Servo e Profeta
Discorso di Fra Brian O'Donnell per il 3° Centenario della canonizzazione di S. Giovanni di Dio
TERZO CENTENARIO
DELLA CANONIZZAZIONE DI SAN
GIOVANNI DI DIO
Discorso del Priore Generale
SERVO E PROFETA
Introduzione
Ci siamo riuniti oggi qui a Granada per
commemorare un evento ecclesiale con cui molto tempo addietro si è inteso
riconoscere la santità eroica e l’esemplarità universale di un uomo che ha
vissuto gli ultimi dieci anni della sua vita relativamente breve in questa
città.
Siamo qui per gioire, perché a Roma trecento anni
fa la Chiesa ha dichiarato santo un uomo che già ai suoi tempi era noto ai suoi
concittadini con il nome di Giovanni di Dio, un uomo che dal suo primo biografo
Francesco de Castro venne definito il “dispensiere dei poveri” di Granada (1).
Più che un momento di gioia
Questo anniversario non deve essere soltanto un’occasione
per gioire e ringraziare il Signore per i numerosi doni e le molte grazie che
l’Ordine ha ricevuto da quando quell’uomo che noi “riteniamo giustamente come
nostro Fondatore” è stato canonizzato (Cost. 1b).
Perché questo anniversario ci offre anche
un’opportunità unica per riflettere sulla figura del Santo e sul significato
della sua canonizzazione
Ispiratore di un istituto religioso
Avendo ispirato il Santo la
fondazione di un istituto della vita religiosa, questa ricorrenza contiene un
importante messaggio per i membri di tale istituto, ossia i Fratelli di San
Giovanni di Dio.
Proposto al popolo di Dio
Essendo stato poi San Giovanni di Dio proposto
alla Chiesa universale quale modello ed esempio di carità, l’anniversario
contiene un messaggio non meno importante per i laici, i quali “si trovano in
prima linea nella vita della Chiesa” (2).
Servo e profeta
Come Gesù il nostro Santo ha riunito nella sua
persona due espressioni fondamentali: quella del servo e quella del profeta.
Come Gesù il nostro Santo poteva dire di se che non era venuto “per essere
servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti’ (Mt 20, 28).
Il servo serve, il profeta annuncia il Regno e dà
la sua vita. Così è stato per Gesù e ugualmente per San Giovanni di Dio.
Il messaggio del Santo e della sua canonizzazione
Il Governo Generale dell’Ordine ha ritenuto
opportuno presentare in occasione di questa ricorrenza un’analisi approfondita
sulla situazione dell’Ordine, sulle sfide attuali che è chiamato ad affrontare
e sulle prospettive future che gli si aprono davanti. Il Definitorio Generale
sta attualmente lavorando collegialmente all’elaborazione di questa analisi che
sarà pubblicata più tardi nel corso dell’anno celebrativo.
Pertanto le parole che mi accingo a pronunciare
non vogliono dare un quadro definitivo sulle questioni che stanno sul tappeto.
Esse riflettono semplicemente. i miei pensieri,
con i quali intendo contribuire al processo di consultazione e di definizione,
nel quale sono attualmente impegnati tutti i membri del Definitorio Generale.
Sono molto grato per poter esporre oggi a Voi la
mia lettura del messaggio di San Giovanni di Dio e del significato della sua
canonizzazione.
Questo anniversario mi ha indotto a riflettere su:
* il carisma dell’ospitalità;
* cosa intendo io, quando parliamo dell’Ordine oggi;
* lo stato fisico dell’Ordine, così come si presenta oggi;
* due importanti aspetti della spiritualità di San Giovanni di Dio,
ossia servizio e profezia;
* la vita religiosa;
* il futuro dell’Ordine.
L’ORDINE OGGI
L’uomo e il Santo a cui oggi, trecento anni dopo
la sua canonizzazione, rendiamo omaggio, è tuttora presente nel mondo tramite
le persone e le opere di coloro che condividono la stessa visione, gli stessi
traguardi e gli stessi valori che sono stati alla base della sua vita.
San Giovanni di Dio e il suo spirito particolare
continuano a manifestarsi in maniera tangibile in quella cosa che noi chiamiamo
‘l’Ordine’.
RISCOPRIRE IL CARISMA
Nel corso della sua lunga storia il nostro Ordine
è passato e ripassato attraverso i vari cicli che caratterizzano la vita di un
Ordine e che stando ad uno studio del gesuita francese Raymond Hostie possono
assumere di volta in volta l’aspetto di fondazione, espansione e declino.
Questi cicli ricorrenti possono spingere un
istituto religioso, anche più di una volta, verso un punto in cui deve decidere
con la massima consapevolezza tra le tre seguenti alternative:
a) estinguersi
b) sopravvivere alla soglia della mera
sopravvivenza
c) trasformarsi.
Un fatto che ha aiutato l’Ordine in tempi recenti
ad optare coscientemente per la trasformazione è stata l’attenzione che nel
corso del Capitolo Generale Straordinario si è voluto dare al nostro carisma
specifico (3).
Il carisma di San Giovanni di Dio - l’ospitalità
Noi diciamo che San Giovanni di Dio ha ricevuto da
Dio il dono straordinario di aprirsi nella sua vita completamente agli altri e
ai loro bisogni e di rispondere a questi bisogni a qualunque costo.
Il termine cristiano con cui si designa
solitamente questo dono specifico dello Spirito Santo è ‘carisma’. Noi abbiamo
voluto definire l’apertura del nostro Santo verso gli altri e il suo
sacrificarsi per loro come ospitalità. Pertanto noi affermiamo che San Giovanni
di Dio ha ricevuto il carisma dell’ospitalità.
Lo stesso carisma di San
Giovanni di Dio
Ogni Fratello di San Giovanni di Dio viene
confermato dalla Chiesa nella sua convinzione di aver ricevuto lo stesso
carisma di San Giovanni di Dio, quando la Chiesa accoglie pubblicamente la sua
professione dei voti religiosi e di quello speciale dell’ospitalità.
Il pensiero dominante a livello dell’Ordine, fino
a poco tempo fa, è stato sempre quello che questo carisma appartenesse
esclusivamente a noi e che non lo condividessimo con nessuno, anche se abbiamo
sempre accettato l’aiuto di altri nell’esercizio del nostro carisma.
Distribuendoli a ciascuno come vuole
Negli ultimi tempi la teologia emergente, in
materia di carisma, ci ha invece fatto prendere consapevolezza del fatto che lo
Spirito Santo quale donatore di tutti i carismi “li opera, distribuendoli a
ciascuno come vuole” (1 Cor 12, 11).
Pertanto noi oggi riconosciamo che il carisma
dell’ospitalità viene donato anche ad altri e scopriamo la sua presenza in
molte delle persone con cui veniamo a contatto.
Noi religiosi ospedalieri non continuiamo più a
considerare il nostro carisma gelosamente come un nostro monopolio.
Siamo felici di aver ricevuto questo carisma
particolare.
Siamo felici, quando vediamo che anche altri lo
hanno ricevuto.
Siamo felici, quando ci scopriamo strumenti nelle
mani dello Spirito Santo per la trasmissione di questo carisma ad altri, siamo
felici, quando riusciamo a incoraggiare altri ad esercitarlo.
Visione, traguardi e valori
Nel carisma dell’ospitalità si sono conservati e
sviluppati ulteriormente la visione, i traguardi e i valori propri di San
Giovanni di Dio.
Questa visione, questi traguardi e questi valori
hanno oggi la stessa validità che avevano ai tempi di San Giovanni di Dio e della
sua canonizzazione.
IL CONCETTO DI ORDINE
La visione, i traguardi e i valori di San Giovanni
di Dio, essendo un dono dello Spirito, non possono essere motivo di
separazione, ma debbono essere motivo di comunione.
“Unità nell’ospitalità”
“Unità nell’ospitalità” - all’insegna di questo
motto si è svolta l’ultima grande assemblea dell’Ordine, ossia il 62° Capitolo
Generale, nel 1988.
Questo Capitolo Generale è stato particolarmente
significativo, perché “per la prima volta nella storia dell’Ordine hanno
partecipato ad esso otto collaboratori laici delle varie aree linguistiche”
(4).
Come è stato sottolineato dagli stessi Capitolari
nelle dichiarazioni elaborate alla conclusione del Capitolo, “questo è stato il
modo chiaro per manifestare la considerazione dell’Ordine per i numerosi
uomini e donne che, insieme ai Confratelli, si impegnano ad alleviare e a porre
rimedio alle sofferenze e alle necessità dei destinatari della nostra missione.
Questo avvenimento conferisce alle presenti dichiarazioni una dimensione più
universale” (5).
Una dimensione più universale
Il Capitolo Generale ha riconosciuto che l’Ordine
oggi, volendo agire come San Giovanni di Dio avrebbe voluto vedere agire un
Ordine nel suo nome, deve assumere una dimensione più universale di quella di
un gruppo esclusivamente composto da uomini che hanno emesso la professione dei
voti religiosi a norma delle Costituzioni dell’Ordine. Giovanni di Dio stesso
era un modello in materia di collaborazione, tanto che invitava tutti, dal giovane
Juan Bautista alla Duchessa di Sessa e le sue dame, ad aiutarlo nella sua
opera.
Il servizio alla
salute
Quando oggi nella prassi comune usiamo il termine
‘Ordine’, intendiamo tutte le persone che in qualche modo contribuiscono a
portare avanti l’opera di San Giovanni di Dio nel mondo della salute.
Ovviamente c’è da considerare che il termine
‘Ordine’ ha un senso più strettamente giuridico e canonico. Ma una comprensione
dell’Ordine che è limitata a considerazioni giuridiche e canoniche mal si
addice alla realtà in cui viviamo e non riflette fedelmente la sua storia,
L’Ordine non è un corpo che deve la sua vita a
teorie espresse in regolamenti e leggi applicate a particolari situazioni. Si
tratta piuttosto di un movimento che trae le sue radici dall’esperienza vissuta
da San Giovanni di Dio e dai suoi primi compagni che erano uomini e donne
laici.
LO STATO FISICO DELL’ORDINE
Questa “unità nell’ospitalità”
che ha portato alla nascita dell’Ordine e che costituisce oggi di nuovo un
tratto distintivo della sua vita, risulta oggi essere presente ed attiva in 47
paesi di tutto il mondo.
Delle 35.000 persone che fra religiosi, dipendenti,
volontari e benefattori rappresentano oggi l’opera dell’Ordine su scala
mondiale, 1.503 sono Fratelli di San Giovanni di Dio (1474 religiosi professi e
29 oblati).
I nostri confratelli,
collaboratori, volontari e benefattori operano in complessivamente 226 centri e
servizi assistenziali.
Tali centri e servizi sono
composti da 43 ospedali generali, 41 ospedali psichiatrici e relativi servizi,
14 case di cura, 26 centri per anziani, 6 ospedali per lungodegenti, 32 centri
e relativi servizi per handicappati mentali, 16 centri di riabilitazione per
handicappati fisici e persone con disturbi sociali e 9 dispensari e consultori.
A questi si aggiungono 17 altri
centri che offrono una variegata gamma di servizi e tra cui figurano 2 centri
idroterapici, -3 centri per bambini con disturbi emotivi e 8 asili notturni.
Da alcuni anni l’Ordine
promuove poi l’avvio e la realizzazione di “nuove forme dell’ospitalità”. In
questo ambito sono state costituite sin ora 22 comunità che fuori della rete
ufficiale dei servizi istituzionali si sono inserite in ambienti difficili,
dove praticano uno stile di vita e operano in maniera tale che si può parlare
giustamente di una presenza religiosa significativa e di un aiuto prezioso alla
popolazione del luogo. In quattro casi un confratello vive da solo per portare
avanti questa presenza e questo aiuto nel nome dell’Ordine.
Quotidianamente circa 40.000
persone ricevono assistenza nelle diverse strutture assistenziali e sociali
dell’Ordine.
Credo che si può affermare
tranquillamente che l’attività caritativa dell’Ordine non è mai stata così
intensa come oggi.
SERVO
E PROFETA
Come ho già accennato nell’introduzione, San
Giovanni di Dio ha saputo plasmare e modellare, sotto la spinta della figura e
degli insegnamenti di Gesù, la sua carità in una duplice direzione, vale a dire
come servo e come profeta.
A seconda dei tempi è emerso di volta in volta con
maggiore incisività o l’uno o l’altro di questi due aspetti della figura e
dello spirito di San Giovanni di Dio.
San Giovanni di Dio non era soltanto l’umile e
fedele servo dei poveri e degli ammalati. L’uomo povero di Granada sapeva anche
mostrarsi quale profeta impavido della carità nella città e nel paese che aveva
adottato come suo.
La sua vita rispecchiava tutti i tratti distintivi
del profeta.
I tratti distintivi del profeta
Era posseduto e guidato dallo Spirito, “desiderando la salvezza di tutti come la sua
stessa” (1GL, 12).
Era messaggero della Parola, portandola persino alle prostitute di Granada e
predicando “più con opere vive che a parole” (Castro cap. XIX).
Era critico di fronte alle realtà umane trascurate e trovandosi egli stesso immerso in una di queste
drammatiche realtà decise di aprire “un ospedale, dove raccogliere i poveri
abbandonati e privi della ragione” (Castro cap. IX).
Annunciava ai poveri la loro dignità dando una casa a loro; nello stesso tempo
aiutava altri a trovare lavoro e per altri ancora provvedeva a tutto il
necessario mantenendo sempre la massima riservatezza (castro cap. XII).
Denunciava lo stato d’abbandono in cui versavano i poveri e gli ammalati e quando uno
di questi moriva, non temette di ricordare ai ricchi i loro obblighi di carità
in virtù del loro comune essere cristiani (O’Grady) (6).
Esortava sulle strade di Granada i cittadini della città a “fare del bene a loro
stessi facendo del bene agli altri per amore di Dio” (Castro cap. XII).
Si dedicava con passione all’assistenza dei poveri. “Li cercava di notte,
buttati giù per quei portici, intirizziti e nudi, piagati ed infermi.” E
ancora: ‘Vedendone la moltitudine, mosso da grande compassione decise di
procurar loro con maggiore impegno il rimedio” (Castro cap. XI).
Metteva di fronte i potenti, i ricchi e i nobili ai disagi e ai bisogni
patiti dai poveri (Castro).
Difendeva i deboli. Agli infermieri dell’ospedale reale disse
infatti: “Perché trattate così male e con tanta crudeltà questi poveri infelici
e fratelli miei... Non sarebbe meglio che aveste compassione di essi e delle
loro sofferenze, e li puliste e deste loro di mangiare con più carità ed
amore…” (Castro cap. VIII).
“Patì molti disagi per
la fame, il freddo e la nudità... e doveva mendicare per mangiare e andava
scalzo” (Castro cap.X).
Venne perseguitato, allorché percorreva le strade di Granada, da
“ragazzi e una numerosa plebaglia, che gridando e schiamazzando e tirandogli
sassi e fango ed altre molte immondizie cominciarono a seguirlo” (Castro cap.
VIII).
Anche altri lo perseguivano e
“lo motteggiavano o mormoravano di lui, dicendo che tutto era un ramo di
pazzia, che gli era rimasto.., e che presto sarebbe crollato, perché non aveva
fondamento. E oltre a ciò, gli tenevano gli occhi addosso, osservando le case
nelle quali entrava ed informandosi di quanto ivi diceva e faceva, ed anche
appostandosi in luoghi occulti” (Castro cap. XII).
Era il più disonorato tra i suoi, perlomeno
secondo il suo giudizio, e quando alcuni si lamentarono per il tipo di gente
che accoglieva e assisteva nella sua casa, rispose: “Io solo sono il cattivo,
l’incorreggibile ed inutile, che merito di essere scacciato dalla casa di Dio”
(Castro cap. XX).
Ancor’una volta intervenne a
difesa dei più deboli dicendo: “I poveri che stanno nell’ospedale sono buoni, e
di nessuno di essi io conosco alcun vizio”.
Sacrificava la sua vita, allorché, già molto malato e provato da
terribili sofferenze, si gettò nel fiume Genil per salvare la vita ad un povero
ragazzo che vi era caduto dentro e trascinato via dalla corrente. Questo
tentativo di salvataggio gli sarebbe costato più tardi la vita (Castro cap.
XX).
Così come in determinati
periodi ci dobbiamo far guidare da San Giovanni di Dio nel servizio umile
all’umanità sofferente, dobbiamo farci dimostrare da lui in altri periodi come
essere profeti impavidi e attuali della carità.
A questo proposito mi posso
soltanto associare a quanto detto da T.F.O’Meara: “Dobbiamo riscoprire il
passato cercando di captare i suoi molti significati, affinché, partendo dal
passato, possiamo attingere la forza per affrontare con coraggio il presente e
proiettarci con slancio nel futuro. Qui sta la differenza tra la speranza
cristiana intesa come dinamismo e la religiosità statica.”
Questo è stato anche il messaggio di un grande
profeta del Vecchio Testamento, il quale ebbe a dire: “Fermatevi ai bivi e
guardate, informatevi circa i sentieri del passato, dove sta la strada buona e
prendetela, così troverete pace per le anime vostre” (“Ger 6, 16).
Quale migliore profeta ci può aiutare a scrutare i
sentieri del passato e a individuare la strada buona verso il futuro, se non
Giovanni di Dio?
LA
VITA RELIGIOSA
In questo momento storico noi Fatebenefratelli,
rivolgendo lo sguardo indietro ai sentieri che abbiamo percorso e alle opere
che abbiamo compiuto e stiamo continuando a compiere per il Signore come servi
e profeti, avremmo forse voluto sentire le seguenti parole indirizzate dal
padrone al suo servo: “Bene, servo buono e fedele... prendi parte alla gioia
del tuo padrone” (Mt 25, 21).
Ma il terzo centenario della canonizzazione del
nostro santo Fondatore vede molti confratelli e molti dei nostri amici laici
assaliti da un grande senso di confusione riguardo la vita religiosa, dato che
la situazione in cui si trova, e il suo futuro non sembrano indurre
all’entusiasmo.
Parte dell’edificio della Chiesa
Come fenomeno umano che fa parte dell’esperienza
cristiana, non credo che vi possano essere dei dubbi sul fatto che la vita
religiosa continuerà anche in futuro ad essere parte integrante dell’edificio
della Chiesa. Se come guida ci affidiamo al passato, appare certo che ci
saranno sempre degli uomini e delle donne il cui rapporto personale con Dio si
può esprimere in maniera adeguata soltanto attraverso la vita consacrata
vissuta in comunione con altri e posta al servizio del Regno,
Assodato ciò rimane ovviamente un ampio margine
per discutere le forme, gli stili e le espressioni che la vita religiosa potrà
o dovrà assumere. La vita religiosa nella Chiesa si è trovata sempre in un
costante processo di evoluzione con i suoi alti e bassi.
Dopo il Secondo Concilio
Vaticano
Coloro fra noi che hanno potuto
sperimentare la vita nella Chiesa prima del Secondo Concilio Vaticano, sanno
che la Chiesa e con essa la vita religiosa sono cambiate in una maniera che
nessuno osava immaginare.
Accettazione, coinvolgimento
e solidarietà
La Chiesa oggi non si considera
più come qualcosa che sta sulla difensiva o addirittura in opposizione al
mondo. Il suo atteggiamento si è andato sempre più improntando
all’accettazione, al coinvolgimento e alla solidarietà. Pertanto non considera
più il mondo come proprio nemico, ma come “la materia grezza del Regno di Dio”
(S.M. Schneiders).
Questo sviluppo ha avuto
ripercussioni drammatiche e di vasta portata per la vita religiosa. Esso ha
provocato lo sgretolamento delle strutture istituzionali che spesso hanno
permesso alla vita religiosa di funzionare come ‘un sistema chiuso’, come
qualcosa di separato e non intaccato dalla società in cui era inserita.
Fino a poco tempo fa “i
religiosi, nelle loro istituzioni e comunità, erano in grado di definire la
realtà secondo i propri desideri e tali definizioni non venivano messe in
questione. Così i religiosi potevano per esempio affermare che la povertà
significava innanzitutto la dipendenza dai relativi permessi e che era
perfettamente compatibile con la - ricchezza corporativa e le comodità
personali. I religiosi potevano decidere liberamente, quale opera apostolica
intraprendere, e nessuno esaminava le loro priorità” (7),
La sottocultura della vita
religiosa intesa come ‘sistema chiuso’ va rapidamente disintegrandosi. Oggi le
parole e le azioni dei religiosi sono sottoposte costantemente all’esame e alla
critica della società.
Le circostanze cambiate, così
come le ho appena descritte, dimostrano chiaramente che:
1. noi religiosi dobbiamo imparare a distinguere le strutture e le
tradizioni, che conservano e trasmettono dei valori, da quelle che sono mere
reminiscenze del vecchio sistema chiuso
2. noi religiosi dobbiamo comunicare al mondo che la nostra vita ha
un preciso significato e valore attuale che va oltre il mantenimento dello
“status quo” o il rimpianto del passato;
3. noi religiosi dobbiamo instaurare un nuovo rapporto con il mondo
che non deve portare nè all’assimilazione nè alla prosecuzione del nostro
vecchio atteggiamento di opposizione e di distacco.
La vita religiosa, di nuovo
nelle mani del vasaio
In un’era come la nostra in cui
il mondo intero è investito da trasformazioni sempre più rapide in campo
sociale, demografico ed ecologico, tutto sembra indicare che la vita religiosa,
così com’è stata vissuta dalla cristianità, debba tornare di nuovo nelle mani
del vasaio, affinché egli rifaccia con essa un altro vaso, come ai suoi occhi
pare giusto (Ger. 18, 4).
Alcuni aspetti salienti
della vita religiosa oggi (8)
I fattori predominanti che
caratterizzano oggi la vita religiosa e che sono comuni alla maggior parte
degli istituti della vita consacrata, tra cui appunto anche al nostro Ordine,
debbono essere letti come segni del tempo. Essi sono:
1) un calo numerico significativo dei religiosi;
2) riduzione delle attività e espansione stagnante;
3) la nascita di nuovi gruppi ecclesiali;
4) sfiducia verso la vita religiosa da parte degli stessi
religiosi.
Calo numerico
Negli ultimi venticinque anni,
tra decessi, abbandoni e una perseveranza diminuita delle nuove vocazioni, i
ranghi dei religiosi sono andati via via sfoltendosi. Nello stesso tempo i
religiosi e le religiose che sono rimasti nei ranghi sono invecchiati.
Nel 1965 l’Ordine contava
ancora 2.176 membri professi. Nell’arco di venticinque anni questo numero è
sceso a 1.474. Ciò equivale a un calo di circa un terzo.
Riduzione delle attività e
dell’espansione
E’ vero che la crescita e la
diffusione dei servizi sanitari a livello generale e l’avvento di un rapporto
di collaborazione più stretto tra religiosi e laici permettono oggi all’Ordine
di aiutare tante persone come non era successo mai prima nella storia. Tale
attività è rimasta tuttavia circoscritta alle nostre istituzioni esistenti.
Le strutture presenti
dell’Ordine che dipendono in larga misura dalla presenza e dall’influenza dei
confratelli rendono difficile l’avvio di nuove iniziative. -
Difatti se una tale iniziativa
richiede la presenza di un numero, seppure minimo, di confratelli, siamo
costretti o a declinare gli inviti che ci vengono rivolti ad espandere la
nostra opera o a chiudere e/o a affidare alcuni dei nostri centri assistenziali
ad altre organizzazioni.
La nascita di nuovi gruppi
ecclesiali
Oggi molte persone, invece di
indirizzarsi verso la vita religiosa, si sentono attratte da nuovi gruppi
ecclesiali che come gli istituti religiosi offrono loro un determinato
programma di preghiera e di servizio nonché i mezzi necessari per la propria
crescita sul piano spirituale.
Queste persone hanno
evidentemente la sensazione che all’interno di questi gruppi possano trovare
più facilmente, che nelle comunità religiose, i due elementi essenziali
dell’ideale comunitario che cercano, e cioè: il senso del proprio valore e il
senso di essere parte integrante del gruppo (9).
Sfiducia nella vita
religiosa dei religiosi stessi
Oggi fra i religiosi si nota un
diffuso senso di scoraggiamento. Molti di loro si chiedono, perché la forma di
vita che essi amano e hanno scelto esercita un’attrazione così debole sugli
uomini e sulle donne di questo tempo.
“Alcuni credono addirittura che
per l’antichità delle nostre istituzioni e per la perdita del nostro entusiasmo
carismatico iniziale non siamo più in grado di mettere a disposizione dei
nostri membri mezzi adeguati per la loro santificazione, credono che siamo mal
equipaggiati per affrontare le nuove sfide apostoliche e che le nostre
strutture non facilitano un impegno radicale evangelico in povertà e in fedeltà
ai segni del tempo” (José Cristo Rey Garcia Paredes).
Nei convegni in cui ci si
interroga sulla situazione attuale della vita religiosa, si sente spesso dire
che è più facile fondare un nuovo istituto religioso, che rinnovare uno
vecchio. Le cause dell’attuale crisi vengono attribuite in generale al fatto
che i sentieri di una volta non sono più percorribili, mentre quelli nuovi non
sono ancora sufficientemente chiari.
Segni di estinzione o segni
del tempo?
Alcuni tendono a interpretare i
fatti che ho appena delineato come segni inequivocabili che la vita religiosa
va estinguendosi e che altri gruppi prenderanno il suo posto all’interno della
Chiesa e nel servizio al popolo di Dio.
Quello che sta succedendo, in realtà è che noi
religiosi siamo chiamati a ricollocarci all’interno di una Chiesa che guarda
sempre di più all’esterno (José Cristo Rey Garcia Paredes).
E in questo contesto siamo soprattutto chiamati a
entrare in un nuovo rapporto con gli altri membri della Chiesa, in particolar
modo con i laici.
Vedendo cessare noi religiosi il
nostro ruolo di figure di comando nella missione della Chiesa, abbiamo preso
coscienza come il Signore della messe, in una maniera che noi non ci saremmo mai
immaginato, abbia già risposto tutto questo tempo alla nostra preghiera “perché
mandi operai per la sua messe” (Lc. 10, 2).
Il calo numerico dei religiosi e
la riduzione delle nostre attività insieme alla nascita di altri gruppi
ecclesiali e la necessità che i religiosi riacquistino la fiducia nella vita
religiosa ci mettono di fronte ad una realtà che ci aiuta a riconoscere una
verità che altrimenti forse non saremmo riusciti a riconoscere. Questa verità
è:
Il carisma della vita religiosa
non è determinato nè dal numero dei religiosi, nè dal prestigio e
dall’efficienza delle sue istituzioni e dei suoi servizi e nè dalle alte
cariche che i suoi membri raggiungono nella società o nella Chiesa.
Ma se la vita religiosa non è
più determinata dai criteri, ai quali ci siamo abituati, da che cosa sarà
determinata in futuro?
IL
FUTURO
Mentre nessuno può rivendicare la facoltà di
prevedere il futuro della vita religiosa, in tutto il mondo i religiosi stanno
identificando alcuni movimenti che sembrano di grande importanza per ciò che
concerne lo sviluppo futuro della vita religiosa.
1. Testimonianza profetica
Una cosa che sembra abbastanza chiara è che i
religiosi in futuro saranno chiamati sempre di più a giocare un ruolo profetico
nella Chiesa e nella società.
Questo è anche il motivo per
cui, all’inizio di questo discorso, ho dedicato tanto spazio alla dimensione
profetica della vita e dell’opera di San Giovanni di Dio,
Mediante il suo essere profeta
chiamò sia la Chiesa che la società, che ambedue si perdono volentieri nei
propri piani, ad attendere prima di tutto al disegno di Dio.
Animati dallo stesso spirito
noi Fatebenefratelli non permetteremo mai che il nostro servizio ai poveri e
agli ammalati diventi un tranquillante per la società, ma faremo di tutto,
affinché il nostro servire, in qualunque forma esso venga attuato, serva “per
la loro promozione, impegnandoci evangelicamente contro ogni forma di
ingiustizia e manipolazione umana e collaborando al dovere di risvegliare le
coscienze di fronte al dramma della miseria” (Cost. l2c).
2. Atteggiamento
contemplativo verso la vita
La dimensione contemplativa
assumerà una valenza sempre più importante nella vita religiosa.
Il modo in cui San Giovanni di
Dio ha contemplato il mondo lo ha portato a vederlo sempre di più come lo vede
Dio e a comprendere sempre più in profondità il significato della sofferenza e
del dolore.
Noi saremo portati a vedere le
nostre comunità sempre di più come centri di spiritualità, come luoghi in cui
si sperimenta Dio e in cui anche i laici potranno pregare e interrogarsi sul
significato della loro vita.
3. I
poveri e gli emarginati al centro del nostro servizio
I religiosi concentreranno le
loro risorse spirituali, materiali e umane sul servizio ai poveri.
Il nostro orientamento di fondo
è già quello di rispondere ai bisogni dei poveri, qualunque essi siano. La
risposta a questi bisogni potrà anche portare a cambiamenti nelle strutture a
favore dei poveri, degli ammalati e degli emarginati.
Facendo così ci faremo carico delle
implicazioni che derivano dalla nostra chiamata di “essere voce di coloro che
non hanno voce” e di fungere come loro interpreti nella società.
Scopriremo sempre di più la
libertà derivante dai nostri voti di poter servire là dove altri non vogliono o
non possono andare.
4. Spiritualità dell’intregalità e
dell’interconnessione globale
La contemplazione farà crescere
nei religiosi la convinzione come la creazione formi un tutt’uno indivisibile.
Non ci batteremo soltanto per promuovere l’armonia
tra i popoli, ma ci batteremo anche per promuoverla all’interno della creazione
stessa. Dimostreremo più sensibilità per la questione ecologica e più
responsabilità nell’uso delle risorse della terra.
Nel nostro campo specifico, vale a dire della
salute, ci sforzeremo sempre di più a integrare all’insegna del Vangelo
spiritualità e tecnologia.
5. Vivere con poco
I religiosi continueranno a indirizzarsi verso uno
stile di vita sempre più semplice rinunciando a tutte le cose non essenziali e
accontentandosi del necessario.
Saremo sempre più coscienti che non siamo “padroni
dei (nostri) beni temporali, ma solo rappresentanti e amministratori” (Cost.
l00c).
Come religiosi il nostro ruolo nella missione
della Chiesa sarà condizionato in maniera crescente dal fatto che potremo
contare su sempre meno risorse materiali. Lo stile di vita e la configurazione
delle comunità saranno determinati dalle esigenze della missione e non
viceversa.
6. Collaborazione con altri religiosi e i laici
I religiosi non vedono più l’antica dicotomia tra
l’essere religioso e l’essere laico.
Il nostro Ordine ha già riconosciuto che le
“numerose migliaia di uomini e donne che, come sacerdoti, religiosi o
religiose, collaboratori laici, volontari e benefattori, partecipano con i
confratelli nell’assistenza ai malati e ai bisognosi... manifestano l’amore di
Dio per i deboli” (Capitolo Generale 1988).
Il Secondo Convegno Internazionale dei
Collaboratori Laici dell’Ordine svoltosi nel 1988 ha permesso all’Ordine di
raggiungere una nuova e più profonda dimensione nel rapporto tra laici e
confratelli.
CONCLUSIONE
All’inizio del mio discorso ho detto che avrei
tentato di mettere in risalto il messaggio che a mio avviso San Giovanni di Dio
e la sua canonizzazione possono e vogliono trasmetterci oggi.
Per fare ciò ho parlato:
* del carisma dell’ospitalità;
* del nuovo concetto di Ordine;
* della situazione dell’Ordine;
* di San Giovanni di Dio come
servo e profeta;
* della vita religiosa e
* del futuro.
IL CARISMA DELL’OSPITALITA’
Avrete notato che ho parlato del carisma
dell’ospitalità come di una cosa che ci unisce come confratelli, e come
cristiani collegando le nostre vite attraverso una visione comune, traguardi
comuni e valori comuni.
La nostra visione è quella di un mondo trasformato
dal “Cristo compassionevole e misericordioso del Vangelo” (Cost. 2a) la cui
“presenza manteniamo viva nel tempo” (Cost. 2c).
Il nostro traguardo è di entrare nelle vite dei
poveri, degli ammalati e degli emarginati, affinché “la nostra vita (diventi per loro) segno e annuncio della venuta
del regno di Dio” (Cost. 3b).
I nostri valori comuni sono numerosi, ma questo
non è certo il momento più adatto per dilungarsi su di essi. E’ sufficiente
dire che i più importanti di essi sono:
FEDE centrata sull’amore e sulla misericordia di
Dio;
OSPITALITA’ manifestata attraverso un profondo
affetto e una dedizione senza risparmio all’intera famiglia umana,
SENZA DISCRIMINAZIONE ALCUNA e con
RISPETTO PER I DIRITTI UMANI e
la
DIGNITA’ E IL VALORE DELLA VITA.
ATTENZIONE VERSO I POVERI e i loro bisogni,
attenzione che non mira soltanto ad alleviare la sofferenza, ma anche e
soprattutto a promuovere
LO SVILUPPO E LA CRESCITA PERSONALE di tutti.
COLLABORAZIONE che si esprime
NELL’APERTURA VERSO I LAICI e nel
DESIDERIO DI COLTIVARE IL DIALOGO E LA
COMPRENSIONE MUTUA.
GIUSTIZIA che si manifesta
attraverso
L’ALTRUISMO e
IL SERVIZIO EFFICIENTE che a
sua volta promuove
L’INIZIATIVA E LA CREATIVITA’.
SPIRITUALITA’ che implica il
RISPETTO PER LE CONVINZIONI
ALTRUI.
Tutti questi valori possono essere
riassunti
nel valore-chiave che noi abbiamo
chiamato
UMANIZZAZIONE.
Valori ‘come stelle’
Questi sono, a mio modo di vedere, alcuni dei
valori più significativi dell’Ordine. Essi costituiscono i principi e gli
ideali che contrassegnano il nostro cammino. Naturalmente non pretendo che
l’Ordine onori questi valori o dia loro il peso che meritano in ogni
circostanza e in ogni luogo.
A questo proposito mi sembra opportuno più che mai
ricordare il famoso detto di Montaigne: “Gli ideali sono come le stelle. Non li
raggiungiamo mai. Ma come i marinai in alto mare tracciamo la nostra rotta con
il loro aiuto.”
All’inizio del mio discorso ho detto che
desideravo illustrare il messaggio che la figura di San Giovanni di Dio e la
sua canonizzazione contengono per me.
Secondo me questo messaggio può essere letto in
diverse direzioni:
CARISMA
Il carisma dell’ospitalità è un dono che lo
Spirito Santo distribuisce generosamente tra il popolo di Dio per il suo bene.
San Giovanni di Dio ha ricevuto questo dono.
Collaborando pienamente con esso la sua vita è stata trasformata da esso
facendolo diventare guaritore e evangelizzatore di coloro che avevano più
bisogno dell’amore misericordioso di Dio.
Noi abbiamo ricevuto lo stesso dono e siamo
chiamati a lasciarci trasformare da esso.
Il carisma è un dono che unisce coloro che lo
ricevono.
L’effetto unificante del carisma dell’ospitalità è
uno dei mezzi che Dio ci ha voluto offrire per affrontare il futuro.
L’ORDINE
L’Ordine è un corpo all’interno
della Chiesa che incarna la visione, i traguardi e i valori di San Giovanni di
Dio.
Come tale l’ordine si sta
avvicinando ad una visione di se stesso che non è più ristretta al nucleo dei
suoi membri professi, ma assume sempre di più una dimensione universale.
Secondo questa visione l’Ordine
è presente e, attivo nelle persone e nelle azioni di tutti coloro che contribuiscono
a portare avanti l’opera di San Giovanni di Dio nell’assistenza e nella cura
dei poveri, degli ammalati e degli emarginati.
LA SITUAZIONE ATTUALE
DELL’ORDINE
Oggi l’Ordine attraverso 35.000 tra religiosi e
laici sta assistendo e aiutando quotidianamente migliaia di persone,
probabilmente tante persone come mai prima nella sua storia.
E’ in atto un movimento chiaramente tangibile che
mira ad aggiornare le nostre modalità tradizionali di realizzare l’ospitalità e
l’Ordine si sta impegnando attivamente
in nuove forme dell’ospitalità.
L’esercizio dell’ospitalità ovviamente non può
essere ristretto al numero dei religiosi che hanno seguito una precisa
vocazione a questo titolo.
SERVO E PROFETA
Come Gesù San Giovanni di Dio ha agito sia come
servo sia come profeta e anche noi siamo chiamati ad operare in questa duplice
direzione.
Il nostro tempo sembra chiamarci con particolare
insistenza a farci profeti della carità.
Come profeti della carità abbiamo il compito di
ricordare, attraverso l’azione e la parola, alle strutture della Chiesa e del
mondo che i poveri, i deboli e gli emarginati hanno indelebili diritti umani
che derivano dalla loro umanità e che non possono essere cancellati adducendo
come pretesto la loro “improduttività”.
Dovendo l’Ordine come la Chiesa essere
costantemente in atteggiamento di rinnovamento e di conversione, deve ascoltare
e seguire le voci profetiche che si levano dalle proprie file, anche se tali
voci ci dicono delle cose sul nostro modo di vivere e di agire che noi
preferiremmo non sentire.
LA VITA RELIGIOSA
Le profonde trasformazioni che stanno sconvolgendo
numerosi aspetti della vita religiosa non debbono essere interpretate come un
disastro inspiegabile.
Se consideriamo i fatti con gli occhi della fede,
ci rendiamo conto che la vita religiosa è di nuovo tornata nelle mani del
vasaio, affinché egli la rimodelli, come pare giusto a lui.
Il carisma della vita religiosa non è determinato
dal numero dei religiosi, dal
prestigio che godono o dall’efficienza delle loro istituzioni e dei loro
servizi.
E’ determinato invece dal valore della
testimonianza evangelica che i religiosi offrono al mondo e in particolare ai
poveri, agli ammalati e agli emarginati di questo mondo.
IL FUTURO
La visione,
i traguardi e i valori di San Giovanni di Dio e del suo Ordine non hanno
perso nulla della loro validità e freschezza. Essi trovano espressione nel
carisma dell’ospitalità, un dono di cui Dio non vorrà mai privare il suo popolo.
Formando questo dono parte intima del patrimonio
del popolo di Dio, esso continuerà ad essere esercitato. Nel futuro
dell’ospitalità ci sarà anche spazio per noi. Ma non è uno spazio assicurato.
Si tratta piuttosto di uno spazio che vuole essere
conquistato mediante una cooperazione instancabile con il dono dell’ospitalità
e il suo donatore, una cooperazione che è stata vissuta e realizzata in maniera
esemplare da San Giovanni di Dio.
Egli è stato fatto santo, perché ha saputo
attingere a piene mani a questo dono trasmettendo la sua forza a tutti coloro
che ne avevano bisogno e ai quali era destinato.
Questo anniversario ci ricorda e i costi e le
glorie che comporta l’accettazione e la trasmissione di questo dono.
Come per San Giovanni di Dio il futuro per noi non
è nè una promessa nè un avvenire dall’esito scontato, ma una sfida.
RIFERIMENTI
1. Castro,
Francesco, cap. 7.
2. Pio
XII, Discorso ai nuovi Cardinali, 20 febbraio 1946.
3. Vedi
le Dichiarazioni del Capitolo Generale Straordinario,
1979.
4. Dichiarazioni
del 62° Capitolo Generale, 1988,
Introduzione.
5. Ibid.
6. O’Grady, Benedict, “Sulle tracce di San
Giovanni di Dio”, Roma, 1988.
7. S.M.
Schneiders 11114, “New Wineskins”, 1986, Paulist Press, New York.
8.
Questa sezione si
basa in larga misura su un discorso tenuto da Padre José Cristo Rey Garcia
Paredes dinanzi all’unione dei Superiori Generali sul tema “Laici e Religiosi
nella Chiesa” il 23 maggio 1990.
9. Cfr. Clark, David, “The Liberation of the
Church”, 1984, Birmingham, NACCAN.
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