; Mt 8,
16-17; 12, 15-21.
21 LG, n. 44.
22 Cost 1984, n. 7c.
23 Cost 1984, n. 1d.
24 Cost 1984, n. 7c.
25 Cost 1984, n.
2b.
26 Cf. Cost 1984, nn. 5b; 7c.
27 Cost
1984, n. 28a.
28 Cf.
Cost 1984, nn. 28-30.
29 Cf. Cost
1984, nn. 28-30; 33-34.
30 Cf. Mc 3, 13-15.35; Cv. 1, 13; Cost 1984, n 26c.
31 Cf. Cost 1984, nn. 6c; 14; 16b; 17b; l8d; 19; 36;
37; 43c; 5lg.
32 Cost 1984, n. 26b.
33 Cost 1984, n. 38f.
34 Gv 17,
21.
35 Cf.
Cost 1984, n. 41.
36 D. LXII CG, pagg. 49-50.
37 Cost 1984, n. 2bc.
38 Cf. Cost 1984, n. 3a.
39 Cost 1984, n. 1a.
40 L’Ospitalità dei Fatebenefratelli verso il 2000, n. 86.
1 SGD, 2GL, 5.4.
2 Cost 1984, n.
1ab
3 FDC, pag. 169.
4 FDC, pag. 122.
5 FDC, pag. 156.
6 FDC, pag. 93.
7 Cf. SGD, 3DS 7.
8 SGD, 3DS7.
9 Cf. Pr. Cost,
pag. 44.
10 Cf. LG nn.
43-46.
11 Cf. Cost 1984,
n. 2.
12 SGD, 2GL 7.19.
13 Pr. Cost, pag.
9.
14 Cost 1984, n.
2b.
15 Cost 1984, n.
5ab.
16 Cost 1984, n. 3.